domenica 15 maggio 2016

Note su calce e cemento, tra industria e storia locale.

Ai ragazzi che seguono le mie lezioni di Scienze Naturali, ho proposto alcune chiavi per la lettura del paesaggio, soffermandomi sulla descrizione di qualche luogo particolarmente significativo e rappresentativo delle varie tipologie che abbiamo individuato.

Per l'analisi del paesaggio industriale ho proposto Taranto, sia perché è una città che negli ultimi tempi è nota per le vicende legate all'ILVA, sia perché sono in possesso di un'approfondita analisi geografica di questa zona, riportata da Giulio Mezzetti sul suo testo di Geografia, ad uso scolastico, sempre valido anche se datato.

A Taranto, le industrie importanti (dovrei dire: impattanti) abbracciano il settore siderurgico (la già citata ILVA), la raffinazione del petrolio e la fabbricazione del cemento. Non mi soffermo qui sui dettagli proposti a lezione.

Raffineria di Taranto (dal web).

Per spiegare, pur sommariamente, i vari processi, mi sono avvalso di qualche schema che ho tracciato alla lavagna e di qualche campione di minerali ferrosi (ematite, limonite, pirite) che possiedo, accanto alle rocce necessarie alla fabbricazione del cemento - delle quali è ricca anche la zona dove abito e mi concedo un breve approfondimento.

Le pietre per fabbricare il cemento, nella mia collezione privata.

In molti siti della Val Belluna è possibile trovare cave di materiali da costruzione e ruderi di vecchi forni a bottiglia, necessari alla fabbricazione della calce per cottura del calcare e successivo spegnimento con acqua. Per azione del calore, il carbonato di calcio (calcare) si decompone in ossido di calcio (calce viva); quest'ultimo, per reazione con acqua dà idrossido di calcio (calce spenta).

A Castellavazzo, nel 1912, fu impiantato dalla Ditta Colombo uno stabilimento per produrre il cemento. L'impianto fu rilevato negli anni Quaranta dalla Ditta Marchino, che lo ristrutturò, rimodernandolo. Negli anni Cinquanta, la domanda di cemento crebbe grazie alla costruzione di dighe: si giunse a produrne fino a 600 tonnellate al giorno. 

Diga del Vajont.

Il 9 ottobre 1963 il disastro del Vajont pose fine al progetto concernente lo sfruttamento idroelettrico del bacino del Piave, raccontato come un sogno da un saggio di Carlo Semenza pubblicato nel secondo volume della Guida alle Dolomiti Orientali (CAI).
La domanda di cemento per l'ingegneria civile venne meno; la struttura modulare del vecchio edificio impediva di installare più moderni forni rotativi al posto dei surclassati forni verticali. Lo stabilimento fu chiuso nel 1978. 

Il paesaggio prealpino con l'insediamento industriale del cementificio.

Nel frattempo, a Cadola di Ponte nelle Alpi, fu impiantato un nuovo stabilimento più moderno, che sfruttava i giacimenti locali di marna e di calcare rosso (93% di carbonato di calcio + 7% di ossido ferrico). 
Marna e calcare sono macinati finemente, nelle opportune proporzioni, per ottenere la farina cruda, stoccata in grandi silos e successivamente cotta nel forno rotativo per ottenere il clinker.
Il clinker, macinato con una giusta quantità di gesso, dà il cemento Portland; per aggiunta di altri additivi si possono avere cemento pozzolanico (la pozzolana è una roccia vulcanica già usata dai romani nelle costruzioni), cemento d'altoforno (con aggiunta di loppe), cemento alluminoso (con bauxite), etc.
In quello stabilimento trovarono impiego mio nonno, uno dei suoi fratelli, mio padre (per qualche tempo, prima di essere assunto all'ENEL) e un suo cugino (come tecnico di laboratorio).

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