domenica 30 dicembre 2018

giovedì 27 dicembre 2018

Beata felicità...

Mi ritengo davvero molto fortunato a poter insegnare Scienze Naturali. Al liceo non apprezzavo molto questa materia che invece ho riscoperto nella sua straordinaria bellezza qualche anno più tardi, in un contesto che ancora oggi mi sorprende. 

Completati gli studi filosofici e teologici (da laico, non sono prete per buona pace di chi, liquidandomi come tale, mi ha impedito di proseguire per un certo percorso), ho avuto la possibilità di studiare ancora e mi sono dedicato alla Chimica e ad altri saperi scientifici che coltivo tuttora (a discapito di quelli religiosi - e musicali - che invece ho progressivamente abbandonato, quasi completamente).

In questi giorni, come ormai ogni anno durante le vacanze di Natale, sto approfondendo qualche aspetto della Vulcanologia e mi sono soffermato in particolare sui vulcani attivi italiani e sulle numerose manifestazioni del vulcanesimo secondario presenti sul territorio nazionale. 



In particolare, molto del mio tempo è dedicato a Stromboli, vulcano di cui sentiamo parlare in questi giorni, accanto all'Etna, per la preoccupazione che desta. Così ne parlava Stoppani, nel suo celebre "Belpaese".



Stoppani evoca il grande Lazzaro Spallanzani, sacerdote cattolico come lui e, come lui, appassionato e competente Naturalista: un video ne racconta le scoperte principali, anche se tralascia di soffermarsi sul viaggio che compì nell'Italia mediterranea e sul resoconto ricco di dettagli e descrizioni.



Intanto, eccovi un altro scatto, al crepuscolo, dello Stromboli:



... e il dettaglio (ingrandito) di un lapillo (osservate i microcristalli):



Le Scienze Naturali costituiscono per me la materia più bella che si possa insegnare, perché abbraccia una varietà di temi e di contenuti straordinari che ci permettono di apprezzare la bellezza del pianeta che abbiamo l'onore di abitare e, al tempo stesso, il dovere di custodire come un tesoro prezioso, ereditato da chi ci ha preceduto e preso a prestito da chi ci seguirà nel continuare a perpetuare il misterioso segreto della Vita.

martedì 25 dicembre 2018

ESERCIZIO PER LE VACANZE

Traccia. Scrivere nell'ordine indicato i simboli dei seguenti elementi: 

Boro, Uranio, Ossigeno, Neon, Ferro, Zolfo, Tellurio.


Soluzione: 
B U O Ne Fe S Te !!!

(Foto di E. Funes)

domenica 23 dicembre 2018

Qualche considerazione molto personale...

Se avessimo il coraggio di studiare dettagliatamente le biografie dei grandi scienziati, scopriremmo che un periodo formativo all'estero non è un'eccezionalità nei percorsi formativi di molti, tra essi; e non è neppure un'esperienza introdotta recentemente nel cursus honorum di un uomo di scienza.

Nel XVI secolo e successivi, quando Padova poteva considerarsi la città di riferimento della Rivoluzione Scientifica in ambito medico, da ogni dove venivano per studiare con i più grandi del tempo e molti si fermavano ad insegnare: Vesalio era belga, Wirsung tedesco, Harvey inglese, Morgagni forlivese (quando Forlì era una cittadina dello Stato della Chiesa e il nostro era uno straniero - non cittadino della Repubblica di Venezia).

Agli inizi del XIX secolo, Parigi era la meta ambita da tanti aspiranti chimici: Liebig studiò con Gay Lussac; Piria studiò con Dumas; Cannizzaro con Chevreul e Regnault; etc.

Lo stesso Liebig fondò successivamente una scuola di Chimica a Giessen presso la quale pervennero giovani da tutta Europa, tra i quali il piemontese Ascanio Sobrero; lo stesso fece Wohler a Gottinga (dopo aver studiato con Berzelius a Stoccolma), dove si formarono molti medici e chimici, tra i quali l'italiano Giorgio Spezia (inventore del quarzo sintetico).

Altri esempi possiamo mutuarli dalla fisica, agli inizi del XX secolo: Rutherford, dalla Nuova Zelanda, si trasferì in Inghilterra per studiare con Thompson; Bohr, dalla Danimarca, fece altrettanto per studiare con lo stesso Rutherford, qualche anno più tardi; Fermi passò sei mesi a Gottinga, da Max Born; Segré fu ad Amburgo, da Otto Stern; etc.

Nel Secondo Dopoguerra, la mobilità degli aspiranti scienziati in formazione ha conosciuto un'incremento notevole e fruttuoso a tal punto che un Einstein, il quale ha rivoluzionato la scienza stando seduto ad una scrivania presso l'Ufficio Brevetti di Berna, costituirebbe oggi una figura più unica che rara - e forse più letteraria che reale.

Una certa politica nostrana e qualche media on-line guardano ai giovani che vanno all'estero, durante il percorso di studi, grazie all'Erasmus, e li appellano quali "studenti apolidi votati alla schiavitù del turbocapitale"; una volta completato il percorso di studi, i neo-laureati rifanno la valigia e gli stessi di cui sopra li chiamano "cervelli in fuga". 

Non entro nel merito di improbabili discorsi sulle opportunità che offre il mondo della Ricerca in Italia (puzzo sempre troppo da prete, come disse l'insigne accademico) o il mercato del lavoro extrauniversitario: non mi competono. 

Il necessario confronto con il mondo della Ricerca a livello planetario è un'opportunità di crescita personale, sia sul piano umano sia sul piano professionale, che va colta (e a tratti invidiata, per quanto mi riguarda). 

Forse - ma lo scrivo da ignorante fuori dai giochi - quello di cui ci si dovrebbe preoccupare (e molto di più, rammaricare) è che l'Italia non sia una meta troppo ambita da chi cerca di perfezionarsi (ma anche questo non è troppo vero e non va generalizzato: ricordo, quando studiavo a Venezia, di aver incontrato molte persone provenienti dai paesi più disparati, non tanto europei o americani quanto piuttosto qualche asiatico, da Iran, Cina, India).

Ciò che mi dà molto fastidio, invece, è la contrapposizione disegnata e amplificata da certi media (specie da internet) tra l'eccellenza che sembra scappare indignata dal suol natio e la mediocrità che resta a reggere le tristi sorti del paese. 

Certo, buona parte degli attuali politici probabilmente non suscitano molta simpatia agli occhi del volgo ignorante e talvolta essi non sembrano brillare per eccesso di competenza; magari qualcuno, nel mondo accademico, non sarà sempre stato trasparente nelle nomine e nei concorsi e questo potrebbe costituire più affare della magistratura che degli opinionisti urlanti sui social network.

Per quanto il marcio ci sia, come c'era nella Danimarca di Amleto e c'è oggi anche altrove (per buona pace degli esterofili), esso non può svilire l'intera storia (quella scritta dai protagonisti della Cultura, non quella che studiamo sui libri di scuola, fatta da papi, re, eserciti, guerre, battaglie e rivoluzioni) di una nazione.  

Pessimi ricercatori, ma ottimi docenti; bravi tecnici, ma didatti mediocri; eccellenti in cattedra e in laboratorio; pessimi in tutto ma bravi politicanti… si trova un vasto assortimento, come è giusto che sia, purché ogni componente sia in equilibrio con le altre. 

Anche se gli equilibri sono destinati a rompersi, prima o poi si ristabiliranno: senza indagarne le specifiche cause (non mi interessa, sono fuori, con il mio puzzo da prete), ricordo qualche "vittima" illustre di dinamiche analoghe in luoghi e tempi diversi e lontani da noi oggi, quali Malpighi, Morgagni, Volta-Scopoli vs Spallanzani, etc. Invidie, gelosie, vandalismi non hanno impedito a questi uomini di essere grandi scienziati.

Secondo taluni leoni da tastiera, invece, il sistema attuale impedirebbe ai giovani di talento di esprimersi nel loro paese: i leoni ruggiscono portando l'esempio di ricercatori e ricercatrici, esiliati all'estero dai cosiddetti baroni universitari, che trovano la cura per il cancro ma sono ostacolati dalle losche trame di Big Pharma in combutta con i primari e il ministero della salute. Il delirio paranoico qui trionfa; e anche la mia indignazione. Vi spiego perché procedendo per punti.

Innanzitutto ripeto quel che ho detto all'inizio: una persona che, ottenuta la laurea e/o il dottorato, vuol intraprendere la carriera di ricercatore sente la necessità di confrontarsi con il mondo della Ricerca, che ha una dimensione planetaria. Non va all'estero perché non c'è spazio in Italia; va all'estero prima di tutto per allargare i suoi orizzonti culturali. Così è sempre stato, da quando è nata l'università a oggi.

Sotto il termine "cancro" si nascondono centinaia di malattie diverse che coinvolgono tessuti diversi e che si sviluppano in modo diverso e in tempi diversi. Svariate forme di cancro esistono in tutto il mondo. Ciascuna di queste malattie ha un suo decorso, una sua diagnosi, un approccio terapeutico adeguato: in alcuni casi la Medicina dispone di armi per combattere efficacemente la battaglia contro le cellule "ribelli", in altri no. 

Qui si inserisce il lavoro del Ricercatore che si occupa di perfezionare le terapie esistenti (radio, chemio) o di cercarne di nuove e di adeguate (terapia genica, immunoterapia, etc.); tale lavoro si affianca allo studio di come uno specifico cancro abbia origine, si differenzi (le cellule ribelli non sono tutte uguali) e riesca ad eludere i naturali meccanismi di controllo, di cui siamo dotati, per poter proliferare e intaccare altri organi dando origine a metastasi.

Quando un ricercatore scopre qualcosa di nuovo, inizia a tastare la percorribilità di una via - che troppo spesso non conduce quasi da nessuna parte e che solo qualche volta può dare risultati incoraggianti.

Il difficile cammino della ricerca in questo ambito è ben raccontato in "Come nascono le medicine" (D'Incalci, Vozza - Zanichelli, Bologna, 2014), agile volumetto di cui consiglio la lettura.

Dare con troppo entusiasmo la notizia del ricercatore che scopre la cura per il cancro (quando nella realtà intravede una nuova via per costruire nuovi approcci terapeutici per una o per un gruppo di quelle malattie che noi comuni mortali chiamiamo sbrigativamente "cancro") potrebbe infine costituire un torto per il paziente che, nello sconforto della sua condizione, rischia di alimentarsi di false speranze e di illusioni. 

Non bastano i Dulcamara di turno che bandiscono l'elisir miracoloso e promettono guarigioni con rimedi della nonna, erbe di campo, bicarbonato di potassio e succo di limone; ci si mettono pure i ruggenti leoni da tastiera a commiserare i cervelli in fuga che scoprono - nel loro esilio forzato, lontano da casa, magari oltreoceano - la panacea per centinaia di mali diversi ma sono ostacolati nel loro intento filantropico dai complotti della politica corrotta e delle accademie decadute. 

Questo modo di pensare non fa bene ai malati; ai professionisti onesti che ogni giorno "combattono" insieme ai loro pazienti; ai ricercatori stessi che si impegnano nel loro lavoro al prezzo di sacrifici enormi, sia economici sia esistenziali; alle istituzioni e a noi cittadini, che abbiamo il diritto ad un'informazione onesta, degna di un paese civile e non di un romanzo distopico.

lunedì 10 dicembre 2018

Una tra le innumerevoli "Storie minime bellunesi"


Ringrazio l'amico prof. Ezio Franceschini per avermi invitato a partecipare, quest'anno, a una bellissima iniziativa editoriale: la sesta edizione di "Storie minime bellunesi". 

Presentato venerdì 7 dicembre al bar "L'insolita storia" a Belluno, l'agile volumetto raccoglie una novantina di storie minime: brevi perle narrative che non superano i mille caratteri (spazi inclusi) e sono unite, pur nella varietà degli stili e delle ispirazioni, dall'acqua come tema conduttore e ispiratore.

L'opera è dedicata al ricordo di due persone: una delle due ho avuto il piacere di conoscerla (GS, con i suoi capelli lunghi e la cicca in bocca, è stato mio professore di informatica ai tempi della scuola media, agli inizi degli anni Novanta. Egli fu uno dei primi docenti di questa materia nella scuola secondaria di primo grado in Italia e io uno dei primi alunni, che giocava con Logo e la tartarughina per disegnare tangram…).

Del volume, segnalo anche i bellissimi disegni e la foto di copertina, scattata dal fotografo (e collega) prof. AB.

Io ho partecipato con questo breve e modesto racconto, ispirato a un ricordo personale degli anni di studio, dal titolo: "L'analisi".


Da: E. Franceschini & Co, "Storie minime bellunesi", Belluno, 2018, p. 44

sabato 8 dicembre 2018

Nell'oceano dentro di noi...

Nelle scorse settimane mi sono impegnato a raccontare qualcosa sull'acqua, sulle sue proprietà e sulla sua importanza per le forme viventi: è noto che la disponibilità di acqua è una condizione indispensabile per la vita.

La mappa sottostante, presa dal web, riassume a proposito qualche idea (e non sempre la rielabora in modo scientificamente corretto, ma possiamo accontentarci).


Mi sono divertito a proporre anche qualche semplice esperimento per evidenziare le proprietà fisiche (polarità, capillarità, tensione superficiale), la solubilità dei sali inorganici e l'idrolisi salina.

L'acqua è un buon solvente per molte sostanze necessarie agli organismi viventi e anche per diversi prodotti di rifiuto delle attività cellulari (che devono essere eliminati).

Essa possiede inoltre un'elevata capacità termica: nel mare, ove la vita è nata, non esistono sbalzi di temperatura tanto elevati quanto nell'ambiente extramarino. 

Un organismo pluricellulare che vive in ambiente non acquatico non ha il vantaggio di avere attorno un mezzo che gli garantisce una temperatura costante o la possibilità di eliminare agevolmente le sostanze di rifiuto (come l'ammoniaca e l'anidride carbonica, ad esempio).

Un organismo pluricellulare, al di fuori dell'acqua, non ha quindi i vantaggi di quelli che vivono nell'acqua: le cellule che lo costituiscono si trovano di fronte a problemi assai difficili da risolvere, quali l'approvvigionamento di sostanze nutritive, l'eliminazione dei rifiuti metabolici, la costanza dei valori di pH e di temperatura, etc.

Osservando le cellule di un organismo pluricellulare extramarino, si nota che esse non sono direttamente a contatto con l'inospitale ambien­te esterno: infatti vivono immerse in quello che Bernard chiamò un "ambiente interno" liquido - che in una prima approssimazione conserva i vantaggi dell'ambiente primordiale. 

Naturalmente, questo ambiente interno non possiede le dimensioni del mare, pra­ticamente infinite, se comparate a quelle di una singola cellula. 

Le sostanze in esso presenti saranno rapidamente consumate dall'attività metabolica delle cellule che vi vivo­no. Tale attività porterà inoltre alla produzione di un insieme di sostan­ze di rifiuto. 

Tutto ciò comporterà un veloce modificarsi delle caratteristiche chimico-fisiche dell'ambiente interno, il quale potrebbe diventare incompatibile con la vita delle cellule. 

Questo insieme di problemi ha costretto le cellule a organizzarsi e a specializzarsi per:
  • trarre dall'ambiente esterno il nutrimento
  • provvedere al fabbisogno di ossigeno;
  • eliminare l'anidride carbonica e le sostanze di rifiuto;
  • regolare la composizione dei liquidi interni;
  • contrastare l'azione di microorganismi nemici e di eventuali cellule "devianti";
  • garantire la perpetuazione, nel tempo, di un sistema analogo. 
L'organizzazione delle cellule specializzate al fine di compiere queste diversissime e molteplici funzioni necessità di un controllo continuo e armonico, reso possibile da una comunicazione intercellulare rapida ed efficace, realizzata mediante la variazione di potenziali elettrochimici o il rilascio di particolari sostanze (neurotrasmettitori, ormoni) destinate a specifici bersagli (proteine con funzione di recettori).

Il controllo dell'ambiente interno è poi effettuato in relazione continua all'ambiente esterno - il quale è continuamente esplorato, monitorato, attraverso speciali cellule che variano rapidamente il loro potenziale elettrochimico (si depolarizzano) in seguito a eventi fisici (stimoli meccanici, termici, luminosi) o interazioni chimiche con molecole volatili (olfatto) o in soluzione (gusto).

L'elaborazione di una risposta agli stimoli concerne, alla fine, sempre un atto motorio: la depolarizzazione di altre cellule specializzate (quelle muscolari) è trasformata in una contrazione.

Le istruzioni per organizzare la struttura di ciascuna cellula, le sue funzioni e la capacità di relazionarsi con le altre sono contenute nel DNA.

Il DNA è trascritto nell'RNA-messaggero; l'RNA messaggero è inviato ai ribosomi e qui è tradotto in proteine: ogni proteina ha, nella cellula, un suo ruolo specifico e insostituibile. 

Il DNA conserva le informazioni per assemblarle tutte; l'RNA messaggero contiene le informazioni per assemblare una proteina alla volta.

L'anno prossimo ricorreranno i 150 anni della scoperta della "nucleina" (un mix di DNA e di RNA, estratto dai "nuclei" dei leucociti recuperati nel pus di cui erano intrisi bendaggi e garze usate negli ospedali per medicare i feriti) da parte di Friedrich Miescher (1844-1895) all'università di Tubinga: la scoperta, pubblicata nel 1871, aprì la strada all'identificazione del DNA come molecola responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari.

I due anni intercorsi tra scoperta e pubblicazione si giustificano con la volontà del professor Hoppe-Seyler di ripetere tutti gli esperimenti dell'allievo Miescher prima di dare alle stampe i risultati.

Miescher continuò a studiare gli acidi nucleici; toccò tuttavia ad altri scienziati (Kossel, Griffith, Avery, Macleod) intuirne il ruolo nella trasmissione dell'informazione genetica e definirne la struttura (predetta da Schroedinger nel 1937 e descritta prima da Rosalind Franklin; poi da Watson e Crick che vinsero il premio Nobel).

Oggi, raccontare la storia del DNA è qualcosa di più che narrare di scienziati e di esperimenti; è raccontare l'evoluzione della vita sulla terra e della capacità di cellule e di organismi sempre più complessi di adattarsi ad ambienti esterni spesso ostili, attuando soluzioni originali per mantenere costante l'ambiente interno - soluzioni che sono state "appuntate" nel DNA e poi conservate e trasmesse di generazione in generazione.

mercoledì 5 dicembre 2018

L'origine della vita: un breve video.


Oparin, Urey, Miller: 
dieci minuti per scoprire 
le teorie sul passaggio 
dall'evoluzione chimica 
all'evoluzione biologica.

(video dell'Enciclopedia Britannica)