giovedì 30 giugno 2016

Etero- od omo- ?

Come accennavo nell'ultimo post e anche in altri precedenti, nel corso dei miei studi universitari ho avuto modo di approfondire molto la catalisi nei suoi vari aspetti e in molte sue applicazioni.
  • Che cos'è la catalisi? La catalisi è l'effetto di un catalizzatore.
  • Che cos'è un catalizzatore? Un catalizzatore è una specie chimica che accelera una reazione ricomparendo (idealmente) inalterato alla fine. Può essere omogeneo se è nello stesso stato fisico di reagenti e prodotti (es. liquido - liquido) oppure eterogeneo se è in uno stato fisico diverso.
I catalizzatori eterogenei sono impiegati ad esempio nei convertitori catalitici per i veicoli a motore al fine di abbattere (ridurre) gli inquinanti nei gas di scarico. Su questa importante applicazione della catalisi avevo seguito un interessante corso monografico e le decine di pagine di appunti erano state da me sintetizzate in questa tabella (per facilitare la memorizzazione dei dati proposti a lezione dal Docente).


La catalisi trova larga applicazione nell'industria chimica e in particolare nell'industria petrolifera (che produce carburanti e combustibili) e petrolchimica (che ottiene gli intermedi, quali etilene, propilene, butadiene, benzene e da essi le molecole necessarie per formulare i prodotti più svariati: dalle fibre sintetiche alle materie plastiche, dalle vernici ai farmaci, dai cosmetici a ... lascio immaginare a voi il resto). Tutto ciò è stato da me apprezzato in più corsi, di cui ho un po' di nostalgia: ecco le prime pagine degli appunti del corso di Chimica Industriale II, ove riecheggia l'importanza di alcuni processi quali il cracking catalitico, il refòrming, l'alchilazione, etc.


Oltre a questi processi, che coinvolgono i composti del carbonio (oggetto di studio della chimica organica), rivestono importanza anche le produzioni di composti inorganici quali l'acido solforico, l'ammoniaca, l'acido nitrico, l'idrazina, l'idrossilammina, etc.


Questi furono approfonditi in un corso che non ho seguito per motivi su cui non mi dilungo, anche se poi li ho studiati in altre sedi - e forse meglio, a detta di molti.


Sono tutti esempi di applicazioni della catalisi eterogenea: i catalizzatori sono solidi, mentre reagenti e prodotti sono liquidi e/o gas.

Notevole importanza ha acquisito, da alcuni anni, la catalisi omogenea, soprattutto nella chimica fine.

Due importanti processi fanno uso di catalizzatori omogenei anche per la produzione di intermedi quali l'acetaldeide (processo Wacker) e l'acido acetico (processo Monsanto), ma è nella sintesi di molecole complesse quali quelle di farmaci e pesticidi che la ricerca ha espresso i risultati migliori (non molti, in verità, hanno trovato applicazione su grande scala).

Tra le reazioni più importanti troviamo quelle ricordate nel post precedente: l'idrogenazione (da alchèni ad alcàni; da immìne ad ammine) e l'idroformilazione (da alchèni ad aldeidi).


Ecco qua, nelle pagine di un mio quaderno di appunti, un quadro sinottico dell'oxo-sintesi, forse la più importante applicazione della catalisi omogenea su scala industriale. Alla prossima!

lunedì 27 giugno 2016

SOTTO PRESSIONE ...

Confessavo recentemente ad un amico che mi manca un sacco l'attività in laboratorio e in particolare lo studio delle reazioni sotto pressione.

Con una naturalezza disarmante, egli mi chiede: "Del tipo? Hai messo su la reazione? Quante ne hai messe? Non hai ancora finito? Quanto manca?".

E io ho ribattuto: "Per pressione intendevo quella che si misura in atm (o meglio, in bar) e non quella che si misura in chili di troppo sulla bilancia pesapersone!".


Nel corso dei miei studi universitari, ho avuto modo di studiare alcune reazioni che coinvolgono l'uso di reagenti gassosi anche sul piano pratico: idrogenazioni, idroformilazioni, carbonìlazioni.

Storicamente, le reazioni di idrogenazione furono le prime ad essere studiate e valsero il premio Nobel a Sabatier, nel 1912 (ex-aequo con il conterraneo Grignard, che ha studiato tutt'altro): esse consistono nell'addizione di idrogeno al doppio legame C=C dei composti insaturi per formare composti saturi, grazie all'impiego di opportuni catalizzatori (a base di metalli quali nichel, palladio, platino). Queste reazioni trovarono quasi subito un'applicazione pratica nella sintesi della margarina da oli vegetali di basso pregio, grazie al tedesco Wilhelm Normann, al russo Ipatieff e ad altri.


Nel 1913 Bergius brevettò un  processo per ottenere carburanti di sintesi attraverso l'idrogenazione della lignite (un carbone fossile in formazione), usando opportuni catalizzatori a base di tungsteno: il processo prese il nome di berginizzazione e fu importante per l'economia tedesca fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.


Allo stesso periodo risalgono gli studi di Haber sulla sintesi dell'ammoniaca, ottenuta per combinazione di idrogeno e azoto in drastiche condizioni e in presenza di opportuni catalizzatori. Haber impiegò uranio e osmio; la trasposizione su grande scala del processo comportò la necessità di trovare un catalizzatore più economico - a base di ferro.


La soluzione al problema fu trovata da Alwin Mittasch, dipendente della BASF, che trovò il catalizzatore adatto dopo molte prove. Durante quegli esperimenti, egli ebbe modo di osservare la formazione di metanolo per combinazione di idrogeno e monossido di carbonio - in presenza di ossidi di zinco e di cromo.

A partire dagli Anni Venti, dalla miscela di idrogeno e monossido di carbonio furono ottenuti poi, a seconda del catalizzatore impiegato, vari composti: metano, metanolo, alcool isopropilico, idrocarburi impiegabili come carburanti nei motori a scoppio.


Gli studi in quest'ambito furono approfonditi da Fischer e Tropsch, i quali studiarono varie combinazioni di ossidi da impiegare come catalizzatori, ottenendo anche alcoli e aldeidi, oltre a idrocarburi saturi e insaturi.

La possibilità di ottenere alcoli e aldeidi a partire da idrogeno e monossido di carbonio fu approfondita da Otto Roelen, il quale sviluppò il processo noto come oxo-sintesi (1938) o idroformilazione, usando un catalizzatore a base di cobalto - oggi soppiantato da catalizzatori a base di rodio.

Gli studi sui composti del rodio furono condotti in particolare da Wilkinson. Egli mise a punto il complesso che porta il suo nome, che funge da catalizzatore di idrogenazione e che è servito da modello per sviluppare alcuni complessi catalitici successivi, tra i quali:
  • il complesso di Knowles, per l'idrogenazione asimmetrica del legame C=N (importante nella sintesi dell'L-DOPA), poi perfezionato in studi ulteriori;
  • i complessi catalitici usati attualmente nell'idroformilazione e soprattutto nella sintesi dell'acido acetico (processo Monsanto).
Lo schema sottostante è un bel riassunto di quanto attualmente applicato:


L'idrogenazione trova impiego oggi anche per la sintesi dei carburanti green a partire da scarti vegetali.


Si tratta, in fin dei conti, di una rilettura del processo di berginizzazione in chiave eco-friendly. L'idrogeno necessario è ottenuto per steam-reforming di idrocarburi e i prodotti ottenibili sono esenti da metalli e composti azotati, solforati e ossigenati.

Le reazioni di carbonìlazione sono interessanti per le varie applicazioni utili nella produzione di prodotti di chimica fine: isocianati per la sintesi di carbammàti, poliureani e urèe; benzimidazoloni da impiegare come farmaci o come high performance pigments; aldeidi da impiegare come tali (profumi) o da cui ottenere alcoli grassi per idrogenazione, acidi carbossilici a lunga catena; etc.


Tra i pionieri di questi studi ci fu Walter Reppe, che sviluppò in particolare la chimica dell'acetilene, da cui ottenere acido acrilico (sopra) o esteri acrilici per reazione con monossido di carbonio in presenza di opportuni catalizzatori. 

sabato 25 giugno 2016

I ritratti delle Dolomiti

Oggi, 25 giugno, e domani, domenica 26, a Cadola di Ponte nelle Alpi (BL) potranno essere ammirati i Ritratti delle Dolomiti eseguiti dal pittore, fotografo e alpinista Giovanni "Nanni" De Biasi.


L'esposizione è accolta presso i locali della sala "Mons. Savio" - attigua alla chiesa e accompagna quella di Pino Levanto, Giulio Mazzucco e Michele Nave - accolte in altri angoli del centro abitato, in festa per la manifestazione Paesi Aperti, promossa dal Comune e dall'asd Al.Bel.Pont.


Perdonate la qualità delle mie foto alle opere di De Biasi: le ho scattate in fretta.


Buon fine settimana a tutti !!!



mercoledì 22 giugno 2016

Il fascino del quarzo

Raccontavo ai miei alunni che l'elemento chimico più abbondante nella crosta terrestre è l'ossigeno (46%), seguito dal silicio (27%) e dall'alluminio (8%). Seguono calcio, magnesio, ferro, sodio, potassio, etc. Le percentuali in peso sono indicative.


Silicio e ossigeno si combinano tra loro per formare la silice o biossido di silicio, assai diffuso nelle rocce. Ecco quel che ne scrive Raffaele D'Alessandro, autore di un manuale di Chimica e mineralogia per la scuola secondaria, edito da Mondadori (ne possiedo l'edizione nel 1954). Cliccate sull'immagine per ingrandire e leggere: è inutile che trascriva il testo o tenti di riassumerlo.


L'immagine dei cristalli di quarzo riportata sul libro non rende ragione della bellezza dei cristalli che questo minerale esibisce nelle sue svariate forme: trattasi di un disegno a china, non di una fotografia.
Molti ammirano l'ametista, con le sue sfumature violacee; o il quarzo rosa, oppure il quarzo rutilato - che nella trasparenza del cristallo imprigiona sottili inserzioni filiformi di rutilo - biossido di titanio.


All'ametista è associato un antico mito: la ninfa omonima fu trasformata in cristallo da Artemide per fuggire le avance di Dioniso. Il colore viola si deve proprio al vino con cui la divinità festaiola avrebbe inondato la ninfa: dopo essersi pentito del suo comportamento, Dioniso avrebbe conferito alla pietra la proprietà di preservare dagli effetti dell'alcool gli uomini.


Il quarzo (con particolare attenzione al cristallo di rocca) fu studiato per le sue proprietà piezoelettriche (uno dei pionieri di questi studi fu Pierre Curie, che notò come un cristallo compresso fosse in grado di emettere un impulso elettrico) e per questo trova tuttora numerose applicazioni in elettronica (orologi al quarzo, come il mio nuovo Casio G-Shock, radio e altri apparecchi digitali).


Essendo trasparente all'UV, il quarzo è utilizzato per costruire le cuvette nelle quali si pongono le soluzioni dei campioni da saggiare mediante questa tecnica spettroscopica.


In una vecchia scatola con coperchio trasparente ho raccolto qualche campione cristallino (non sono tutti di quarzo: alcuni sono campioni di calcite): ripropongo sopra una foto di uno dei pezzi a mio avviso più significativi.

Tra le rocce, ho anche qualche campione di quarzite: una roccia metamorfica, costituita in larga parte da quarzo e da altri minerali (feldspati, miche, carbonati) che permettono di ricostruirne la genesi. Si usa in edilizia, nella fabbricazione di refrattari, ceramiche e vetri; anche in certi impianti dove sono necessari materiali resistenti alla corrosione dovuta ad acidi. Il quarzo e i materiali derivati sono attaccati solo dall'acido fluoridrico.

domenica 19 giugno 2016

Girovagando tra le Dolomiti ...

Nell'ultimo post accennavo a Gilbert, Churchill e alla loro opera letteraria pubblicata nel 1864, grazie alla quale le Dolomiti hanno preso il loro nome: The Dolomite mountains.


Altri viaggiatori inglesi hanno seguito le orme di questi due esploratori; ricordo la scrittrice ed egittologa Amelia Edwards (1831-1892), che racconta le sue peregrinazioni in Untrodden peaks and unfrequented valleys (1872). 


La Edwards cita nel suo libro anche il "grazioso nuovo villaggio di Cadola", per il quale ella transitò salendo lungo la strada Alemagna da poco costruita (grazie alla lungimiranza degli austriaci, che la realizzarono intorno al 1830). In una foto di qualche anno posteriore, possiamo immaginare come la viaggiatrice potrebbe aver visto l'abitato: su questa immagine ho costruito il manifesto pubblicitario per la festa del paese prevista per il prossimo fine settimana (e così ve la propongo).


Tra le Dolomiti (in Agordo) inizia anche il viaggio attraverso Il Belpaese (1876) dell'abate rosminiano Antonio Stoppani (1824-1891). Docente di geologia a Pavia e a Milano, il sacerdote racconta nel suo celebre libro la geografia fisica dell'Italia, immaginando di conversare in un salotto borghese con i nipoti. 


Non manca anche qui una rappresentazione del Pelmo.


Suggestiva è la descrizione di Alleghe e del suo lago, nato in seguito a una frana, caduta nel 1771, che ha sbarrato il corso del Cordevole.


Fate un click  sull'immagine per ingrandirla e leggere più comodamente il passo. Alla prossima puntata... e chiudo con un'immagine di un'eruzione del Vesuvio (1822), tratta sempre dall'opera di Stoppani.


Chissà che un giorno non possa postare foto tutte mie di questo celebre vulcano!

venerdì 17 giugno 2016

Sul Pelmo...

Ho concluso l'ultimo post con una vista del monte Pelmo, il massiccio che domina al contempo la Val Fiorentina, la Valle del Boite e Zoldo. Un'altra vista di questo monte l'ho proposta nel testo dedicato ai minerali, con la vista dalla cima del Serva; così lo si ammira invece dal monte Rite, dove Messner ha realizzato il suo famoso museo.


Partendo da Staulanza, il passo che separa Zoldo dalla Val Fiorentina, è possibile intraprendere il giro attorno al Caregòn, come viene chiamato dalle genti del luogo. Esse immaginano il Creatore che, dopo aver disposto le cime aguzze delle Dolomiti, voleva riposare: pertanto plasmò il Pelmo con la sua conca (sede un tempo di un ghiacciaio) dove sedersi. Caregòn, in dialetto, vuol dire seggiolone


Eccolo in un dettaglio di un acquerello di Josiah Gilbert, l'esploratore inglese che viaggiò tra le montagne a nord di Venezia poco più di un secolo e mezzo fa, in compagnia dello scrittore Churchill: a loro dobbiamo oggi il nome Dolomiti - dal titolo del loro diario di viaggio: "The Dolomite mountains", pubblicato nel 1864.


Diversi ritrovamenti (tra i quali anche le celebri orme dei dinosauri sul Pelmetto) permettono di ricostruire la storia geologica del Pelmo e della zona limitrofa. Ad eventuali avventori: non immaginatevi di recarvi in loco e di trovarvi in Jurassic Park. Incontrerete marmotte, magari qualche vipera, ma niente sauri ipertrofici: alcune tracce sulla roccia ci raccontano che un tempo son passati di là, ma niente di più.


Il giro prosegue, allietato dal profumo del pino mugo (non raccoglietelo, nemmeno gli aghi: è specie protetta) e il sentiero porta al Rifugio Venezia.


Dal punto di vista geologico, il Pelmo è un libro aperto sul Trias superiore (carnìco e retico): l'escursionista cammina sulla Dolomia principale, la roccia che compone le pareti verticali del massiccio. 


Qua e là ho notato (e fotografato) alcuni campioni di calcite (un minerale formato da carbonato di calcio che si distingue per la caratteristica effervescenza a freddo se trattato con HCl diluito). 


Le foto non rendono la bellezza dei cristalli (il reticolo cristallino permette di distinguere la calcite dall'aragonìte, anch'essa formata da carbonato di calcio).


Al Pelmo, oltre che leggende, disegni, acquerelli e dipinti di vari autori, è stata dedicata anche la seguente canzone di Bepi De Marzi, il cantore della montagna veneta. Buon ascolto!



martedì 14 giugno 2016

UN PAIO DI VECCHIE ESCURSIONI ...

In questo post propongo qualche scatto di due escursioni non recenti, aventi entrambe come meta l'Alto Agordino.

La prima ci porta a Cherz, sopra Livinallongo del Col di Lana: salendo verso il confine con la provincia di Bolzano è possibile ammirare un tipico paesaggio alpino, con il Settsass sullo sfondo.


Proseguendo oltre, si raggiunge una zona incontaminata che, per la pace, i pascoli e i tabià ricorda la Svizzera - anche se in realtà rimaniamo in provincia di Belluno.


Tra i prati, un ponticello su un corso d'acqua e una macchia viola (fiori sbocciati che si concentrano ove potrebbe esserci stato un laghetto) si fanno catturare dall'obiettivo del fotografo.


La seconda escursione è assai impegnativa per la lunghezza: parte dal castello di Andraz, ai piedi del passo Falzarego, e porta fino a Colle Santa Lucia, sull'antica via del ferro ricordata come Strada della Vena. Tale strada era percorsa dai carrai che trasportavano la siderite manganesifera, estratta dalle miniere del Fursil, nella Val Fiorentina, verso il Castello di Andraz e da là verso Bressanone - il cui vescovo conte era proprietario delle miniere e faceva imprimere sul ferro lavorato il caratteristico sigillo con l'agnello.

Lungo la strada è possibile sostare ed ammirare paesini come Laste di Rocca Pietore, a me particolarmente caro - tanto da desiderare che le mie spoglie mortali riposino un giorno lassù, in una tomba senza nome.


Caratteristico è anche l'abitato di Larzonei, con il gruppo del Sella sullo sfondo.


Dal Sella, il mitico Galep (Aurelio Galeppini, disegnatore di Tex) ha eseguito nel 1951 questo Studio delle Dolomiti:


Riprendiamo il nostro cammino e raggiungiamo infine la meta: ecco Colle Santa Lucia, le miniere del Fursil (da cui si estraeva la già citata siderite manganesifera) e sua maestà il Pelmo che domina la Val Fiorentina nella sua solennità.


... ciao!


domenica 12 giugno 2016

VECCHI SCATTI DA VALLE IMPERINA

Prima di mostrare una foto d'insieme della mia piccola esposizione di minerali e rocce, mi soffermo un poco nel raccontarvi qualche giro tra le Dolomiti - giri che si rivelano ghiotte occasioni per prendere un po' di aria fresca e scattare qualche foto. In questo post presento un luogo a me particolarmente caro: le miniere di Valle Imperina, alle porte di Agordo. 


L'attività estrattiva è documentata fin dagli inizi del XV secolo: si suppone sia di gran lunga antecedente. Il minerale estratto è ricco di rame (calcopirite) e contiene anche tracce di argento e arsenico (arsenopirite).


Il minerale era sottoposto a una cernita: quello ricco di rame era inviato ai forni, quello meno ricco era arrostito in apposite roste al fine di ossidare il solfuro a solfato: oggi, la ricostruzione di una di queste roste è visibile lungo il percorso che attraversa la valle interessata dall'antico sito minerario.


Il solfato di rame, ottenuto per arrostimento del solfuro, è solubile in acqua: in questo modo si separa dal resto del materiale estratto, che precipita sul fondo di opportune vasche. 
Aggiungendo rottami di ferro, avviene una reazione di ossidoriduzione: il ferro passa in soluzione (che da blu diventa verdolina) e si deposita il rame, il quale è poi inviato alla fusione. 


La soluzione di solfato ferroso, chiamato un tempo vetriolo verde, costituiva un interessante sottoprodotto, usato in tintoria come mordente o nella fabbricazione degli inchiostri ferro-gallici.


L'edificio dei forni è stato oggetto di un pregevole restauro conservativo e oggi è usato come sala polifunzionale. 


All'interno si ammirano ancora i resti delle imponenti fornaci per le fusioni dei metalli e si percepisce un leggero odore sulfureo.


In antichi testi di metallurgia si trovano gli schemi di questi impianti, con riferimento ad Agordo e alle sue miniere.



Le operazioni di fusione del minerale richiedevano molto carbone di legna: alle dipendenze della miniera c'erano anche boscaioli e carbonai, che fornivano il combustibile necessario al funzionamento dei forni. Il carbone, nell'attesa di essere utilizzato, era stoccato nell'apposita carbonaia, della quale oggi rimangono i muri perimetrali.


L'attività estrattiva era assai impattante sull'ambiente circostante. Foto d'epoca mostrano la montagna senza vegetazione; sul fondo del corso d'acqua (torrente Imperina) permangono i segni indelebili di oltre cinquecento anni di attività estrattiva...


... che meglio si notano alla confluenza dell'Imperina (rosso) con il Cordevole (azzurro).


Le condizioni di lavoro dei minatori erano difficili. Le operazioni di estrazione avvenivano in gallerie, poco illuminate, sempre piene d'acqua e minacciate di crolli continui.


Oggi l'ingresso alle gallerie è impedito da opportuni cancelli, anche se qualcuno (non io) si arrischia a penetrare nel sottosuolo (magari in cerca di minerali).


La prima volta che sono stato a visitare il sito, i sentieri che portavano alle gallerie erano segnalati da opportuni cartelli e resi agibili dalla cura di prati e sottobosco.


Oggi questa montagna sembra proprio dimenticata, anzi completamente abbandonata: ecco come si presentava lo spazio antistante la galleria di Santa Barbara in occasione della mia ultima visita.


E i punti di sosta?


 ... ???


E i restauri da completare?


Questo era (una volta) il vecchio ospedale - pronto soccorso per i minatori. Qua e là spuntano i resti della vecchia teleferica che portava il materiale da fondere alla zona dei forni. E tra i muri di pietra le acque scendono a valle ... 


... fermandosi qua e là a giocare con la luce del sole al tramonto.


Concludendo: Valle Imperina è un luogo da conoscere e visitare. Quando ammiriamo le cupole della "Basilica della Salute" a Venezia, opera di Baldassarre Longhena (immortalata da molti pittori, tra i quali ho scelto il bellunese Ippolito Caffi nel centocinquantenario della morte), ricordiamo che il rame con cui sono realizzate viene dalle montagne agordine. 


Con l'avvento della Rivoluzione Industriale, le piriti (quindi anche la pirite cuprifera) divennero e furono per diversi decenni la materia prima necessaria alla fabbricazione dell'acido solforico (oggi si usa invece lo zolfo di provenienza petrolifera).


Gli stabilimenti per produrre l'importante composto si trovavano in pianura e per portarvi il minerale estratto fu realizzata una ferrovia poi dismessa con la chiusura definitiva delle miniere mezzo secolo fa: all'ingresso del centro minerario, sotto un portico, fa mostra di sé una motrice che correva lungo il binario elettrificato da Bribano ad Agordo (motrice di cui mio fratello possiede un modello lavorato a mano).