Nel video potete ascoltare il Kyrie di una messa a tre voci dedicata a Sant'Ignazio di Loyola, scritta da Domenico Zipoli, missionario gesuita in Paraguay.
La musica era composta per essere eseguita dai nativi durante le celebrazioni nella chiesa della Riduzione, probabilmente per la festa del Santo fondatore della Compagnia di Gesù.
La messa comprendeva anche il Gloria (nel video sotto), il Credo e il Sanctus, che sono stati trascritti ed eseguiti sotto la direzione del M° Luis Szaran.
Nel suo scritto "Sul cristianesimo felice nelle riduzioni dei Padri della Compagnia di Gesù nel Paraguay", Lodovico Antonio Muratori celebrava i cori, le orchestre e le musiche eseguite come qualcosa di paradisiaco, che nemmeno in Europa poteva udirsi nulla di più bello.
Di Rosalind Franklin (1920-1958) abbiamo detto al post precedente: donna, ebrea, comunista, lavorava a Cambridge negli anni più algidi della Guerra fredda. Mi piacerebbe vedere i termini esatti del contratto con cui era stata assunta da Wilkins, che la riteneva un'assistente e non una sua pari grado. Forse per questo egli si arrogava il diritto, in quanto capo, a mettere le mani sul lavoro della sua sottoposta e farne l'uso che più gli aggradava: dal punto di vista etico, ciò potrebbe risultare scorretto, ma - spulciando il contratto e i termini della collaborazione - potrebbe emergere che tutto risulti corretto da un punto di vista legale. Non ho i mezzi per dirimere la questione (interessante, anche se è giusto restituire alla Franklin il suo ruolo nella scoperta della doppia elica del DNA: a proposito leggiamo di Matt Ridley, Francis Crick. Lo scopritore del codice genetico, Torino, Codice Edizioni, 2010) e procedo oltre.
Di Dorothy Hodgkin (1910-1994) non si parla mai: donna anch'ella, "british" anche se pacifista e femminista, lavorava a Oxford. La ricordo oggi, 29 luglio, a ventisei anni dalla morte. Come la Franklin, ella era una cristallografa e come la Franklin si trovò a lavorare su molecole di interesse biologico: insulina, vitamina B12, penicillina (a dx nella foto sotto), colesterolo.
Da brava "british" - anche se un po' eccentrica, ma sempre composta - si sposò ed ebbe tre figli. Come donna-scienziata trovò numerose difficoltà a poter partecipare ai convegni internazionali, sebbene si adoperasse per far partecipare gli scienziati dei paesi del Patto di Varsavia.
Ella presenziò a quello che nel 1946 condusse alla fondazione della Società internazionale di Cristallografia. L'anno dopo divenne membro della Reale accademia inglese delle Scienze.
Le sue scoperte le meritarono il Nobel nel 1964. I giornali intitolarono: Oxford housewife wins Nobel prize - Una casalinga di Oxford ha vinto il premio Nobel. Ella era infatti nota come la signora Hodgkin, ma quello era il cognome del marito: da nubile ella si chiamava Crowfoot.
Tra le cose che notò c'è la seguente: irradiando il colesterolo con raggi X si aveva la rottura tra gli atomi di C 9 e 10, con apertura dell'anello B e rotazione. Si osservava la struttura triciclica della vitamina D3 come prodotto. Ecco un passo importante per la comprensione della biosintesi della vitamina D attraverso la reazione fotochimica, attivata dai raggi del sole, che avviene sotto la cute.
A questo punto aggiungo al post un richiamo a una terza donna, che ha la colpa più grande di tutte: essere cattolica e pure suora domenicana. Si tratta di Suor Miriam Michael Stimson OP (1913-2002), nata a Chicago anche se di origine inglese e irlandese - donde la Fede.
Frequentò il San Joseph College and Academy, dove si diplomò, si laureò e maturò la sua vocazione religiosa, entrando nella famiglia di San Domenico. Si trasferì alla Siena Heights University, ove completò la sua formazione e divenne docente di chimica.
Si interessò alla spettroscopia infrarossa; mise a punto la tecnica dell'IR in solido (mediante l'uso di pastiglie di bromuro di potassio, note a tutti gli studenti di chimica) e se ne servì per studiare il DNA. Dopo Marie Curie, fu la seconda donna a tenere lezioni alla Sorbona. Fu tra i primi scienziati a intuire che "il cancro" potesse essere conseguenza di un danno genetico.
A parità di contributi dati, non solo in termini scientifici ma anche in termini di emancipazione femminile, tra una compagna schiva, ribelle e insofferente, una signora borghese un po' eccentrica e un'austera suora cattolica, vi lascio scegliere chi tra queste meriti di essere lasciata cadere nell'oblio per prima.
Intanto vi lascio l'immagine della quarta di copertina del libro The soul of DNA di J. Tsuji, dedicato a Sr. Stimson OP.
Il 25 luglio 1920 - esattamente cent'anni fa - a Kensington (Londra) nacque Rosalind Franklin, secondogenita in una famiglia agiata, unica femmina accanto a tre fratelli.
All'età di nove anni fu iscritta in un collegio femminile, nel Sussex, ove si applicò sia ai lavori manuali sia alle materie di studio. Eccelse in geografia e in geometria, ma in scienze fu la prima della sua classe. All'età di undici anni si trasferì alla St. Paul, una scuola di Londra, nota per il suo rigore.
A diciotto anni si iscrisse all'Università di Cambridge, ove poté ascoltare le lezioni di Thompson, Haldane e soprattutto di Bragg e di Bernal, pionieri nella tecnica della diffrattometria ai raggi X, che permette di studiare i cristalli.Si laureò nel 1941. Lavorò con Norrish sulla porosità del carbone e sulle proprietà delle fibre di carbonio. Nel 1945 discusse la tesi di dottorato in chimica-fisica.
Terminata la Seconda Guerra mondiale, si trasferì a Parigi per quattro anni. Vi conobbe Vittorio Luzzati - il quale le procurò la prima pubblicazione sugli Acta Crystallographica.
Dopo un breve periodo trascorso a studiare proteine in soluzione con Randall, ella passò a lavorare per Wilkins - che si occupava di DNA. Il rapporto con quello che doveva essere il suo nuovo "capo" non fu mai idilliaco: essi erano coetanei, la Franklin riteneva di avere più esperienza e Wilkins non sopportava il carattere non facile di quella che riteneva essere solamente una sua "assistente esperta".
E poi , a complicare le cose, Rosalind era una donna ebrea in un mondo di uomini inglesi, anglicani o laici: e aveva simpatie comuniste e inclinazioni pacifiste - che collimavano con il pensiero liberale e la tradizione.
In un convegno tenuto a Napoli nel 1951, Wilkins presentò i suoi studi sul DNA ad un pubblico attento. Tra gli ascoltatori, un giovane James Watson.
Nello stesso anno, Rosalind Franklin ascoltò Linus Pauling a Stoccolma presentare l'alfa-elica delle proteine, una struttura tridimensionale che la catena di amminoacidi assume grazie a ponti - idrogeno che si stabiliscono tra i legami peptidici: è proprio quella struttura che, nella cheratina dei capelli, il vostro parrucchiere modifica ad arte per far la permanente e la messa in piega...
L'incontro ispirò il lavoro della scienziata - che nel frattempo non rivolgeva più la parola al suo capo. Wilkins fece alcune copie delle lastre di Rosalind e le mostrò a Watson e a Crick, che si affrettarono a pubblicare su Nature il famoso articolo nell'aprile 1953, nel quale annunciavano di aver scoperto la doppia elica del DNA. L'articolo di Rosalind, sullo stesso tema, uscì sulla rivista di cristallografia qualche settimana dopo: Nature è un settimanale mentre Acta è un mensile.
Ella si trasferì in Israele, dove lavorò al virus del mosaico del tabacco (immagine sotto) e al virus della poliomielite; nel 1956 viaggiò in America per presentare i risultati delle sue ricerche. Aveva descritto per la prima volta la struttura di un virus, formato da un capside proteico che custodisce un acido nucleico, osservando come le proteine del capside servano al virus per aderire alla cellula ospite ed infettarla.
Mentre era negli USA, dolori fortissimi all'addome la costrinsero a un ricovero e a un intervento chirurgico urgente per rimuovere due tumori alle ovaie.
Nel 1957 scrisse gli ultimi articoli. Il 15 aprile 1958 morì. Nel 1962, Watson, Crick e Wilkins vinsero il Nobel per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA.
Nella puntata trasmessa questa stasera, il mitico Dr. House - nella finzione della serie tv - è stato alle prese con un avvelenamento da selenio.
Il selenio è un elemento (simbolo Se, Z = 34), scoperto da Berzelius nel 1817 e così chiamato in onore di Selene, nome greco della luna. Appartiene al gruppo dell'ossigeno, insieme a zolfo e a tellurio (il cui nome deriva da tellus, che in latino significa terra).
Il selenio si combina con:
l'idrogeno per formare il seleniuro di diidrogeno, H2Se, gas velenoso, infiammabile, dall'odore sgradevole, che in acqua forma soluzioni acide (acido selenidrico);
i metalli per formare seleniuri metallici, attraverso una reazione di sintesi diretta tra gli elementi. Alcuni seleniuri sono semiconduttori (anche il selenio elementare lo è e per questo era utilizzato nella fabbricazione di diodi raddrizzatori, commerciati almeno fino agli anni Settanta).
Con l'ossigeno, esso forma il diossido di selenio o anidride seleniosa, composto utilizzato nella sintesi organica come ossidante selettivo (ad esempio, nella reazione di Riley che da un chetone con un protone acido in alfa porta alla formazione di un dione).
Il selenio e i suoi composti trovano impiego nell'industria elettronica (fotocellule, pannelli fotovoltaici), nell'industria della gomma (come antiabrasivo), nella fotografia, nella xerografia, etc.
Il selenio riveste una notevole importanza biologica come micronutriente: esso caratterizza la molecola della selenocisteina, un amminoacido raro che rientra nella composizione di alcuni enzimi come la 5-deiodinasi (che nella tiroide toglie un atomo di iodio all'ormone T4 per trasformarlo nel T3).
Svolge inoltre delle funzioni antiossidanti e protettive delle membrane cellulari, analogamente alla vitamina E: esso rientra nella composizione di selenoproteine come la glutatione perossidasi e la tioredoxina reduttasi. Alcune selenoproteine svolgono un'importante azione anche sul sistema immunitario.
Gravi deficit di selenio nella dieta (cosa rara nei paesi industrializzati, visto che i cibi che lo contengono nelle giuste quantità sono alla portata di tutti) sono associati a diverse patologie; tuttavia, anche elevate dosi di questo elemento (o meglio, il contatto con certi suoi composti - come il diossido o taluni seleniuri) possono dar luogo a gravi intossicazioni (selenosi) che si manifestano con nausea, vomito, diarrea, fragilità delle unghie, perdita dei capelli, etc.
Il paziente di House - ripeto: nella finzione della serie tv - si è intossicato consumando generose dosi di noci del Brasile (Bertholletia excelsa). Qualche anno fa, un'intera famiglia (non in una fiction, stavolta) è rimasta intossicata dal diossido di selenio che il figlio si era procurato con l'intenzione di realizzare la reazione di Riley nella cucina di casa. Risultato: cibi contaminati e parenti intossicati.
Nel 2014, un uomo di 55 anni, tedesco, si presentò ad un pronto soccorso di Marburg, una città universitaria a nord di Francoforte sul Meno, oggi sede di una prestigiosa facoltà di medicina e luogo dove fu istituita la prima cattedra di chimica della storia dell'istruzione universitaria, affidata nel 1609 a Johannes Hartmann.
Torniamo al paziente: il personale sanitario rilevò un’insufficienza cardiaca, febbre, cecità, sordità e linfonodi ingrossati. I medici erano perplessi e si chiedevano che cosa potesse causare un simile quadro.
Il dottor Juergen Schaefer, mentre i colleghi non capivano cosa potesse affliggere l’uomo, pervenne a formulare una diagnosi in cinque minuti. E non si affidò al bagaglio di conoscenze accumulate negli anni di studio, ma - per sua stessa ammissione - al ricordo di una puntata della serie televisiva "Dr. House", nella quale l’eccentrico protagonista risolveva un caso simile.
Nella puntata, una donna arriva da House con gli stessi sintomi mostrati dall’uomo tedesco e il medico diagnostica un avvelenamento da cobalto. Così fece anche Schaefer: prescrisse un prelievo del sangue per dosare il cobalto nel plasma e la diagnosi si rivelò esatta.
Il malato aveva riferito che i problemi erano cominciati dopo un intervento per sostituire una protesi ceramica all’anca. Si è scoperto così che frammenti di quella ceramica graffiavano il rivestimento della nuova protesi metallica i quali cedevano cromo e cobalto che finivano nel circolo ematico.
Schaefer, a quanto pare, trova utile impiegare gli episodi della serie televisiva "Dr. House" per insegnare agli studenti la diagnosi di malattie rare. Ha anche pubblicato un libro intitolato: Housemedizin: Die Diagnosen von “Dr. House”, pubblicato da Wiley e acquistabile on-line.
Spero non abbia la mania di trapanare crani ed esplorare encefali come spesso (quasi in ogni episodio) si vede fare ai collaboratori del diagnosta nel piccolo schermo.
In un'altra puntata, il dottore (di cui ammiro quella sana e compiuta stronzaggine che a me manca e che tanto invidio al personaggio da desiderarla ardentemente) è ancora stato alle prese con intossicazioni da metalli pesanti: sul letto dell'ospedale, ecco un uomo avvelenato dalla moglie con tioglicolato di oro e sodio - principio attivo di un farmaco usato nel trattamento di certe forme di artrite.
Per smascherare l'avvelenatrice, House cosparge la sua mano con una soluzione di cloruro di stagno (II) e stringe quella della donna sporca del composto aurico: si forma la porpora di Cassio, un precipitato di oro colloidale dal colore viola, la formazione del quale potete ammirare nel video sotto.
Ezio Bosso (1971-2020): nonostante non mi occupi più di musica da tanto tempo e non abbia più intenzione di occuparmene, spendo due righe per ricordarlo a due mesi dalla morte, in particolare per ricordare una testimonianza che deve far riflettere tutti, specie quando si parla di diritti e di conquiste sociali.
Lui, figlio di un operaio, originario di un quartiere di Torino, Borgo San Donato, ha studiato musica ed è diventato musicista di professione. Sarebbe piaciuto anche a me da adolescente seguire questa strada e per fortuna - lo ribadisco ancora una volta! - che poi ho percorso altre vie: insegnare musica non mi avrebbe appagato come mi appaga invece l'insegnare scienze naturali (e per questo ringrazio ancora e mai smetterò di ringraziare alcuni Docenti, ai tempi dell'Università, che hanno illuminato il mio cammino con il loro esempio e il loro sapere).
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"I figli degli operai fanno gli operai, i figli dei musicisti fanno i musicisti". - Così disse un insegnante a suo padre e diventare musicista fu per lui un atto di ribellione: Ezio Bosso ricordò l'episodio a un giornalista dell'Espresso che lo intervistava. Una frase terribile, classista, che ancora si sente pronunciare nei corridoi delle nostre scuole, nonostante la Costituzione con il suo articolo 3, che afferma:
"Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Purtroppo rammento che una frase simile a quella ricordata dal Maestro la pronunciò per me al liceo un altro insegnante, il quale mi aveva pronosticato un futuro breve e tragico.
"Tu sei un drogato" - mi disse davanti ai compagni di classe: lo disse a me, che non ho mai fumato nemmeno una sigaretta, figuriamoci se ho mai fatto uso di altre cose più pesanti, come comprovano le numerose analisi che feci per altri problemi di salute - "prenderai la patente e morirai dopo tre giorni in un incidente stradale, schiantandoti contro un muro".
Ebbene, io sono qui a raccontare l'episodio, per quanto disgustoso e triste, a distanza di un quarto di secolo: il futuro breve fu suo. L'insigne ed esemplare docente fece la fine che augurò a me: morì un anno e mezzo dopo in un incidente stradale finendo miseramente in fondo a una scarpata. Andai al suo funerale e non per cristiana pietà.
Quel che mi dispiace ancora è l'aver dovuto continuare a frequentare quella scuola. Mio padre non volle sentire ragioni e mi costrinse a finire quel percorso, nonostante mi rifiutassi di frequentare e infatti abbandonai (de facto, non de jure: mi impedì di far domanda di abbandono degli studi) la classe terza a due mesi dalla fine dell'anno scolastico: e ammetto che anche prima facessi di tutto per non frequentare. Mi sentivo morire, arrivavo a scuola e vomitavo la cena della sera prima insieme alla colazione del mattino; e defecavo sangue. Non ero creduto dai miei genitori e nemmeno dal medico di base (meglio lasciar perdere...). Per inciso, la stessa sensazione di nausea la provo adesso, ogni volta che ci passo davanti.
A malincuore sono arrivato alla fine, ho preso il mio diploma con 98/100 e per ripagarmi dell'impegno il babbo mi ha costretto a interessarmi delle sue attività sociali, sperando che prendessi passione di esse, con il risultato che non ne posso sentir parlare, come ovviamente non posso sentir parlare di matrimonio, di famiglia e di molte altre cose gradite al genitore.
Per fortuna poi, ho avuto la forza di impegnarmi in altri ambiti, nonostante l'opposizione familiare. Non mi sono tuttavia realizzato come volevo: e forse ormai non mi importa più. Non ho realizzato nemmeno quello che gli altri si attendevano per me e non darò mai loro soddisfazione. Per ora ho un lavoro che tutto sommato mi piace e che cerco di svolgere con passione e competenza; ho scoperto la bellezza della solitudine, del silenzio e della Natura, che hanno preso completamente il posto della musica e di un certo modo - che personalmente trovo inutile, vuoto e bigotto - di vivere la religiosità.
Ognuno faccia quel che gli pare, ma lasciatemi dire che pubblicare sistematicamente sulla pagina personale di un qualsivoglia social il versetto di un salmo, la citazione dello scrittore di moda o la foto dell'ultimo pensiero del cardinale Ravasi sul giornale del mattino non innalza lo spirito, non rende liberi, non santifica la giornata, non purifica la memoria. Ci si illude che sia così.
Ritengo, nel mio piccolo, di non avere affatto bisogno di queste quisquilie e le lascio volentieri a quelle persone miserrime che cercano commiserazione nel raccontare al mondo le tempeste che hanno dentro, quando non si rendono conto dell'inferno che hanno spalancato nel cuore altrui.
Mi sono ritrovato a consultare qualche pagina dei celebri quattro volumi di Patologia generale, opera del Professor Domenico Campanacci (morto nel 1986), docente all'Università di Bologna dal 1953, dei suoi allievi e collaboratori.
Ovviamente non sono un medico e non entro nei dettagli del testo e di chi l'ha scritto, ma riporto le foto delle pagine 3, 4 e 5 del primo volume con una bellissima riflessione filosofica che conserva una certa attualità - oserei dire che essa pare quasi proiettata verso una "eternità", per la profondità di pensiero che traspare dalla lettura dello scritto e il rigore dell'approccio.
Il termine “lobotomizzato” viene usato raramente, più che altro per definire scherzosamente una persona con poche emozioni o pensieri propri.
A metà del XX secolo la lobotomia era invece una pratica medica ampiamente diffusa, utilizzata per trattare malattie, o malesseri, come la schizofrenia, la depressione, ma anche l’euforia sociale (celebre il caso di Rosemary Kennedy).
Dopo esser stata inventata nel 1936 dal dottor António Egas Moniz (1874-1955), che per la scoperta vinse un controverso Nobel, raggiunse la massima diffusione dagli anni '40 ai primi anni '50 del secolo scorso.
Subisce una lobotomia anche Randle, nelle scene finali di "Qualcuno volò sul nido del cuculo", il film di Milos Forman che denunciò, nel 1975, le condizioni di vita dei pazienti negli ospedali psichiatrici americani.
Per fortuna verso la seconda metà degli anni '50 e negli anni '60, la lobotomia fu quasi completamente abbandonata sostituita dai farmaci neurolettici-antipsicotici a base di fenotiazina - come la clorpromazina - poiché questi, divenendo disponibili su larga scala, consentirono di ottenere un effetto simile a quello della lobotomia, non avendo però un effetto permanente sul paziente.
Oggi la si usa solo nelle rarissime epilessie che non rispondono alla terapia farmacologica.
Questo aneddoto mi è stato offerto tempo fa da un amico medico per riflettere sul perché parlare con eccessiva facilità di quello che dicono i premi Nobel - che apparentemente potrebbe garantire un certa tranquillità e sicurezza relativamente al fatto che non si stanno "riportando" corbellerie - potrebbe un domani riservare qualche sorpresa. Condivido lo spunto con voi.
Le Naeglerie costituiscono un insieme di organismi unicellulari più grandi e complessi rispetto ai batteri: appartengono al regno dei Protisti. Sono organismi eterotrofi: in natura, nelle acque stagnanti dove di solito vivono, le Naeglerie si nutrono di batteri.
La Naegleria fowleri (e solo essa, tra le trenta specie conosciute) può entrare nella nostra scatola cranica: là si nutre di cellule cerebrali, come racconta QUI la dottoressa Signorile, nella seconda parte dell'articolo pubblicato su Le Scienze.
Come vi giunge? Attraverso una sola via che descrivo qua sotto, nella foto fatta al post che ho messo sulla mia pagina facebook.