Questa simpatica conta per fanciulli descrive una situazione che personalmente cerco di evitare e per questo mantengo una dieta morbida e bevo almeno due litri d'acqua al giorno: tutto per tener fede alle indicazioni del medico, all'atto delle dimissioni dall'ospedale, un anno e mezzo fa, e per stare bene, che è la cosa più importante.
Fritz Kahn, Der Mensch als Industriepalast - part.
La stipsi è spesso la conseguenza di una dieta povera di fibre, di scarsa idratazione, di poca attività fisica (non che sia un gran testimonial di questo aspetto...) oppure dell'assunzione di taluni farmaci (leggete il bugiardino, tra gli effetti collaterali potreste trovare anche questo).
Prima di ricorrere a dosi massicce di lassativi, purganti o drastici (col rischio tuttavia di perdere importanti quantità di elettroliti), proviamo a introdurre tante fibre e più acqua; e a concederci una passeggiata dopo cena, accogliendo l'esortazione latina:
... post prandium stabis, post coenam ambulabis.
Dopo pranzo riposa e dopo cena passeggia: così invitavano a fare i medici dell'antica Scuola Salernitana e se avete voglia di divertirvi, leggete QUI tante altre esortazioni in rima a riguardo di igiene personale e alimentazione, alcune ancora attuali. Tralascerei la parte sul salasso, un po' demodé.
Per finire con un sorriso, c'è chi ha il problema contrario alla stipsi, come questo poliziotto americano che per correre in bagno deve spogliarsi dell'uniforme: un'operazione alquanto complicata...
Cerco e ricerco, non riesco a trovare il nome di Avicenna (980-1037) negli attuali libri di scienze ma lo scovo invece in quelli di filosofia: egli studiò a fondo il pensiero di Aristotele e meditò sull'Essere necessario (unico, semplice, eterno: sola pienezza d'essere), distinguendolo dagli enti possibili (la cui causa d'essere è e non può non essere che l'Essere necessario).
Pur essendo stato a suo tempo un grande medico, oggi Avicenna è ricordato quasi più come filosofo e commentatore dello Stagirita: la medicina è ben diversa rispetto a quella di dieci secoli fa - in particolare a quel 1025, anno in cui il medico persiano ultimò il Kitāb al-Qānūn fī l-ṭibb, il cui titolo in italiano è stato tradotto con Il Canone della medicina.
La stesura dell'opera fu iniziata dall'autore dodici anni prima: il lavoro ultimato esattamente mille anni fa assunse il profilo di una vera e propria enciclopedia medica che, nelle cinque parti in cui fu suddivisa, ebbe il merito di condensare secoli di tradizioni provenienti dal mondo greco, da quello romano, arabo e orientale e per questo ha tuttora una valenza storica inestimabile. Credo che altrettanta valenza non abbia sul piano pratico e ancor più su quello scientifico, ma lascio questa discussione ai medici - storici della medicina.
Essa è così articolata:
Principi e teorie della medicina, inclusa una parte di anatomia del corpo umano.
Farmacologia: elenco alfabetico delle sostanze medicinali e delle loro proprietà.
Diagnosi e cura delle malattie di specifiche parti del corpo.
Malattie sistemiche che coinvolgono più organi.
Combinazioni di più sostanze terapeutiche.
"Il medico ha successo se cura con i nutrienti, non con i medicamenti" - scriveva Avicenna, che riprendeva Ippocrate il quale affermò, rivolgendosi al paziente, che "il tuo cibo sia la tua medicina e la tua medicina sia il tuo cibo".
Avicenna attribuiva un valore terapeutico anche al suono e alla musica: e ne approfitto per proporre l'ascolto di suggestive armonie tradizionali persiane.
Tra le pagine del Canone emerge una forma molto embrionale della teoria dei germi, pensati ipoteticamente come cause delle malattie, invisibili all'occhio, la cui trasmissione avverrebbe (e avviene) attraverso l’aria, l’acqua e il suolo contaminati. Un'idea che sarebbe stata ripresa e sviluppata da Fracastoro cinque secoli più tardi, come ho avuto modo di dire ampiamente anche in Convivenze difficili, il mio ultimo libro. A proposito di malattie infettive, Avicenna compì importanti osservazioni sulla meningite e sulla tubercolosi.
Osservò anche come, a fronte del dilagare delle epidemie, l’isolamento di un malato per un arco temporale di quaranta giorni contribuiva a scongiurare la diffusione del contagio su scala sociale: "si rende necessaria la separazione dei luoghi" - scriveva Avicenna, "così da avere da un lato i sani, e dall'altro i malati".
Nel XII secolo, Gerardo da Cremona tradusse per la prima volta il Canone in latino: compì l'opera mentre si trovava a Toledo. Una successiva traduzione fu opera di Andrea Alpago, pubblicata a Venezia nel 1507.
Qualche notizia su questo medico veneto del Rinascimento e docente della Patavina Universitas Studiorum si legge sul Dizionario Biografico degli Italiani: su di esso mi soffermo, essendo egli originario di Belluno.
La città ne conserva due ritratti visibili dai cittadini: uno eseguito dal pittore ottocentesco Giovanni De Min, in municipio, e l'altro, come bassorilievo, visibile sulla facciata dell'antico palazzo di famiglia in via San Lucano.
Nato in Cividal di Belluno nel 1450 circa (di lui molte notizie non sono certe), figlio del notaio Nicolò, Andrea sembra essere discendente da Enrichetto da Bongaio, primo conte di Alpago. In alcuni documenti è citato come Andrea Bongaio (o Mongaio).
All'età di vent'anni si trasferì a Padova per studiare medicina; il 12 maggio 1479 venne ammesso al Consiglio dei Nobili della città natale. Nel 1481 ottenne il dottorato in filosofia e nel 1482 il titolo in medicina. Dal 1487 si trasferì a Damasco quale medico personale dei diplomatici veneziani; in Oriente viaggiò molto, tra Siria, Egitto e Cipro (dove approdò nel 1517).
Apprese l'arabo, tradusse in latino il Libro delle definizioni e altre opere di Avicenna, rivisitò da capo a fondo il Canone di Medicina (contribuendo alla sua diffusione in Occidente fino all'avvento dell'Illuminismo e dell'uomo-macchina di La Mettrie) e approfondì altri aspetti della cultura dei popoli mediorientali che presentò all'università di Padova una volta rientrato in patria, nel 1520, distinguendosi quale dotto arabista.
Nel 1521 gli fu affidato l'insegnamento della medicina pratica, che esercitò per poco, essendo mancato agli inizi del 1522.
L'altra sera ho visto in televisione il film "Medicus" (titolo originale: The Physician, 2013), tratto da un romanzo dello scrittore Noah Gordon. Protagonista della vicenda - storicamente collocata alla fine del X secolo d.C. - è un ragazzo, Rob Cole, rimasto orfano da giovane, che riconosce la capacità di presentire l'arrivo della morte per chi gli è vicino e vuol svilupparla per salvare le persone che incontra.
Dapprima segue i rozzi insegnamenti di un barbiere cerusico; poi, osservando un medico ebreo mentre opera lo stesso cerusico di cataratta, si rende conto di voler apprendere l'arte medica e per questo decide di recarsi a Esfahan, in Persia (odierno Iran), ove insegna il grande Ibn-Sina.
Giunto in Egitto via nave, Rob sbarca, si presenta come un giovane ebreo (ai cristiani era proibito l'ingresso nel mondo arabo) e si accoda ad una carovana, poi dispersa da una tempesta di sabbia. Con la carovana viaggia anche Rebecca, una giovane ebrea promessa sposa a un ricco mercante - e futura amante di Rob. Questi riesce a giungere ad Esfahan, stremato; viene soccorso e curato dallo stesso Ibn-Sina che lo ammette alla sua scuola, facendone il migliore dei suoi allievi.
La presenza di studenti stranieri nella scuola, gli insegnamenti troppo "laici" del maestro e la forza della comunità ebraica nella città infastidiscono la suprema guida religiosa, che imputa a tutto ciò la causa della decadenza dei costumi ed è intenzionato a purificare la città alleandosi con i Selgiuchidi per rovesciare lo Scià.
I Selgiuchidi inviano in città alcuni malati di peste per diffondere il morbo tra gli abitanti e indebolire le difese al fine di facilitare l'invasione armata che seguirà. Ibn-Sina e i suoi studenti curano gli appestati e introducono delle misure igieniche per contenere il dilagare dell'epidemia.
Intanto, il giovane Rob, curioso di conoscere le cause dell'appendicite che portò a morte sua madre, pratica in segreto la dissezione di un cadavere, cosa proibita dalle leggi in vigore nella città. Scoperto, viene denunciato all'autorità religiosa, che lo condanna alla decapitazione per negromanzia insieme al suo maestro. I due sono salvati dallo Scià che ha bisogno delle cure dei due medici proprio per un attacco di appendicite.
I medici tentano un intervento chirurgico e salvano lo Scià, il quale si risveglia per guidare il suo esercito in battaglia contro i Selgiuchidi. Consapevole che il suo regno stava per finire e la città stava per cadere, indica a Rob e agli ebrei una via di fuga verso le montagne. Ibn-Sina, altrettanto consapevole della fine imminente della sua scuola, sceglie stoicamente il suicidio.
Rob ritorna in Inghilterra con Rebecca e sull'esempio di Ibn-Sina fonda a Londra un ospedale per praticare l'arte medica e curare tutti, senza distinzione di censo o di religione.
Il film è complessivamente molto apprezzabile, al di là di qualche licenza storica. La torre di Londra, che si intravede nel film, è successiva alla battaglia di Hastings (14 ottobre 1066); risale alla fine del secolo XI, quando presumibilmente tutti i protagonisti della vicenda narrata sarebbero già morti da tempo.
La testimonianza scritta del primo intervento di appendicite risale al 1735, quando Claudius Aymand (1680-1740) operò con successo Hanvil Andersen, un ragazzino di 11 anni. Il chirurgo, di origini francesi, era un ugonotto fuggito in Inghilterra per scampare alle persecuzioni religiose conseguenti alla revoca dell'Editto di Nantes mediante l'Editto di Fontaineblau voluto dal Re Sole nel 1685. Anche la vicenda di Aymand meriterebbe un film...
Ibn-Sina, conosciuto come Avicenna (980-1037), fu certamente un grande medico e sapiente persiano storicamente esistito, che tuttavia non morì avvelenandosi di proposito, ma per aver assunto un eccesso di purganti, probabilmente mal preparato da un servo.
Forse ci sarebbe qualcosa da dire anche sui Selgiuchidi, che certamente si spostarono verso la Persia nel X secolo, ma erano meno barbari e violenti di quel che appaiono nel film: gli storici attestano che si mescolarono alla popolazione locale assumendone la lingua e le usanze. Essi conquistarono Esfahan nel 1055 e ne fecero la città più prosperosa della Persia, come racconta il poeta Naser e Khosrow, anche se successivamente la stessa città fu teatro di scontri, invasioni e ricostruzioni.
Ecco come appare oggi la porta della splendida Moschea dello Scià: oggi, che purtroppo sentiamo parlare di quella terra lontana solo per fustigazioni e impiccagioni di piazza, per persecuzioni politiche e religiose, per la tensione continua sullo scenario internazionale.
A proposito di Medicus, auguro personalmente agli iscritti al nuovo primo anno di Medicina un percorso sereno, per quanto duro possa essere: ricordate che, almeno per voi, qualcuno non ha deciso a priori che il percorso di studi da voi scelto era troppo lungo e che d'innanzi ad esso il matrimonio, la famiglia e la discendenza non potevano aspettare.