Qualche giorno fa mi è stata inviata la seguente citazione: «Cinque minuti dopo la tua nascita, decideranno il tuo nome, la tua nazionalità, la tua religione e la tua tribù e tu passerai il resto della tua vita sorridendo a difendere cose che non hai scelto». Ecco lo screenshot.
L'aforisma è attribuito ad Arthur Schopenhauer (1788-1860) e sarei curioso di conoscerne la fonte, anche se mi pare di ricordare che quel filosofo, oltre al "Mondo..." e a "Parerga e Paralipomena" non abbia pubblicato molto di più. In compenso, altri hanno dato alle stampe i suoi appunti facendone delle opere postume e trattatelli di varie "arti".
Condivido l'essenza dell'affermazione: e la smania di decidere delle sorti dell'altrui vita (in potenza o in atto) non si limita a nome, nazionalità, religione, tribù. Prosegue con altri aspetti che riguardano gli studi, la professione, lo stato di vita e quant'altro. La decisione può essere in positivo (fai questo... fai quello...) o in negativo (non fare... non dire...).
Per me così è stato: sono stato chiamato Marco perché è un nome non storpiabile - come Antonio diventa Toni, Giuseppe / Bepi, Giovanni / Nani - e questo in una prospettiva che fin da prima che nascessi, quarantacinque anni fa, mi condannava alla vita del paesello dove i genitori di mio padre hanno costruito una casa per loro e per la loro discendenza. Io detesto la vita di paese e infatti ci vado solo a dormire alla sera, trascorrendo il resto della giornata in centro città ove lavoro e coltivo le mie relazioni. Nel tempo libero non esco dal cancello di casa e mi dedico alla scrittura, a collezionare minerali, a cucinare per gli amici e soprattutto a microbi, fiori e piante, molto più generosi e grati di taluni primati del genere Homo.
Sono italiano (che bella, la lingua di Dante e di Manzoni, dell'opera e delle arti figurative) e sono stato battezzato cattolico, anche se sottolineo spesso di non essere cristiano - perché con quelli che oggi si dicono cristiani non condivido molto, almeno nel senso corrente del termine, che ha un significato troppo politico e poco religioso.
Non nego che in altri e lontani tempi (ora proprio no) forse avrei dedicato al Cristianesimo tutta la vita: ma la famiglia fatta dio, con tanto di benedizione di certi pretonzoli, ha pensato bene di condannarmi al matrimonio e alla procreazione. La sentenza è ben lungi dal diventare esecutiva e intanto ha contribuito e non poco ad allontanarmi dalla pratica religiosa: e ho scoperto di stare molto meglio senza.
In gioventù avrei voluto studiare musica: ma di musica non si vive, quindi meglio lasciar perdere, sempre a detta del patriarcato. Bisognava fare l'elettricista, l'idraulico o il muratore: così sperava la nonna paterna, con tutte le sue menzogne, le malelingue e le sue manipolazioni. Così speravano certi insegnanti al liceo, campioni di classismo e di provincialismo. Caspiterina. Gli è andata male. Mi sono diplomato con 98 e laureato per due volte con lode. In che cosa, non importa. Mi sarebbe piaciuto studiare Farmacia: ma in famiglia (sempre la famiglia, solo la famiglia...) nessuno lo è, meglio pensare al posto fisso subordinato in qualche azienda - magari la stessa dove ha lavorato il babbo. Altro atto di ribellione: ho deciso di fare l'insegnante. Stipendio basso, soddisfazione personale immensa. E possibilità di studiare per gli altri quel che mi piace, con qualche feedback molto positivo.
Taccio per privacy l'autore del messaggio - che ovviamente è un mio ex alunno, attualmente studente universitario di Medicina. Ricevere questi piccoli ritorni è rincuorante, molto più di certi recenti falsi auguri di persone che provano gusto nel tentare di farsi i fatti miei. Non tutto è perduto anche se molto del mio potenziale è stato sprecato. Via i rami secchi, sperando in una primavera florida. Intanto...
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