sabato 26 novembre 2016

QUALCHE NOTA SUL CUOIO...

Uno dei materiali da noi più usati quotidianamente è il cuoio: scarpe, cinture, portachiavi, portafogli e altri accessori vari sono fatti di questo materiale. Poi c’è chi ne fa una vera e propria "religione" e di cuoio compra pure pantaloni, giubbetti, camicie e quant’altro, ma questo non ci interessa.

Incuriosisce molto di più – a mio modesto parere – l’insieme delle operazioni chimiche e meccaniche che rendono la pelle di alcuni animali imputrescibile e impermeabile, migliorandone la resistenza ad agenti chimici e le caratteristiche meccaniche. All’insieme di queste operazioni si dà il nome di concia, che si effettua solo dopo aver ripulito la pelle, sgrassandola (usando bagni alcalini), depilandola e ripulendola dagli agenti chimici usati in queste operazioni preliminari (usando bagni acidi per acido solforico, cloridrico, formico, acetico, borico, etc).

Poi, dopo un'eventuale conservazione del materiale da trattare, si effettua la concia vera e propria e all’uopo si utilizzano diverse sostanze che permettono la classificazione dei vari procedimenti.
  • La concia al tannino prevede l’impiego di sostanze di origine vegetale o sintetica per ottenere cuoi robusti, da suola o per sella.
  • La concia all’alludo utilizza allume e trova impiego nella produzione di pelli morbide per guanti.
  • La concia all’olio si avvale dell’uso di olio di pesce e permette di avere cuoi molto morbidi e pelli scamosciate. 

Il processo più diffuso oggi è la concia al cromo, che però pone notevoli problemi per la tossicità e l'impatto ambientale dei composti usati e dei prodotti di scarto. In luogo del cromo vengono usati anche sali di ferro, di zinco o di zirconio.

Le concerie a Belluno
Fino al 1957 il quartiere Borgo Piave, a sud di Belluno, era sede di un’industria conciaria attiva fin dal XVIII secolo (nel dipinto del pittore bellunese Girolamo Moech (1792-1857), riprodotto nel riquadro, si nota la ciminiera fumante, a sinistra), nota come la conceria del Piave.


A impiantarvi l’attività fu Nicolò Colle, originario di Cesana di Lentiai; questa fu mantenuta nel corso dei decenni dai discendenti e (a metà Ottocento) ampliata notevolmente con l’acquisto del fabbricato che diverrà la sede storica dell’azienda, situato sulla riva destra del Piave.

L’ubicazione non è delle più felici in quanto le piene del fiume inondano l’opificio e si rende necessario alzare e rinforzare l’argine.

Lo scoppio della Grande Guerra segna un periodo di stasi dell’attività. Gli austriaci, che nel 1917 avevano occupato Belluno, requisiscono merci e macchinari.

Dopo il conflitto lo stabilimento viene rimodernato e riprende la produzione: alla concia naturale in fosse di pietra interrate, con le pesanti mole azionate da ruote idrauliche, è stata sostituita la concia al cromo, con macchine a vapore ed elettriche.

Venire a Belluno oggi e chiedere delle Concerie Colle significa farsi indirizzare ad un prestigioso complesso residenziale con oltre quaranta appartamenti, realizzato recentemente recuperando ampi spazi lasciati vuoti da un’attività cessata ormai da cinquant’anni che ha caratterizzato la vita del borgo e alla quale il borgo è sempre stato in qualche modo legato.

Le concerie di Fez
Un ideale viaggio a Fez (Marocco) ci permette in qualche modo di ripercorrere brevissimamente la storia dell’arte conciaria.  Showara rappresenta la tradizione che si tramanda da secoli: è una delle tre concerie storiche della Medina di Fez.

Tra le piccole case della casbah si trova un ampio spazio nel quale sono poste una accanto all’altra tante vasche rotonde che nell’insieme sembrano descrivere un alveare.

Si distinguono per il colore caratteristico due zone, quella della vasche bianche e quella delle vasche colorate.


Nelle vasche bianche, colme di calce, le pelli grezze vengono ammorbidite e depilate; nelle vasche colorate le pelli precedentemente trattate vengono lasciate in ammollo per quattro giorni nei colori.

Gli operai, immersi nelle vasche fino alla cintola, lavorano le pelli con i piedi nell’inferno di un fetore indescrivibile dovuto ai prodotti chimici usati - che anche se sono di origine naturale puzzano lo stesso: calce viva, guano di piccione, piante, crusca, corteccia.

Chi c’è stato, racconta che ai turisti viene dato un rametto di menta da annusare per resistere alle esalazioni.

Una pratica ormai rara, la concia naturale: le concerie moderne, erette in quartieri industriali periferici, utilizzano invece prodotti sintetici che hanno permesso di accelerare la produzione.

Si lavora con l’acido solforico, la calce viva, l’acido formico e il cromo. Se nelle vasche tradizionali con i tannini vegetali e il guano di piccione ci volevano due mesi per trattare una pelle, in fabbrica ogni giorno ne vengono trattate duemila.

Il cromo, fortemente inquinante, viene in parte recuperato (anche se in soluzione acquosa) e rivenduto a un prezzo più basso rispetto alla forma salina solida: i conciatori così risparmiano notevolmente (il rapporto del costo del cromo riciclato e del prodotto salino nuovo è 1:3).

Nonostante questo, sono ancora molte le fabbriche che rilasciano nell’ambiente i loro rifiuti di produzione: tuttavia una serie di progetti mirano a ridurre l’inquinamento ambientale (dovuto non solo alla concia ma anche ad altre attività) di almeno il 60%.

Per approfondire:
QUI - il sito dedicato al Prof. Mauro Berto, docente di Chimica conciaria all'ITIS di Arzignano (in provincia di Vicenza, nel distretto veneto del cuoio);
QUI - una riflessione dal blog della Società Chimica Italiana sull'impatto ambientale della lavorazione del cuoio.


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