lunedì 29 marzo 2021

Molecole contro la malaria

Ho dedicato le lezioni della scorsa settimana ai protozoi, accennando anche ad alcune malattie da essi causate. Non potevo non dedicare una parte importante della trattazione alla malaria o paludismo, causata dal plasmodio - rappresentato da quattro specie appertenenti al sub-phylum sporozoa

Il plasmodio presenta un ciclo vitale assai complesso che si svolge tra l'uomo e la zanzara anofele (suo vettore attivo), sul quale qui non mi dilungo. Diversi scienziati hanno contribuito a chiarire i vari aspetti: ne accennai alla fine di un post dedicato ai Nobel per la Microbiologia, che potete leggere QUI.

La storia delle "molecole contro la malaria" è ampiamente ricordata da Penny Le Couteur e da Jay Burreson nel capitolo diciasettesimo del loro fortunato libro dal titolo "I bottoni di Napoleone" e abbraccia una serie di eventi: dal commercio della corteccia dell'albero della China, scoperto in Sudamerica e adattato dai colonialisti europei nelle colonie asiatiche fino all'isolamento della chinina da parte di Caventou e di Pelletier; dai primi tentativi di sintesi in laboratorio (incluso quello del giovane William Perkin, che ovviamente fallì ma aprì invece un nuovo settore, come dissi QUI) alla formulazione delle acque toniche, fino al lavoro di Johann "Hans" Andersag (1902-1955), chimico sintetico della Bayer, che tra le due Guerre mondiali, pur non avendo imitato esattamente la molecola della chinina naturale (per questo traguardo bisognerà aspettare il genio di Woodward e poi Stork), ottenne qualcosa che ne conservò il profilo e l'efficacia.

La clorochina è un farmaco antimalarico utilizzato tuttora per prevenire e curare la malaria. Come parte del trattamento, l'idrossiclorochina è stata sviluppata sia per la terapia sia per la prevenzione in risposta alla diffusa resistenza alla clorochina. [1] 


Va notato che l'idrossiclorochina è tuttavia un farmaco non steroideo efficace che mostra attività antinfiammatoria e per questo viene utilizzato per il trattamento dell'artrite reumatoide in pazienti con malattie cardiovascolari. 

La differenza tra questi due farmaci è la presenza del gruppo idrossile aggiuntivo nella catena laterale sulla clorochina. In questo contesto, una preparazione della chiave 5-(etil (2-idrossietil) ammino)-2-amminopentano 6 è descritta nello schema seguente. [2] 

A partire dall'α-acetil-butirrolattone 1, l'apertura dell'anello con decarbossilazione, dopo il trattamento con HCl acquoso, ha fornito il cloro-chetone 2

Da quest'ultimo intermedio 2, la protezione del chetone ha prodotto 3, seguita dalla sostituzione nucleofila diretta del cloro con 2-(etilammino)-etanolo ha dato la corrispondente ammina 4 che è stata sottoposta all'azione di HCl acquoso per dare il metilchetone 5

Infine, il precedente metilchetone 5 è stato sottoposto ad un'amminazione riduttiva mediante semplice riduzione eterogenea sotto pressione con idrogeno, usando una quantità catalitica di Nichel-Raney in soluzione metanolica di ammoniaca: in un solo passaggio, essa ha fornito la chiave 5-(etil (2-idrossietil) ammino)-2-amminopentano 6.

Nel passaggio finale, la chiave è legata alla struttura chinolinica attraverso una sostituzione nucleofila aromatica per ottenere l'idrossiclorochina. Nella struttura chinolinica, l'anello contenente N è più attivo alle sostituzioni nucleofile aromatiche rispetto all'anello formato da soli C.

Negli ultimi anni sono stati segnalati numerosi metodi sintetici per la preparazione in flusso continuo di prodotti della chimica fine e di principi farmaceutici attivi che hanno portato a un notevole miglioramento dell'efficienza del processo. 

In letteratura è riportata una sintesi continua altamente efficiente del farmaco antimalarico idrossiclorochina[3] 

I miglioramenti chiave nel nuovo processo includono l'eliminazione dei gruppi di protezione con un miglioramento della resa complessiva del 52% rispetto all'attuale processo commerciale. 

Il processo continuo impiega una combinazione di reattori a letto impaccato con reattori a vasca agitata continua per la conversione diretta dei materiali di partenza al prodotto. 

Questa sintesi continua ad alto rendimento offre l'opportunità di ottenere un maggiore accesso globale all'idrossiclorochina per il trattamento della malaria.

FONTI

[1] J. S. Lee, J. S. Oh, Y.-G. Kim, C.-K. Lee, B. Yoo, S. Hong, Seokchan, Rheum. Intern. 2020, 40, 765-770 and cited literature.

[2] (a) K. Ashok, S. Dharmendra, N. Snajay, B. Sanjay, J. Atul, WO2005/062723. (b) E. Yu, H. P. R. Mangunuru, N. S. Telang, C. J. Kong, J. Verghese, S. E. Gilliland, S. Ahmad, R. N. Dominey, B. F. Gupton, Beilstein J. Org. Chem. 2018, 14, 583-592 and cited literature.

[3] ibidem, Beilstein J. Org. Chem. 2018, 14, 583–592. doi: 10.3762 / bjoc.14.45

domenica 28 marzo 2021

Immagini, suoni e pensieri per la Domenica dell'Olivo

G. Cadorin, Crocifissione - Chiesa di Cadola (BL)

Alla mangiatoia, Cristo era solo un Bambino;

al Calvario, Cristo era il Capo dell'umanità redenta.

A Betlemme, Maria era la Madre di Cristo;

al Calvario, divenne la Madre dei Cristiani.

Nella stalla, partorì suo Figlio senza dolore e divenne la Madre della Gioia;

nella Croce, ci partorì nel dolore e divenne la Regina dei Martiri. 

(Fulton J. Sheen, da "Seven Words of Jesus and Mary")


F.J. Haydn, Fac me vere - dallo Stabat Mater

venerdì 26 marzo 2021

La centralina da giardino...


Si parla spesso di fonti energetiche "alternative" ai combustibili fossili: basta carbone, basta petrolio, basta gas - che con le emissioni di diossido di carbonio in atmosfera contribuiscono al global warming e ai cambiamenti climatici.

Si auspica una conversione (parola cara al romano ed ecologo pontefice...) all'energia solare, all'energia eolica, all'energia geotermica (della quale tanto ho parlato in questi giorni a lezione) oppure un ritorno a una delle più antiche forme di energia sfruttate dall'uomo: l'energia idraulica.


La forza dell'acqua che cade, catturata dall'umano ingegno, si trasforma in luce e vita, un tempo nei molini o in altri opifici e oggi nelle centrali idroelettriche - a meno di incidenti gravi e disastrosi come quello del Gleno (1923), del Vajont (1963), di Banqiao (1975) o di Sajano-Susenskaja (2009).

Che sia meglio costruire impianti più piccoli - le famose centraline? L'amico e collega Ezio Franceschini ci aiuta a riflettere sul tema con il suo libro Accadueò, di cui dissi QUI.

Intanto, come potete vedere dal video di apertura, qualcuno si diverte a costruirsi la centralina da giardino. Un passatempo ingegnoso (o ingegneristico?) che potrei suggerire ai miei alunni per le vacanze di Pasqua. 

Io mi sono fermato - ormai qualche anno fa - alle ruote idrauliche costruite con le palette del gelato...

mercoledì 24 marzo 2021

Tubercolosi: nuove frontiere per la cura

La tubercolosi è una malattia infettiva comune e spesso letale che circola dagli albori dell'umanità. È causata da un batterio, Mycobacterium tuberculosis; si tratta di un piccolo bacillo aerobico, non mobile, che tende a depositarsi nei polmoni dai quali poi si diffonde, attraverso la tosse o gli starnuti, attraverso l'aria. È stato trovato nelle ossa di mummie egiziane e una volta era la causa di quasi il 25% di tutti i decessi in Europa. 

La tubercolosi rimane la seconda malattia infettiva più letale al mondo (dopo l'HIV) e ha un tasso di insorgenza significativamente alto nei paesi africani, sudamericani e asiatici, dove il tasso di morte è ovunque da 250-3000 + per 100.000. 

L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia stata infettata dal bacillo della tubercolosi (sebbene il 90-95% rimanga asintomatico) e circa 1,5 milioni di persone muoiano ogni anno a causa di essa. 

In laboratorio, la tubercolosi può anche essere difficile da sottoporre a screening, con una replicazione di 16-20 ore (rispetto a meno di un'ora per la maggior parte degli altri batteri) e può richiedere 3-4 settimane per formarsi su un terreno solido prima che qualsiasi test in vivo possa essere eseguito.

Questo può essere un ostacolo significativo per una rapida ricerca sugli antibiotici de novo e Nuria Andreu, del Dipartimento di Medicina dell'Imperial College di Londra, e collaboratori volevano usare la luciferasi per cambiare le cose.

Questo non vuol dire che la bioluminescenza non sia già stata utilizzata in passato nello studio della tubercolosi. I ricercatori usano BLI sui ceppi di TB da quasi 20 anni, ma non necessariamente con il ceppo vivo del batterio o con l'imaging in vivo - in topi vivi. 

La dottoressa Andreu voleva perfezionare un gene reporter con FFluc in un ceppo virulento di M. tuberculosis. Innanzitutto, l'FFluc dovrebbe essere modificato per spostare il segnale verso il rosso, in modo che il segnale sia più termostabile. Ciò è stato ottenuto mutando sei amminoacidi nella sequenza per sviluppare un emettitore che spostava il segnale di emissione da 560 nm a 620 nm. 

In secondo luogo, hanno dovuto sviluppare un reporter privo di integrasi in M. tuberculosis e stabilizzare il segnale del reporter FFluc nelle generazioni successive. 

Il reporter privo di integrasi ha risposto con una ritenzione superiore al 99% del gene reporter dopo tre mesi di crescita in vitro, rispetto al solo tasso di ritenzione del 60% per il ceppo genitore!

In definitiva, questo studio mostra grandi progressi nella coltura di un ceppo reporter virulento di M. tuberculosis che può essere utile nella ricerca farmaceutica. 

La dottoressa Andreu è stata in grado di rilevare la presenza di batteri nei polmoni di topi vivi dopo solo due settimane dall'infezione; soprattutto, sono stati in grado di effettuare una rapida valutazione dell'efficacia degli antibiotici, trattando i topi malati con isoniazide (un composto organico spesso utilizzato come farmaco di prima linea nel trattamento della tubercolosi di cui avevo detto QUI). 

Sono stati in grado di vedere una diminuzione di quasi 9 volte del segnale BLI per i topi trattati rispetto al gruppo di controllo dopo soli sette giorni di trattamento.

In definitiva, questo sembra essere un ottimo sistema per lo sviluppo precoce in laboratorio di nuovi antibiotici. Poiché la resistenza nella tubercolosi continua a diffondersi, abbiamo bisogno di nuove forme di trattamento per iniziare a eliminare la malattia nelle fasce più povere del mondo dove la tubercolosi dilaga e il bilancio delle vittime rimane alto. 

Fonte: Andreu, N., Zelmer, A., Sampson, SL, Ikeh, M., Bancroft, GJ, Schaible, UE, Wiles, S. e Robertson, BD (2013). Rapida valutazione in vivo dell'efficacia del farmaco contro il Mycobacterium tuberculosis utilizzando una luciferasi di lucciola migliorata. Giornale di chemioterapia antimicrobica.

(articolo consultato all'inizio del lavoro: QUI)

martedì 23 marzo 2021

Malattie neglette e pazienti dimenticati...

"Se vuoi, puoi guarirmi" - disse il lebbroso. Egli ne ebbe compassione, allungò la mano, lo toccò e disse: "Lo voglio...". Ecco la potenza guaritrice della "buona volontà".

L'incontro tra un lebbroso e Colui che vuole la sua guarigione continua ogni giorno: il lebbroso non necessariamente ha il morbo di Hansen, ma può essere afflitto da decine di altri mali, alcuni dei quali così poco usuali oggi, nei paesi benestanti, che molti non ne ricordano neppure il nome - perché scomparsi da molti anni. Altri mali invece fanno la loro comparsa e si diffondono preferenzialmente con la complicità della povertà e delle condizioni igienico-sanitarie precarie. 

Se ne legge spesso sui bollettini missionari e qualche volta nelle riviste scientifiche (ricordo, ad esempio un bel servizio su "Le Scienze" di marzo/2010 alle pagine 78 e seguenti, con tanto di disegno in scala di alcuni elminti); se ne parla meno in televisione, dove il dibattito si sposta sul Covid, sui vaccini e se sia giusto o meno assumere certi farmaci al momento della somministrazione di questi. 

Altrove la gente muore: non di Covid (o anche di Covid) ma più spesso di tubercolosi, di malaria, di poliomielite, di difterite, di tetano, di febbri emorragiche, di varie forme tumorali e molte volte di elmintiasi.

Mentre insigni accademici zittiscono negazionisti e no-vax nei salotti televisivi (e negli stessi luoghi talvolta accade che gli accademici si zittiscano fra loro, non mostrando posizioni concordi su quelle che mi sembrano linee politiche mascherate da questioni scientifiche - mi sbaglierò, ovviamente) e la Ricerca insegue i limiti di questo o quel vaccino, di questa o di quella terapia, altrove la gente muore. Muore di malattie che non interessano i grandi laboratori (basti ad esempio vedere il numero annuale di pubblicazioni ad esse dedicate, come proposto nel riquadro sotto a titolo indicativo) e che di rado sono trattate adeguatamente - almeno così è nei paesi più poveri. 


Alcune di queste malattie potrebbero essere sconfitte se i pazienti fossero seguiti in un attrezzato ospedale - come i nostri, almeno fino a quando essi erano gestiti da medici e non dall'aspetto più antipatico della politica. Molto è lasciato alla buona volontà degli uomini, per i quali la Chiesa invocava, fino a qualche mese fa, il dono della pace: adesso neanche più questo - tanto, siamo tutti amati in ugual modo.


Nel dramma della fame, delle guerre e delle epidemie ci sono sempre sempre figure che provano compassione e che offrono anni di studi e di sacrifici per mettersi al servizio dei più bisognosi di aiuto e di competenza. Già ho ricordato Schweitzer e Burkitt; ma potremmo scrivere centinaia di nomi.

Carlo Urbani è stato il primo medico a diagnosticare la Sars e a morirne il 29 marzo del 2003. La sua attività inizia come medico di base in Italia, quindi è specialista in malattie infettive in strutture ospedaliere, ma la sua passione per le malattie dei più poveri lo porta a confrontarsi con la realtà sanitaria dei paesi in via di sviluppo

Propone con successo all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) un progetto sanitario in Mauritania e poi lavora con Medici senza frontiere (Msf) in Cambogia. Rientrato in Italia, diventa il coordinatore italiano di Msf a nome di cui ritira nel 1999 il premio Nobel per la pace

Sceglie poi di lasciare l'attività ospedaliera in Italia, nonostante l'offerta di primariato, e di stabilirsi definitivamente in Vietnam dove è l'esperto di riferimento per il controllo delle endemie parassitarie nel Sud-est asiatico per l'Oms.

Carlo Urbani non era un eroe né un missionario. Era un medico - esperto di malattie tropicali - che svolgeva la sua professione con generosa serietà e con passione scientifica. Il suo mestiere, esercitato con coerenza ed entusiasmo, lo ha portato inevitabilmente ad esporsi alla Sars mettendo in gioco la sua stessa vita. 

La sua vicenda umana e professionale è per certi aspetti emblematica di molti, medici e non, impegnati nella lotta alla povertà ed innamorati del proprio lavoro che esercitano una professione che richiede coraggio e generosità. 

Nell’Africa sub-sahariana come nei paesi del delta del Mekong ci si trova alle prese con malattie da parassiti che colpiscono e uccidono decine di milioni di persone, ma che possono essere curate con pochi centesimi di euro. Basta volerlo.

L’assenza di strutture sanitarie adeguate, la povertà e l’indifferenza dei ricchi costituiscono la sfida quotidiana per chi lavora per promuovere la salute nei paesi in cui la speranza di vita è minima. I colori, la vitalità della gente e l’impegno quotidiano fanno innamorare, a volte fino a morirne, coloro che raccolgono la sfida. 

domenica 21 marzo 2021

21 marzo, Giornata della poesia...

"Non provo mai rancore per nessuno... solo, ad alcune persone auguro un'improvvisa, immediata e totale amnesia del mio passaggio nella loro vita. Non mi interessa che abbiano rimorsi, rimpianti o pentimenti. È solo che alcune persone non dovrebbero avere il diritto di conservarmi nei loro ricordi."

Alda Merini avrebbe compiuto oggi 90 anni, se non fosse mancata nel 2009... la piccola ape furibonda vola da allora sui fiori di un altro giardino. Il nostro non era più degno di lei, ammesso che lo sia mai stato.

mercoledì 17 marzo 2021

Per aspera ad astra...zeneca

Una settimana fa, a quest'ora, ero di ritorno da Paludi, la località dove ho un team di sanitari inoculava, in modalità drive-in, la prima dose di vaccino Astrazeneca agli insegnanti. Si: ho ricevuto anch'io la prima dose di quel vaccino - di produzione inglese - che nei giorni seguenti è salito alla ribalta delle cronache e poi è stato sospeso per una decisione calata dall'alto.

Sono onesto: non mi sono preoccupato. Da principio, ho avuto una gran fame; il giorno seguente ho sofferto di un leggero mal di testa, ho avuto un po' di febbricola per qualche ora e dolore agli arti superiori - e questo fino a venerdì. Sabato ero come nuovo (o quasi). Ora rimango in attesa del tempo della seconda dose e intanto lavoro in DAD.

Ho letto con molto senso critico le pubblicazioni di quei divulgatori scientifici (alcuni eccellentissimi comunicatori ma senza formazione scientifica) che invocano i dati per aprire un dibattito pubblico sul vaccino e sui suoi possibili effetti collaterali, come se la virologia, l'immunologia e la farmacologia fossero materie sulle quali possa esprimersi chiunque con competenza e cognizione. 

Ho invece ascoltato, con molta umiltà, le pacate posizioni di autorevoli medici e ricercatori che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare durante questi mesi: tra costoro ricordo la dottoressa Capua e i professori Galli, Palù e Crisanti - le cui dichiarazioni sono riprese da Adkronos QUI.

In particolare, il Prof. Andrea Crisanti ha svolto la sua carriera all'estero (all'Imperial College); è rientrato in Italia per salire sulla cattedra di Microbiologia all'Università di Padova

Per la sua progressione di carriera ha ottenuto risultati in un campo difficile come quello per la lotta alla Malaria - condotta mediante la lotta alla zanzara - vettore del plasmodium: per questo qualcuno lo ha soprannominato "zanzarologo". 

Crisanti, a proposito del Covid, è stato libero di parlare senza compiacere alcuno: a carriera consolidata, non ha nulla da temere. E in questa emergenza, è uno dei pochi - forse l'unico - a non aver scritto ancora un libro "commerciale". Spero tuttavia che lo faccia in seguito: lo acquisterei e lo leggerei volentieri.

QUI possiamo leggere intanto, in vari articoli, come il professore dell’Imperial College abbia diretto nel 2018 uno studio, i risultati del quale sono stati pubblicati poi sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, che dimostra la possibilità di influenzare il gene che decide se dall’uovo di zanzara si svilupperà un innocuo maschio o una femmina capace di pungere e diffondere la malaria e altre malattie:

«Si chiama doublesex e potrebbe essere il tallone d’Achille di tutti gli insetti nocivi». Colpendo questo punto debole i maschi restano sani, ma le femmine sviluppano tratti ambigui. Senza femmine fertili, la riproduzione si ferma e addio malaria. 

Ricordiamo che nelle sere d'estate, il fastidioso ronzio delle zanzare al tramonto corrisponde al volo nuziale e al breve accoppiamento. La zanzara femmina abbisogna di un pasto ricco di proteine, necessarie alla maturazione delle uova prima della deposizione nelle acque stagnanti. Tali proteine le assume suggendo il sangue a qualche mammifero, uomo compreso: ed è in questo momento che, pungendo per mangiare, inocula il patogeno nell'ospite. 

La ricerca aveva l’obiettivo ultimo di liberare il mondo dalla malaria (oltre quattrocentomila morti all'anno solo nell'Africa sub-sahariana), ma la medesima strategia potrebbe funzionare anche contro zika, dengue, febbre gialla: malattie diffuse principalmente nei paesi tropicali che negli ultimi anni sono diventate "importanti" anche per noi (vista la facilità di viaggiare dall'Europa all'Africa o al Sudamerica). Qualche spunto di riflessione in merito lo troviamo QUI.

I «drive» sono elementi genetici in grado di copiarsi da soli. Usandoli, Crisanti è riuscito a favorire l’ereditarietà del gene antimalarico trasmettendolo a tutti i nuovi nati, anziché solo a una parte di loro come vorrebbe la legge di Mendel.

domenica 14 marzo 2021

Darwin racconta Darwin...

L'Autobiografia di Charles Darwin (1809-1882) è diventata, in questi ultimi mesi, uno dei miei testi prediletti: l'ho letta nella versione curata da Nora Barlow, tradotta da Luciana Fratini e pubblicata da Einaudi.  

Darwin scrisse questi testi autobiografici per i suoi figli, senza la consapevolezza che sarebbero stati un giorno pubblicati. Essi rivelano un uomo modesto, dalla salute piuttosto malferma (e alla fine del volume si ipotizzano le cause del suo malessere, alle quali oggi alcuni studiosi aggiungono il morbo di Chagas). Egli preferiva la compagnia dei famigliari a quella degli eminenti scienziati che lo circondavano e con i quali scambiava tuttavia campioni, reperti e lettere. 

L'edizione completa dell'Autobiografia di Darwin comprende numerosi passi, censurati in altre edizioni, e alcuni importanti documenti inediti che consentono di far avvicinare i lettori all'amabile figura di questo scienziato, così familiare con la sua lunga barba e lo sguardo perso nelle sue riflessioni.

Un paio di sottolineature riguardano il suo rapporto con la poesia (che amava leggere da giovane: cita alcuni romantici, come Coleridge e Wordsworth, (op. cit. - p. 66) e mostri sacri della Letteratura inglese, come Shakespeare e Milton), con la musica (che si dilettava ad ascoltare in gioventù, ma per la quale perse ogni interesse in età adulta: cosa in cui mi riconosco e che mi consola, facendomi sentire meno eccezione e anche meno "mostro" di quel che mi si fa passare per la mia scelta di chiudere le orecchie all'arte dei suoni...) e con il disegno (per il quale egli si dichiarò negato, specie quando si trattò di disegnare l'anatomia degli animali e delle piante che studiò durante il suo viaggio attorno al mondo, raccontato in un altro libro).

Infine, alcune considerazioni sulla religione (op.cit. - pp. 67 e segg.), verso la quale mutò atteggiamento nell'arco della vita: figlio di padre ateo e di madre unitariana, realizzò come la storia del mondo raccontata dal "vecchio testamento" fosse falsa - scientificamente parlando - e concluse come l'avverarsi della speranza cristiana avrebbe condannato al fuoco eterno suo nonno, suo padre, suo fratello e molti suoi amici.

In merito all'origine del cosmo, scrisse invece che "il mistero del principio dell'universo è insolubile per noi e perciò, per quel che mi riguarda, mi limito a dichiararmi agnostico" (op. cit. - p. 76).

Dalla lettura di queste pagine, emerge il ritratto di un uomo umile, equilibrato, razionale, ardentemente desideroso di dare più un contributo al progresso delle Scienze Naturali che uno scossone alle istituzioni religiose.

Nota: le foto che accompagnano il post sono miei scatti di questa mattina, scattate durante un'uscita di buon ora. E a proposito di musica: godetevi uno spezzone del bel concerto che la Natura sa offrire, in attesa che mi decida a montare un breve cortometraggio sulla Natura che mi circonda...

lunedì 8 marzo 2021

Il complesso geotermico di Larderello e altre cose


L'Italia è stato il primo paese al mondo a sviluppare la ricerca e lo sfruttamento dell'energia geotermica ai fini elettrici. Con la nazionalizzazione dell'energia elettrica, il bacino è passato dalla società Larderello SpA all'Enel

Il video sopra racconta la storia dello sfruttamento di questa straordinaria risorsa naturale a partire dall'Ottocento, con l'impegno della famiglia Larderel nell'estrazione dell'acido borico, fino agli anni Novanta del secolo scorso, quando la Ricerca e l'innovazione Enel hanno cambiato il volto e le prestazioni degli impianti di Larderello.

Da qualche tempo, questo è un tema che approfondisco a lezione, sia tramite letture mirate (un bellissimo brano che trovo interessante da un punto di vista didattico è riportato in un vecchio manuale di Chimica e mineralogia per i licei, scritto da Raffaele D'Alessandro e pubblicato da Mondadori nel 1952) sia con la visione di documentari.

L'acido borico, H3BO3, è un composto del boro del quale sono ricche le emissioni di Larderello: scoperto in esse dal farmacista Hoefer, fu ottenuto mediante un ingegnoso sistema di cristallizzazione che sfruttava lo stesso calore delle emissioni. 

L'acido borico trovava impiego quale blando antisettico (usato nella formulazione di colliri); è usato nell'industria del vetro (per produrre i vetri borosilicati resistenti al calore), nella produzione di smalti, vernici, cuoio, carta, adesivi e materiali pirotecnici.

Se riscaldato, perde una molecola d'acqua e si trasforma in acido metaborico, HBO2. Per successivo riscaldamento, si hanno l'acido tetraborico, H2B4O7 (il sale sodico di quest'acido costituisce il borace) e l'anidride borica, B2O3.

Per riconoscere qualitativamente l'acido borico si possono usare cartine alla curcuma oppure la tintura di mimosa - reagente del saggio di Robin, descritto dal caro amico Paoloalberto nel suo blog: leggete qualche informazione in più QUI.


A proposito di mimosa: buon 8 marzo a tutte le donne! E quest'anno, un ricordo particolare (e grato) va a Teresa Mattei, Teresa Noce e Rita Montagnana, tre esponenti del PCI che introdussero, 75 anni fa, l'uso dei rametti di mimosa per celebrare in Italia la Festa internazionale della Donna

Ricordiamo anche che il 2 giugno di quello stesso anno le donne votarono, accanto agli uomini, il referendum che sancì la fine della monarchia sabauda e che diede alla storia la Repubblica Italiana.

giovedì 4 marzo 2021

Idrogeno, rutenio (!) e altre cose...

Un metodo pratico per produrre E (trans) alcheni da alchini è stato sviluppato diversi anni fa da alcuni chimici in Germania ( Angew. Chem. Int. Ed., DOI: 10.1002 / anie.201205946). 

Come viene insegnato agli studenti di chimica organica, produrre alcheni con stereochimica Z (cis) dagli alchini è una "semplice" questione di semiidrogenazione con un catalizzatore avvelenato

Fino a una decina di anni fa, tuttavia, non esisteva un modo ampiamente applicabile per trasformare direttamente gli alchini in E-alcheni. Karin Radkowski, Basker Sundararaju e Alois Fürstner del Max Planck Institute for Coal Research riferisce che un catalizzatore a base di rutenio (con cp* come legante) è in grado di eseguire proprio una tale trasformazione. 

L'idrogenazione procede con buone rese e con elevata selettività E. La trasformazione tollera una serie di gruppi funzionali, inclusi esteri, ammidi, acidi carbossilici, chetoni, alcoli primari, eteri metilici e sililici e un tosilato primario incline all'eliminazione. 

Anche i siti riducibili, come un gruppo nitro, un bromuro di alchile, il legame N – O di un'ammide di Weinreb, un nitrile aromatico e un alchene terminale rimangono intatti nelle condizioni di reazione. 

L'aggiunta di triflato d'argento (quante volte l'ho sentita questa...) migliora anche la reazione. "Il nuovo metodo costituisce il primo protocollo di semiidrogenazione pratico, efficiente, tollerante ai gruppi funzionali, ampiamente applicabile e altamente selettivo per gli alchini", osservano i ricercatori autori dello studio.

Studi successivi confermano la versatilità dei complessi del Ru nell'idrogenazione di alchini ad alcheni trans e ipotizzano un meccanismo (con passaggi inusuali).

Chiudo con un'immagine di un complesso fosfinico di rutenio e iridio, anche questo attivo come catalizzatore.


Fonte: QUI. Ma anche QUI e QUI. Ulteriori interessanti considerazioni meccanicistiche: QUI.

NOTA: al solito, clikkando sui QUI vi si aprono le pagine con i collegamenti agli articoli su Rivista.

lunedì 1 marzo 2021

Appunti sull'acetilene

L'acetilene (o meglio: etino, seconda la IUPAC), con formula C2H2, rappresenta il termine più semplice degli alchini, famiglia di idrocarburi che presentano almeno un triplo legame tra due atomi di carbonio contigui.

L'acetilene fu ottenuto da Berthelot nel 1859 scoccando l'arco voltaico tra due elettrodi di carbone in atmosfera di idrogeno purissimo; e da Wohler per reazione del carburo di calcio con acqua nel 1862, secondo un metodo che sarà poi sfruttato su scala industriale e anche nel funzionamento delle lampade a carburo, usate da minatori e da speleologi, apprezzate per la fiamma luminosissima e calda.

Nel video sottostante, la fiamma dell'assorbimento atomico è (in questo caso) alimentata da acetilene: il colore verde è dovuto all'aggiunta del cloruro di lantanio, necessario per il tipo di operazione che gli operatori (cioè noi, studenti di allora...) stavano conducendo. 

Nota: è stata l'unica volta che ho usato l'acetilene in vita mia (e non in modo autonomo, ma guidato dalle docenti di laboratorio) e me ne guardo bene dall'averci ancora a che vedere. Dico questo per biasimare l'incoscienza con cui certi youtuber si mettano a fabbricarlo in barattoli improvvisati ed estremamente pericolosi. Miei lettori, voi non fatelo: vogliatevi bene.

Industrialmente, l'acetilene si rinviene nei prodotti di steam cracking condotti in condizioni severe, oppure per cracking ossidativo del metano o ancora attraverso altri processi che comunque prevedono la piroscissione di idrocarburi ad alta temperatura. La formazione dell'acetilene è infatti un processo endotermico, che richiede grandi quantità di energia.

Esaminiamo la produzione di acetilene da metano, schematizzata nella figura seguente.


Leggiamo la figura partendo dal titolo: si tratta di una conversione termica del metano ad acetilene, con formazione di idrogeno e di altri sottoprodotti.

Sotto il titolo è riportata la formula: da due moli di metano si ottengono (idealmente!) una mole di acetilene e tre moli di idrogeno. 

Sopra la freccia è riportata la temperatura: 1500°C. La reazione è endotermica - come si è detto - e per ottenere il calore necessario una parte dell'alimentazione è bruciata in difetto di ossigeno, con formazione di CO e di altri sottoprodotti che sono separati in fasi successive.

Osserviamo la figura: a sinistra è rappresentata la fornace dove il metano subisce un preriscaldamento prima di essere immesso sulla testa del reattore al centro dell'immagine. A destra, l'ossigeno è preriscaldato in un'altra fornace e quindi portato al bruciatore del reattore. Nel reattore avviene il cracking ossidativo del metano e le reazioni che portano alla formazione di acetilene vengono "spente" alla base per immissione di acqua in pressione. L'acqua è raccolta alla base del reattore, mentre l'acetilene esce per subire un processo di purificazione, attraverso il quale sono separate le ceneri, le peci e i gas esausti (contenenti idrogeno, CO, etilene, etc.). 

L'acetilene, opportunamente purificato, è diluito in acetone e messo in commercio in bombole. Un tempo costituiva un importante intermedio industriale ed è stato in questo ruolo sostituito dall'etilene, come avevo detto a suo tempo QUI. Si utilizza ancora nella saldatura, per alimentare il cannello ossiacetilenico.

Qualche reazione dell'acetilene è raccontata da Ettore Molinari nel suo celebre Trattato di Chimica Generale e Applicata all'industria (vol. 2, tomo 1). 

Molinari, tra le varie cose, ha studiato le reazioni dell'ozono con i composti organici e da lì parte per descrivere il comportamento dell'acetilene con vari composti.

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Interessante è il discorso sulla riduzione del triplo legame. Utilizzando idrogeno gassoso e un catalizzatore come Pd/C, ogni mole di acetilene addiziona due moli di idrogeno per formare etano.

Per ottenere l'alchene, è necessario utilizzare un catalizzatore "avvelenato" - noto anche come catalizzatore di Lindlar, dal nome del suo inventore. Se utilizzato con alchini sostituiti, questo catalizzatore permette l'addizione di una sola mole di idrogeno con formazione dell'alchene-cis.

Per ridurre l'alchino sostituito ad alchene-trans si utilizza la riduzione con quello che il mio professore di Chimica Organica chiamava "l'elettrone solvatato", ottenuto con un metallo alcalino (litio, sodio) in ammoniaca liquida.


Herbert Lindlar nacque il 15 marzo 1909 a Sheffield, in Inghilterra, per trasferirsi in Svizzera nel 1919. Studiò chimica all'ETH in Zurigo e all'Università di Berna, laureandosi nel 1939 con una tesi sul ruolo degli acidi dicarbossilici nella preparazione di ureidi. Lavorò per l'azienda farmaceutica Hoffmann-La Roche, fino al 1974 - anno del pensionamento. Fu anche vice-console britannico a Zurigo e a Basilea. Morì, dopo aver compiuto il secolo di vita, il 27 giugno 2009.