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lunedì 2 settembre 2024

Il due settembre

Il 2 settembre 1945, la resa finale ed ufficiale dell'Impero giapponese, presentata da una delegazione guidata da Mamoru Shigemitsu, viene accettata dal generale Douglas MacArthur e dall'ammiraglio Chester Nimitz a bordo della nave da guerra USS Missouri (BB-63) nella Baia di Tokyo, ponendo fine alla Seconda Guerra mondiale. 

In Giappone, comunque, il 15 agosto è la data riconosciuta come finale della guerra del Pacifico, nove giorni dopo Hiroshima e sei giorni dopo il bombardamento di Nagasaki.

Dopo aver riletto il testo di Paolo Nagai, Le campane di Nagasaki, mi sono chiesto quale aspetto avesse la città prima dell'olocausto nucleare. Cercando qualche informazione on-line, ho collezionato delle idee che seleziono e riunisco nell'immagine sottostante.

A destra, dall'alto verso il basso, possiamo vedere Urakami prima del bombardamento, dopo il bombardamento e al nostro tempo. In basso, vediamo la foto aerea del caratteristico fungo atomico e a fianco il momento dell'esplosione, ripreso a terra da un fotografo locale.


Mi sono chiesto anche quali siano i prodotti di fissione del plutonio (Z=94): tra questi, xenon (Z=54) e zirconio (Z=40), ma anche altri isotopi.

Nonostante l'orrore, la ricerca sugli armamenti atomici è continuata nei decenni successivi. Un altro libro, Il lungo freddo di Miriam Mafai, racconta di Bruno Pontecorvo, il fisico italiano, allievo di Fermi che scelse l'URSS. Da rileggere, per riflettere sulle scelte di vita dettate dalla passione politica collocata nell'esistenza del singolo e della comunità in posizione centrale. 

A Dubna, Pontecorvo si occupò di raggi cosmici, particelle ed alte energie. Morì disilluso: metà delle sue ceneri sono tumulate a Dubna e l'altra metà a Roma, nel cimitero acattolico


Ecco intanto le immagini dei primi esperimenti atomici dei sovietici, effettuati a partire dal 1949 tra il Kazakistan e altre luoghi eletti a poligoni nucleari nell'immenso territorio abbracciato dall'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

... che restino solo ricordi di esperimenti. 

venerdì 1 dicembre 2017

POSTILLE A UNA CONFERENZA


Al termine dell'ultima mia conferenza di quest'anno, tenuta il 30 novembre a Pieve d'Alpago, ospite della sezione locale dell'Auser, ho avuto il piacere di conoscere un signore che ha lavorato in Svizzera, per ben trentasei anni, nel settore carpenterie metalliche di un'importante industria chimica, la Lonza. Con il signore di cui sopra e altre persone ho continuato la conversazione al Bar Centrale, dove - tra le tante cose - si degusta un ottimo gelato artigianale.

Lonza, fornitore leader di prodotti per la farmaceutica, per la sanitaria e per le scienze della vita, ha celebrato quest'anno i 120 anni dalla fondazione. L'azienda nacque nel 1897 a Gampel, nel Canton Vallese, sulle rive del fiume omonimo.


Inizialmente l'azienda produceva elettricità in una piccola centrale idroelettrica, usata per fabbricare carburo di calcio: la miscela di calcare e carbone reagiva in un forno ad arco elettrico, capace di raggiungere le elevate temperature (oltre i 2000°C) necessarie alla sintesi. Il carburo usciva dal forno allo stato fuso, si raffreddava e solidificava.

Qualche anno dopo, Lonza si stabilì a Visp, dove si espanse e da azienda produttrice di elettricità divenne leader nel settore chimico: nel 1909 cominciò la produzione di concimi azotati (ammoniaca), nel 1920 quella di acido nitrico e di altri derivati dell'acetilene (acetaldeide, acido acetico, cloruro di vinile, etc.).


L'acetilene fu per qualche decennio un intermedio importante, non solo alla Lonza ma in molti altri stabilimenti chimici: oggi conosce una nuova attualità, come racconta QUI il professor Giorgio Nebbia.

Per produrlo bastavano calcare e carbone da cui si otteneva il carburo di calcio, come sopra ricordato: calcare e carbone (di legna) abbondano come risorse naturali in montagna, assieme all'acqua dolce e questo potrebbe aver favorito la nascita dell'industria chimica in montagna, almeno in un primo tempo.

Come scoprì Wohler mezzo secolo prima, carburo di calcio e acqua reagiscono per formare acetilene e un residuo inutilizzabile (almeno allora: ora si usa come base per fabbricare cemento). La stessa reazione era sfruttata nelle lampade da minatore e oggi nelle lampade da speleologo.

Dall'acetilene, mediante reazioni catalizzate da sali di mercurio, di rame o di zinco, si ottenevano prodotti necessari alla sintesi dei monomeri vinilici, usati per produrre le prime materie plastiche (PVC, poliacetati) e le fibre tessili sintetiche (acriliche).


Dal 1965, l'acetilene fu sostituito con la nafta di petrolio (uno scarto di raffineria impiegato, previa desolforazione, come solvente e come carica per cracking) in qualità di materiale di partenza per il settore organico. Da essa, l'azienda produce tuttora intermedi per l'industria farmaceutica e agrofarmaceutica, per il settore alimentare, per l'industria degli adesivi, etc. 

Il signore mi raccontava della sua esperienza nel lavorare i metalli, acquisita sul campo, dentro la fabbrica: nella città natale aveva imparato un po' il mestiere, ma si trattava di lavorare comune lamiera. Nello stabilimento svizzero si è trovato a dover lavorare il tantalio, lo zirconio, l'hastelloy (una lega a base di nichel resistente alla corrosione e usata per fare impianti).

Raccontava del reparto dove, da mercurio metallico, si produceva un tempo l'ossido di mercurio da introdurre nel reattore per la sintesi dell'acetaldeide. Schematizzando:
  • l'ossido di mercurio, nel reattore, reagisce con l'acido solforico in soluzione acquosa diluita per dare solfato di mercurio; 
  • il solfato mercurico catalizza l'idratazione dell'acetilene ad acetaldeide;
  • in uno stadio successivo, l'acetaldeide è poi ossidata per dare acido acetico.
Ho ascoltato con piacere questi frammenti, contrappuntati da qualche digressione sulla vita operaia e di emigrante. Chissà che l'acetilene e le sue antiche (e future, a quanto pare) lavorazioni non possano diventare l'argomento di un prossimo incontro.

sabato 26 novembre 2016

QUALCHE NOTA SUL CUOIO...

Uno dei materiali da noi più usati quotidianamente è il cuoio: scarpe, cinture, portachiavi, portafogli e altri accessori vari sono fatti di questo materiale. Poi c’è chi ne fa una vera e propria "religione" e di cuoio compra pure pantaloni, giubbetti, camicie e quant’altro, ma questo non ci interessa.

Incuriosisce molto di più – a mio modesto parere – l’insieme delle operazioni chimiche e meccaniche che rendono la pelle di alcuni animali imputrescibile e impermeabile, migliorandone la resistenza ad agenti chimici e le caratteristiche meccaniche. All’insieme di queste operazioni si dà il nome di concia, che si effettua solo dopo aver ripulito la pelle, sgrassandola (usando bagni alcalini), depilandola e ripulendola dagli agenti chimici usati in queste operazioni preliminari (usando bagni acidi per acido solforico, cloridrico, formico, acetico, borico, etc).

Poi, dopo un'eventuale conservazione del materiale da trattare, si effettua la concia vera e propria e all’uopo si utilizzano diverse sostanze che permettono la classificazione dei vari procedimenti.
  • La concia al tannino prevede l’impiego di sostanze di origine vegetale o sintetica per ottenere cuoi robusti, da suola o per sella.
  • La concia all’alludo utilizza allume e trova impiego nella produzione di pelli morbide per guanti.
  • La concia all’olio si avvale dell’uso di olio di pesce e permette di avere cuoi molto morbidi e pelli scamosciate. 

Il processo più diffuso oggi è la concia al cromo, che però pone notevoli problemi per la tossicità e l'impatto ambientale dei composti usati e dei prodotti di scarto. In luogo del cromo vengono usati anche sali di ferro, di zinco o di zirconio.

Le concerie a Belluno
Fino al 1957 il quartiere Borgo Piave, a sud di Belluno, era sede di un’industria conciaria attiva fin dal XVIII secolo (nel dipinto del pittore bellunese Girolamo Moech (1792-1857), riprodotto nel riquadro, si nota la ciminiera fumante, a sinistra), nota come la conceria del Piave.


A impiantarvi l’attività fu Nicolò Colle, originario di Cesana di Lentiai; questa fu mantenuta nel corso dei decenni dai discendenti e (a metà Ottocento) ampliata notevolmente con l’acquisto del fabbricato che diverrà la sede storica dell’azienda, situato sulla riva destra del Piave.

L’ubicazione non è delle più felici in quanto le piene del fiume inondano l’opificio e si rende necessario alzare e rinforzare l’argine.

Lo scoppio della Grande Guerra segna un periodo di stasi dell’attività. Gli austriaci, che nel 1917 avevano occupato Belluno, requisiscono merci e macchinari.

Dopo il conflitto lo stabilimento viene rimodernato e riprende la produzione: alla concia naturale in fosse di pietra interrate, con le pesanti mole azionate da ruote idrauliche, è stata sostituita la concia al cromo, con macchine a vapore ed elettriche.

Venire a Belluno oggi e chiedere delle Concerie Colle significa farsi indirizzare ad un prestigioso complesso residenziale con oltre quaranta appartamenti, realizzato recentemente recuperando ampi spazi lasciati vuoti da un’attività cessata ormai da cinquant’anni che ha caratterizzato la vita del borgo e alla quale il borgo è sempre stato in qualche modo legato.

Le concerie di Fez
Un ideale viaggio a Fez (Marocco) ci permette in qualche modo di ripercorrere brevissimamente la storia dell’arte conciaria.  Showara rappresenta la tradizione che si tramanda da secoli: è una delle tre concerie storiche della Medina di Fez.

Tra le piccole case della casbah si trova un ampio spazio nel quale sono poste una accanto all’altra tante vasche rotonde che nell’insieme sembrano descrivere un alveare.

Si distinguono per il colore caratteristico due zone, quella della vasche bianche e quella delle vasche colorate.


Nelle vasche bianche, colme di calce, le pelli grezze vengono ammorbidite e depilate; nelle vasche colorate le pelli precedentemente trattate vengono lasciate in ammollo per quattro giorni nei colori.

Gli operai, immersi nelle vasche fino alla cintola, lavorano le pelli con i piedi nell’inferno di un fetore indescrivibile dovuto ai prodotti chimici usati - che anche se sono di origine naturale puzzano lo stesso: calce viva, guano di piccione, piante, crusca, corteccia.

Chi c’è stato, racconta che ai turisti viene dato un rametto di menta da annusare per resistere alle esalazioni.

Una pratica ormai rara, la concia naturale: le concerie moderne, erette in quartieri industriali periferici, utilizzano invece prodotti sintetici che hanno permesso di accelerare la produzione.

Si lavora con l’acido solforico, la calce viva, l’acido formico e il cromo. Se nelle vasche tradizionali con i tannini vegetali e il guano di piccione ci volevano due mesi per trattare una pelle, in fabbrica ogni giorno ne vengono trattate duemila.

Il cromo, fortemente inquinante, viene in parte recuperato (anche se in soluzione acquosa) e rivenduto a un prezzo più basso rispetto alla forma salina solida: i conciatori così risparmiano notevolmente (il rapporto del costo del cromo riciclato e del prodotto salino nuovo è 1:3).

Nonostante questo, sono ancora molte le fabbriche che rilasciano nell’ambiente i loro rifiuti di produzione: tuttavia una serie di progetti mirano a ridurre l’inquinamento ambientale (dovuto non solo alla concia ma anche ad altre attività) di almeno il 60%.

Per approfondire:
QUI - il sito dedicato al Prof. Mauro Berto, docente di Chimica conciaria all'ITIS di Arzignano (in provincia di Vicenza, nel distretto veneto del cuoio);
QUI - una riflessione dal blog della Società Chimica Italiana sull'impatto ambientale della lavorazione del cuoio.