martedì 30 novembre 2021

Ieri con la neve...

Una serie di foto racconta la mia giornata di ieri, 29 novembre: a letto verso l'una, con la neve che scendeva e dipingeva tutto di bianco - ammirato al risveglio e ancor di più al termine della mattinata di lavoro. Che dire? Per restare in tema di "bianco", un calice (due, per la verità...) di Gewurztraminer ci stava tutto...










lunedì 29 novembre 2021

La tintura di Grossich

Sempre con riferimento alla lezione di cui al post precedente, ricordo che tra le preparazioni a disposizione del farmacista da campo c'era la tintura di iodio, un disinfettante per uso esterno inventato nel 1908 dal chirurgo Antonio Grossich (1849-1926).

Nato Draguccio d’Istria, si laureò in medicina e chirurgia a Vienna, nel 1875. 

Per alcuni anni, Grossich esercitò la professione di medico condotto a Castua; ottenne poi la cattedra di chirurgia all’Università di Innsbruck a cui seguì, nel 1886, la nomina di Primario Chirurgo all’ospedale civile di Fiume.

Grossich iniziò i suoi esperimenti applicando iodio in soluzione acquosa su lesioni accidentali, come egli stesso ricorda nel "Meine Präparationsmethode des Operationsfeldes mittels Jodtinktur" (Berlino 1911), per poi estenderne l’applicazione alle piccole operazioni chirurgiche, fino a renderla obbligatoria come antisettico cutaneo in tutti gli interventi chirurgici eseguiti nel suo reparto, nel 1907.

Sebbene la mortalità causata da infezioni post operatorie fosse calata drasticamente nel suo reparto, la diffusione di questo nuovo metodo tardò ad arrivare. Solo nel 1908, venne riconosciuta la sua efficacia attraverso un suo articolo pubblicato nel "Zentralblatt für Chirurgie". Salì così alla ribalta delle cronache e agli onori internazionali grazie al suo presidio per una sterilizzazione rapida. 

L'anno seguente, nel 1909, il Grossich presentò la sua invenzione al Congresso medico internazionale di Budapest, in italiano, per legare il merito della scoperta a quella che considerava la sua vera patria: l’Italia. 

Il primo uso, suo larga scala, della tintura di iodio avvenne nella Guerra Italo-Turca (1911-1912) e nella Campagna di Libia (1913-1921), in cui ci fu un netto calo nel numero di morti per infezioni inferte da ferite di guerra. Per il merito dell’invenzione e per il successo della sua applicazione, fu nominato membro dell’Ordine della Corona d’Italia nel 1913. Egli commentò la nomina con queste parole:

«Ho avuto un’idea nuova, un’idea utile all’umanità […]. La soddisfazione di essere la massima riconoscenza a cui l’uomo possa agognare, ma purtroppo si nasce anche con delle qualità negative, tra le quali signoreggia spesso la vanità…».

Possiamo considerare l'Ordine della Corona d'Italia come l'equivalente monarchico dell'attuale Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

La tintura di iodio verrà usata ancora durante la Grande Guerra, accanto all'acido borico, al liquido di Dakin (ipoclorito di sodio diluito), all'acqua ossigenata, alle soluzioni di fenolo, etc. Ulteriori notizie possiamo leggerle QUI.

(Cfr. inoltre la voce "Antonio Grossich" su wikipedia.it)

sabato 27 novembre 2021

Amare per sempre - ma non la guerra...


Apro il post con la scena conclusiva di "Amare per sempre", un film del 1996 ispirato alla giovinezza di Ernst Hemingway (1899-1961).

Il 6 aprile 1917, gli USA entrarono nella Grande Guerra come potenza belligerante e inviarono le loro truppe in Europa. Hemingway si arruolò volontario e fu destinato al corpo della Croce Rossa Americana con destinazione finale Schio, ai piedi del monte Pasubio, sul fronte italiano.

Nella notte tra l'8 e il 9 luglio del 1918 fu colpito dalle schegge di una granata austriaca. Il corpo di un soldato italiano, il fante Fedele Temperini, gli fece da scudo salvandogli la vita. Rimase tuttavia ferito: fu soccorso e trasportato a Milano, dove subì un intervento chirurgico. Rischiava l'amputazione, scongiurata dalle amorevoli cure di un'infermiera, Agnes von Kurowsky, che disinfettò e fasciò l'arto - salvandolo dalla cancrena incipiente.


Nei tre mesi di degenza presso l'ospedale, lo scrittore si infatuò della ragazza e successivamente celebrò tale primo amore nelle pagine di A farewell to arms - Addio alle armi, pubblicato nel 1929, al quale si ispira il film di cui sopra. Non è l'unico film a trarre ispirazione dalla vicenda: una pellicola con Gary Cooper - che trovate integralmente QUI - risale al 1932; un'altra versione risale al 1957, con la partecipazione di Vittorio De Sica e Alberto Sordi.


Ah, alle riprese del 1957 partecipò anche un ventottenne di nome Carlo Pedersoli - studente di chimica mancato, campione di nuoto e oggi ricordato come Bud Spencer - nei panni di un carabiniere che compare nella scena della corte marziale, intenta a mitragliare sentenze di morte per fucilazione ai danni di disertori e di disfattisti.


E qui, nella finzione della narrazione, gli italiani non ci fanno di certo una bella figura, preoccupati del fatto che uno straniero di chissà dove indossa un'uniforme italiana e non è capace di fare il saluto italiano, mentre fanno fucilare un chirurgo stanco delle assurdità della guerra (...a che serve?), accusandolo di essere un sobillatore tedesco che incitava alla resa.


Ad una digressione sulla Grande Guerra ho dedicato un paio d'ore di lezione l'altro giorno, approfondendo gli aspetti più tecnologici concernenti gli aggressivi chimici (di cui qualcosa dissi QUI), i nuovi esplosivi, i solventi per cristallizzarli, i lanciafiamme utilizzati per stanare il nemico nelle trincee; ma anche - vorrei dire: soprattutto - i farmaci usati negli ospedali da campo, la totale assenza di antibiotici, le malattie infettive dilaganti tra i soldati costretti a vivere in condizioni precarie, la fame e la denutrizione, l'epidemia di influenza spagnola che tra il 1918 e il 1920 ha prolungato la sofferenza delle popolazioni già stremate dagli eventi bellici.


Lo schema manoscritto riorganizza le informazioni che ho raccolto da più fonti, tra le quali:
- E. Molinari, Trattato di Chimica Generale e Applicata all'industria, Hoepli, Milano, 1927, volume II, tomo I;
- M. Sartori, War Gases - Chemistry and Analysis, J. & A. Churchill Ltd, Londra, 1939;
- F. Trifirò, La dualità della chimica e la Prima Guerra mondiale, in: La Chimica e l'Industria - rivista della SCI, marzo-aprile 2015, DOI: http://dx.medra.org/10.17374/CI.2015.97.2.15
- Le malattie della Prima Guerra mondiale (clikkate sul link per aprire la finestra di rimando);
- G. Bovone, La Grande Guerra e i farmacisti dimenticati, in: Rivista di Storia della Farmacia, dicembre 2018 - articolo scaricabile QUI;
- E. Latella, Marie Curie e le sue ambulanze radiologiche, in: Ruote Classiche, 7 novembre 2017, articolo consultabile QUI.
- T. Jorgensen, Marie Curie e le Piccole Curie, tradotto dal Dr. C. De Luca per il sito linkato.

lunedì 22 novembre 2021

Cecilia e l'harmonia mundi


Il video presenta il coro di apertura della Cantata in onore di Santa Cecilia, musicata da Haendel su testo di John Dryden.

From harmony, from heav'nly harmony,
This universal frame began,
From harmony to harmony,
Through all the compass of the notes it ran,
The diapason closing full in man.

L'esecuzione proposta è del Polish Radio Choir accompagnato dal Dunedin Consort, diretti da John Butt. Il video mostra poi una serie di raffigurazioni pittoriche di Santa Cecilia, intenta a suonare l'organo portativo, con gli angeli che reggono la partitura o che intervengono nel concerto cantando oppure suonando altri strumenti.

Il tema è quello dell'harmonia mundi, d'ispirazione pitagorica ma riletto in chiave cristiana: dalla Creazione al Giudizio finale, la musica - attraverso la sua patrona Cecilia - è celebrata come forza universale che sorregge l'Universo. 

Se volete ascoltare l'intera cantata di Haendel diretta da Butt, potete trovare l'esecuzione integrale QUI. Il testo lo trovate invece QUI


Dryden (1631-1700) è stato un poeta, traduttore e critico letterario inglese. Di famiglia alto-borghese, ebbe l'opportunità di formarsi presso la severa scuola di Westminster e poi presso il Trinity College a Cambridge (qualche anno dopo vi sarebbe passato anche Newton).

Con l'ascesa al trono di Carlo II, divenne poeta di corte, ricevette il titolo di Poeta laureato e scrisse una serie di opere atte ad esaltare la monarchia e la religione anglicana. 

Scrisse anche un'ode dedicata a John Oldham, un poeta satirico morto in giovane età a causa del vaiolo - per il quale ancora non esisteva la vaccinazione, sperimentata dapprima dal veneziano Jacopo Pilarino (1659-1718) e poi riscoperta da Jenner alla fine del XVIII secolo.

Salito al trono Giacomo II, di fede cattolica, Dryden si convertì e celebrò la sua conversione a Roma in un poema, The hind and the panther (1687). 

La Gloriosa Rivoluzione del 1688 depose il re, lo mandò in esilio e privò il poeta di titoli e di rendite. 

In seguito, Dryden si guadagnò da vivere traducendo autori latini, rivedendo gli autori medievali (Boccaccio e Chaucher su tutti) e componendo odi, tra cui la celebre Alexander's Feast - anche questa musicata in seguito da Haendel. Eccone l'ouverture, diretta da Harnoncourt.

sabato 20 novembre 2021

Note (anche musicali) per domenica 21 novembre


In questa penultima domenica di novembre, voglio cogliere l'occasione offerta dal calendario liturgico cattolico per accostare due immagini quasi antitetiche che fanno da cornice all'angoscia e alla disperazione dell'uomo che si scopre fragile di fronte alla malattia e alla morte.

La prima immagine è quella del Giudice supremo, il Rex tremendae majestatis, invocato da Mozart nel suo Requiem con un coro a quattro voci dal sapore vagamente haendeliano, con l'incedere dei ritmi puntati e la cupa tonalità di Sol minore.

La rappresentazione, nel video, raffigura il Cristo che appare luminoso tra le tenebre del peccato e viene a giudicare i vivi e i morti (così nel Credo), accompagnato da schiere di angeli. 

Il metro del giudizio è la Croce, ossia la donazione totale di sé, che - secondo la Dottrina cristiana - si realizza compiutamente sul Calvario e apre ai credenti il Regno dei Cieli (così nel Te Deum). 

Salva me, fons pietatis! - invoca il peccatore di fronte al giusto Giudice. E non uattanciù, come si insegna oggi, nelle - sempre più vuote - chiese del divertimento, dell'intrattenimento e della misericordia a prezzi stracciati - mentre solo a prezzo di quel sangue l'Umanità è stata redenta, come annunciava una volta la Dottrina cristiana. Una volta, adesso è demodé.


La seconda immagine è quella della Madre pietosa - che Michelangelo rappresentò accovacciata ai piedi del Cristo giudice - salute degli infermi e rifugio dei peccatori: anche qua, la musica di Mozart, tratta dalle Litanie K 195, interpreta il sentimento dell'uomo che si scopre fragile, sia nel corpo sia nello spirito; e si fa più dolce nella consolazione e nella richiesta di aiuto. Ora pro nobis.


E proprio in onore della Salus infirmorum, i veneziani eressero una splendida basilica, su progetto del Longhena, al termine della grave pestilenza del 1630: sicuramente per ringraziare della fine di quel flagello ma anche delle eredità ricevute dai parenti morti.


L'altare, disegnato dal Longhena stesso, è sormontato da tre figure scolpite nel marmo: una bella fanciulla, allegoria di Venezia nell'atto di supplicare la Madonna col bambino che scaccia la peste, rappresentata come una vecchia e cenciosa nell'atto di andarsene. 


Sotto vi è incastonata un'icona bizantina che raffigura Maria, portata da Creta a Venezia da Francesco Morosini. Buona festa della Salute ai Veneziani di oggi e di ogni tempo.


Ippolito Caffi, veduta notturna di Palazzo Ducale verso la Salute.

mercoledì 17 novembre 2021

Viaggi improbabili...

Fa buio pesto e presto, in questi giorni di novembre - che scivolano verso dicembre e le vacanze di Natale, mentre la Terra accelera verso il suo perielio, come spiegavo stamattina ai miei discenti.

L'umidità nell'aria si fa più fastidiosa, specie per chi, come me, soffre di reumatismi e ne sopporta i dolori connessi sognando un viaggio impossibile in paesi più caldi. 


A dir la verità, dovrei pensare a paesi dal clima più asciutto, ma cedo alla tentazione di immaginare un viaggio nell'America del Sud, lasciandomi trasportare dalle emozioni di alcune letture, come quella di un saggio dedicato a Von Humboldt di cui dissi QUI; oppure L'amore ai tempi del colera recentemente trasposto in Graphic Novel, pubblicato da Mondadori.


Ai colori di Ugo Bertotti accosto la bicromia di certe cartoline più o meno datate...


Rio de Janeiro, col suo celeberrimo carnevale e la cementificazione più selvaggia della natura che la precedeva, è forse la città-simbolo del Brasile. 

Tra le tante cose, a me piace ricordare che vi fu fondato, agli inizi del XX secolo, l'Istituto Oswaldo Cruz. Nel nome, questa struttura ricorda il grande igienista carioca, allievo a Parigi presso l'Istituto Pasteur e impegnato in patria nella lotta contro gravi epidemie di peste e di vaiolo.

Per contrastare la diffusione di quest'ultima malattia, Cruz introdusse nel 1904 la vaccinazione obbligatoria dei bambini, che fu contrastata da numerose proteste e sfociò, nel mese di novembre, in rivolte di piazza, sedate dall'esercito e immortalate in vignette che potrebbero conoscere una certa attualità.


Quando nel 1908 scoppiò l'epidemia, la popolazione che prima era insorta rifiutando il vaccino stavolta scendeva in piazza a chiedere a gran voce le misure di profilassi.

Il Tripanosoma cruzi, di cui dissi QUI, oltre che in un libro pubblicato lo scorso anno e scritto a quattro mani col professor Barbazza, è stato chiamato così dal dottor Chagas in onore del suo maestro, scomparso a soli 44 anni di età.

Nel 1907, Chagas fu inviato da Cruz a studiare un'epidemia di malaria che affliggeva gli operai addetti alla costruzione di una linea ferroviaria a Lassance. Allestì un laboratorio in un vagone e una serie di osservazioni gli hanno permesso di individuare il patogeno, il vettore, i sintomi, il decorso e l'epidemiologia di una patologia nuova, oggi chiamata morbo di Chagas.


Beh, se continuo con la rassegna di malattie infettive dei paesi tropicali, credo che finirò per tenermi i dolori reumatici, per cui interrompo la disamina e immagino una corsa su un treno come quello al quale lavoravano gli operai visitati da Chagas. 

Una vaporiera che corre su un binario in mezzo a una foresta lussureggiante: agli sbuffi della locomotiva, che lentamente parte e poi raggiunge il ritmo della corsa, si contrappunta un canto, intonato dai passeggeri, per la maggior parte lavoratori che vanno o che tornano dalle piantagioni. Questo è quanto cerca di cogliere Heitor Villa Lobos, il più noto compositore carioca, nella sua Fantasia sulla toccata n. 2 delle Bachianas Brasileiras, dal titolo: O trenzinho do Caipira.

Il video sopra, con le sue immagini in bianco e nero, ci porta a compiere questo viaggio cinemusicale in un Brasile ben diverso da quello delle spiagge di Copacabana, di San Paolo o di Brasilia.

Nel loro insieme, le Bachianas Brasileiras di Heitor Villa-Lobos costituiscono un gruppo di opere scritte da Villa-Lobos tra il 1930 e il 1945. Sebbene chiamati allo stesso modo, questi nove pezzi non sono destinati ad essere eseguiti continuamente, sebbene abbiano una relazione unica. 

Villa-Lobos diede loro questo nome perché in tutte voleva fondere il folklore brasiliano con lo stile e il modo di comporre del compositore barocco tedesco Johann Sebastian Bach, che ammirava. Pertanto, esse non soddisfano un modello strumentale fisso, ognuno ha una formazione diversa, ensemble da camera, orchestre con vari strumenti, ecc. - sotto questo aspetto, un po' ricordano i Concerti Brandeburghesi o le Quattro Suite per orchestra

I suoi movimenti usano la terminologia musicale barocca insieme a un termine brasiliano. Sebbene li trattasse separatamente, l'autore li chiamava sempre al plurale per designarli.

Il brano che ci trasporta a bordo di un trenino di campagna, Bachianas Brasileiras nº 2, è stato composto nel 1930, per orchestra: ha debuttato a Venezia, sotto la direzione di Alfredo Casella. E, terminato il viaggio, con questa prima assoluta, sono tornato ancora una volta a casa, in Terra Veneta.

martedì 16 novembre 2021

Come il "Triple 10" di Kikuo Ibe è diventato G...

All'inizio degli anni '80, Kikuo Ibe era il principale designer di orologi di Casio. Eccone la storia.

Nel 1981, Kikuo Ibe ha formato un team di progetto di soli tre membri che mirava a realizzare un orologio indistruttibile, dopo aver visto un orologio da taschino, regalo del padre, finire in pezzi a causa di una caduta.

I loro sforzi avevano lo scopo di materializzare il concetto Triple 10: resistente a una caduta di 10 metri e alla pressione di 10 atmosfere, con una durata della batteria di 10 anni.  

Sono stati testati vari materiali. La forza dei primi prototipi è stata sottoposta ai requisiti più severi. Tuttavia, Ibe non era completamente soddisfatto. Nemmeno i metalli più duri potrebbero proteggere completamente la vita interna digitale da urti e altre influenze esterne. Dopo mesi di duro lavoro, in cui la squadra veniva spinta al limite fisico e mentale, l'obiettivo sembrava ancora lontano.

A questo punto, Ibe osservò i bambini che giocavano in un parco e realizzò che: "L'interno di una palla di gomma rimbalzante rimane completamente insensibile all'impatto". Questa osservazione ha portato il team a sviluppare un orologio con una struttura cava, in cui il modulo era praticamente sospeso all'interno.

La lunga e difficile fase sperimentale è durata quasi due anni. Tuttavia, dopo un continuo sviluppo di strutture e parti diverse in più di 200 prototipi, nel 1983 è arrivato sul mercato il primo G-Shock antiurto. 

Idee rivoluzionarie come la costruzione della struttura "cava", una protezione completa e un'imbottitura per parti importanti sono stati i pilastri fondamentali della forza del G-Shock e hanno permesso la costruzione di una struttura resistente agli urti che ha completamente cambiato la concezione degli orologi convenzionali e che è ancora oggi alla base di tutti i G-Shock.

 

Il prosieguo della storia l'ho raccontato QUI mentre ho raccontato la fortuna cinematografica di questi piccoli capolavori della tecnica QUI

QUI ho approfondito qualche notizia sulla gomma poliuretanica di cui è fatto il cinturino (anche se quello dell'ultimo modello che ho acquistato, come potete osservare dalla foto sopra, è in un elegante metallo brunito); e ho parlato più volte di come qualcuno di essi mi accompagna quotidianamente, tra casa, lavoro e tempo libero, QUI e QUI.

L'altra sera, guardando un documentario sulla geologia della Calabria, non ho potuto non notare i mitici G al polso di qualche ricercatore. Quello nella foto è un G-7900-2D.

Nel mondo militare poi sono di casa - i G-Shock, intendo, non io - che da stellette, mimetiche e anfibi non sono mai stato attratto, tanto oggi quanto in gioventù. Anzi, ho guardato di starmene ben distante.

Il mio G preferito, tuttavia, è anche quello dato in dotazione ai Navy Seal americani, come ho scritto QUI - e devo dire che sul camo woodland veste bene. 

Francamente, continuo a preferire per me l'abbigliamento tecnico da montagna, il grigioverde lo lascio volentieri ad altri; il raro DW6600 invece lo tengo stretto - vorrei dire "ammanettato" - al polso.


Per la loro robustezza, alcuni G-Shock sono stati indicati anche per le missioni spaziali dalla NASA, come il DW5600, interamente digitale e noto come "quadratino" (per la forma della cassa) o "speed" (perché indossato dall'attore Keanu Reeves nell'omonimo film del 1994). Eccolo.


Modelli attuali includono l'alimentazione solare, l'elettroluminescenza o un led, un sacco di funzioni per l'out-door (che condividono con i Pro-Trek), il radio-controllo, la combinazione analogico-digitale (alcuni con le lancette fosforescenti di cui dissi QUI), vari colori (anche se per me il Casio resta l'orologio nero per eccellenza), tanti materiali.


Raccolgono un sacco di appassionati, che si organizzano in gruppi sui social network: io stesso sono iscritto ad alcuni e la cosa mi ha fornito l'occasione per scambiare idee con persone assai simpatiche e - più o meno - della mia età. D'altronde, la popolarità di questi orologi è cresciuta con la mia generazione, dalla fine degli anni '80, attraverso gli anni '90, fino ad oggi.


PS: le foto del post non sono tutte mie. 
Ringrazio gli amici per le condivisioni.

sabato 13 novembre 2021

Verso l'inverno...

Anche l'estate di San Martino è passata. Più di qualche mattacchione si è divertito a fotografare il display del suo orologio digitale alle 11:11:11 del giorno 11.11... ecco lo scatto di un amico, col suo G-Shock stretto al polso.


Io non ci ho pensato, anche perché a quell'ora ero impegnato in cantina a cercare la verdura per il minestrone che ho preparato nel pomeriggio, godendo la cucina e la casa libera, tutta per me.


La sera, il cielo ha regalato la congiunzione della Luna al primo quarto con Giove (il piccolo puntino luminoso appena sopra), che ho cercato di fermare con uno scatto - sempre con lo smartphone: devo riattivare la Nikon, me lo riprometto, ma poi finisco sempre per cogliere la soluzione più comoda.


L'indomani è stata ancora una bella giornata: e il tramonto si è tinto di rosee sfumature appastellate.


Il risveglio di oggi si è tinto di grigio: il meteo ci trascina verso l'inverno più freddo e umido, per la gioia delle mie già doloranti articolazioni. Brut gner veci - brutto diventare vecchi.


Che dire? Copertina sulle ginocchia, camicia di flanella... niente frittata di cipolle o familiare di Peroni gelata. Non c'è la fantozziana finale degli Europei. E nemmeno un qualsivoglia Guidobaldo Maria Riccardelli che fa squillare il telefono inopportunamente.


Mi attendono invece più di qualche libro da leggere, che acquisto compulsivamente e che accumulo sopra il tavolo, come i mattoni di una biblica Babele costruita tuttavia senza la presunzione di raggiungere il cielo. 

L'intento è trovare un po' di piacere nello scoprire cose nuove e nel lasciare che gli autori mi parlino attraverso la parola scritta - qualche volta tradotta. Cechov mi guarda - attraverso le lenti appoggiate sul naso - e sembra sorridermi: - No, Anton. Non ho paura di imparare ancora

mercoledì 10 novembre 2021

10 + 11 = 21

Eccoci alla vigilia di San Martino, patrono della Cividàl di Belluno. Ammirate uno scorcio delle montagne che la abbracciano a nord, dietro i rami spogli e le foglie ingiallite dall'autunno, ormai nella sua pienezza.

Mi piace la combinazione dei numeri della data di oggi: la somma dei primi due dà il terzo...


... ma lasciamo perdere i giochi matematici, gli orologi (dei quali ho raccontato la storia in una recente lezione) e veniamo a questa giornata faticosa - anche se nulla di particolare la caratterizza.

Ho raccontato di Isaac Newton (1642-1727) - che molti ricordano per la legge di gravitazione universale e meno per la zigrinatura del bordo delle monete, introdotta per evitare la pratica della tosatura
Infatti, i dipendenti della zecca reale inglese erano soliti limare (cioé "tosare") le monete per recuperare metalli da conio (oro, argento) da poter rivendere agli orafi: zigrinando il bordo ciò non fu più possibile, se non correndo il rischio di essere scoperti e di finire sul patibolo - si dice: con viva soddisfazione di Newton che godeva particolarmente nel vedere il reo trascinato in catene alla morte nella disperazione.

Poi ho raccontato di Pasteur e di Koch; ma anche della scoperta del Treponema pallidum da parte di Schaudinn, del Salvarsan 606 di Ehrlich, della Penicillina di Fleming e del suo uso sperimentale a Napoli nel 1944, con un fugacissimo e non troppo approfondito riferimento letterario a La pelle di Malaparte - opera che si guadagnò, tra le tante cose, un posto nell'indice dei libri proibiti di Santa Romana Chiesa. Ma la guerra è guerra, con la sua cruda violenza, anche e soprattutto sugli innocenti, nonostante la retorica trionfalista voglia farci credere altro, con tanto di incensi e di benedizioni.

B. Britten, Dies irae - dal War Requiem

Con la speranza di non vivere mai situazioni simili; con un pensiero a chi purtroppo le vive o le ha vissute in tempi recenti, in vari luoghi di questo nostro mondo, tanto abbruttito dalla bestialità umana; con la gratitudine che sgorga sincera per avere una casa, un lavoro e persone delle quali volere il bene, chiudo il post e ammiro i colori del tramonto.

lunedì 8 novembre 2021

Qualche piccolo scatto di questi giorni...


Novembre, dunque. Con il cielo grigio, l'aria umida, la pioggia fredda e l'odore del legno combusto che si fa sentire sempre più forte.

La nebbia, a fondo valle, nasconde il corso del fiume; ma in qualche rara giornata il sole si fa sentire ancora caldo.


Tuttavia il meteo cambia rapidamente...


... e il verde dei giardini si macchia del giallo delle foglie cadute a terra.

Ecco - sopra e sotto - due scatti veloci ai piedi della città di Belluno, rubati stamani mentre rientravo in sede dopo una commissione.

Ma la sorpresa più bella l'ho ricevuta tornando a casa e rimirando sulla scarpata qualche famigliola di chiodini spuntare tra l'erba e le foglie in decomposizione.

Ah, anche ai piedi dei vecchi pruni, che il nonno piantò - quando io ero solo bambino - e che ancora danno i loro frutti.

Alzando lo sguardo, ecco la nebbia serale, dietro agli alberi, nascondere la vista del campanile.

I raggi del sole si fanno strada tra le nubi per salutare il dì andante.

E i gatti, sull'uscio, si consultano se uscire o se ritornare in casa, al caldo, per consumare la solita porzione abbondante di crocchette oppure miagolare per pretendere la carne in gelatina. Lepre? Fagiano? Pernice? Cosa desidereranno mai le loro altezze feline?