giovedì 31 dicembre 2020

L'ultimo giorno del 2020


Il datario mostra che siamo giunti al 31 dicembre. Nelle chiese sta per risuonare il canto del Te Deum, l'inno attribuito a Sant'Ambrogio, come ringraziamento: per il bene ricevuto e per il male che ci lasciamo alle spalle. Ascoltiamolo nella versione musicale di Johann Joseph Fux (1660-1741).


Così, è arrivata la fine di questo 2020, un anno bisesto e per alcuni funesto. Io non posso lamentarmi e onestamente riconosco nella morte di mia nonna - ammalata da anni di una grave malattia  del fegato - l'unico evento triste. 

Per il resto, la pandemia (o sindemia, secondo The lancet) e il lockdown - una tragedia per moltissime persone - mi hanno offerto l'occasione di: 
  • reinventare una vita in casa (e non ho avuto difficoltà ad abituarmi, complice il fatto che vivo in campagna e ho un bel po' di prato attorno);
  • cercare di fare didattica in modo nuovo (anche se non so quanto efficace);
  • voler ancora più bene alle persone che - per forza di cose - sono rimaste lontane fisicamente ma che ho sentito più vicine negli affetti (anche grazie ai moderni mezzi di comunicazione, che benedico davvero e che in questo frangente ho potuto apprezzare di più).

Ora, gli ultimi giorni dell'anno si sono tinti di bianco: tuttavia, prima che la neve scendesse, fermo in macchina, mentre attendevo che il cancello di casa completasse il suo movimento, ho guardato sul colle, sotto il nespolo, intravedendo un merlo alla ricerca di cibo tra le foglie cadute (foto sopra).


Dopo la neve di questi giorni, sull'albero davanti alla porta di casa, ecco appese le retine con il grasso e le sementi per sfamare la piccola fauna avicola - che pur abbonda. Ovviamente il gatto ha capito subito che quell'albero potrebbe costituire una sua personale riserva di caccia: a parte qualche appostamento, non ha tuttavia mai catturato un passero. Almeno finora.


La fine di questo 2020 ha portato un primo vaccino per il Covid e, con esso, tanti commenti - a favore o contro - spesso espressi con toni esacerbati. 

Nel mio piccolo, credo che ognuno sia libero di compiere responsabilmente le proprie scelte, ricordando che la libertà individuale (pur sacrosanta e inviolabile) non contempla il diritto di andare in giro a contagiare gli altri.

Chi non vuole fare il vaccino, faccia a meno: ma non pretenda che gli altri facciano altrettanto, giustificando una scelta del tutto personale con numeri che non esistono, con fantabiologia, genetica "bionanomolecolarsubatomica", complotti, calcoli su cifre piovute da chissà dove - magari dalla NASA, dal Pentagono o da qualche cugino di quarto grado che lavora in un laboratorio di ricerca supersegreto di una imprecisata casa farmaceutica. 

Uno decide di non vaccinarsi e basta, ne ha il diritto e nessuno glielo deve togliere: augurandogli tutta la salute possibile, accetterà eventuali conseguenze della sua scelta.

Io stesso ho delle riserve, ma per una mia situazione personale che è solo mia e che altri non possono condividere e quindi ne taccio. Sciolta la riserva, con l'aiuto di persone competenti, sarò ben felice di sottopormi alla misura di profilassi, nell'interesse mio e di chi mi è vicino.

Chi non vuole vaccinarsi, faccia a meno, ma eviti di mitragliare corbellerie, che certamente non causano il Covid, ma un terribile mal di capo a chi legge argomentazioni inverosimili.

Dopo l'appunto sui vaccini, eccone un altro sul tremendo terremoto che ha martoriato la Croazia. L'evento, per alcuni commentatori, sarebbe da imputare al Fracking o alle trivellazioni - ipotesi lette sui social network in qualche appunto qua e là. Non mi esprimo in merito, ma biasimo chi si sente in dovere di commentare sempre tutto. 

Prendiamo atto delle disgrazie, che pur accadono; ma gioiamo del fatto di essere vivi, di aver salute, di avere del cibo, un riparo e qualcuno da amare. Per il resto, possiamo sperare in un 2021 migliore, adoperandoci per costruirlo bello come lo desideriamo. Ognuno nel suo orticello, direbbe il Candido di volteriana memoria.

martedì 29 dicembre 2020

L'ora della neve...

L'inverno è cominciato astronomicamente da una settimana o poco più ed era proprio ora di una bella nevicata - cominciata ieri (vedete la data sull'orologio) e protrattasi lungo tutta la giornata, fino ad oggi.








Qualcuno (a quattro zampe) ha scoperto la neve per la prima volta (notare sopra l'espressione perplessa), mentre qualcun altro (a due zampe) ha saltellato su di essa in cerca di cibo, arrivando fino alla porta di casa...

lunedì 28 dicembre 2020

"L'ultima notte" di Eluard

Questo piccolo mondo assassino

È puntato sull’innocente

Gli toglie il pane di bocca

E dà la sua casa alle fiamme

Gli prende le vesti e le scarpe

Gli prende il tempo e i figli

Questo piccolo mondo assassino

Confonde i morti con i vivi

Assolve il fango, grazia i traditori

La parola trasforma in rumore

Grazie mezzanotte - dodici fucili

All’innocente rendono la pace

E tocca sempre alle folle

Sotterrare quella sua carne

Sanguinosa e il suo cielo nero

E tocca alle folle comprendere

Quanto debole è chi assassina.

(Paul Eluard)

sabato 26 dicembre 2020

Le nevi dell'equatore

Come ho passato il giorno di Natale? Dedicandomi (finalmente) alla lettura. Telefono silenziato, coperta sulle ginocchia, scorta di cioccolato, libro in mano (grazie a Edda e ad Alberto, miei librai di fiducia, per averlo procurato) e atlante geografico sul tavolo, aperto sulla tavola dell'Africa fisica.

Le nevi dell'Equatore. Kilimanjaro, Kenya, Ruwenzori: è il titolo del libro che ho "divorato" in poche ore, opera di Mirella Tenderini pubblicata dal CDA - Centro Documentazione Alpina nel 2000 a Torino; una seconda edizione, quella da me letta, è del 2012.

Dalla ricerca delle sorgenti del Nilo all'ascensione del Kilimanjaro, del Monte Kenya e del Ruwenzori, "Le nevi dell'Equatore" ripercorre le tappe dell'esplorazione dell'Africa orientale

Favoleggiate dall'antichità, le grandi montagne coperte di neve esistevano davvero, e forse erano i Monti della Luna, mitica culla delle sorgenti del Nilo, oggetto di esplorazioni e di audaci imprese nel cuore del Continente nero

John H. Speke (1827-1864)

I protagonisti di questo libro sono innanzitutto gli Europei, che per primi hanno salito le grandi montagne africane e i più grandi esploratori di quel continente (Burton, Speke, Stanley e Livingstone); ma anche i sanguinari re delle tribù autoctone, i missionari (cattolici e protestanti, che non andavano d'accordo nemmeno sull'evangelizzazione), i mercanti di schiavi (tutti arabi e musulmani, quelli nominati, a dispetto di un certo modo di insegnare la storia che a scuola parla esclusivamente della tratta voluta da francesi, inglesi, olandesi, portoghesi e spagnoli - a quanto pare con la benedizione della Chiesa), i guerrieri e gli avventurieri che si sono avvicendati in quelle terre. 

E - non in ultima battuta - le popolazioni e le etnie di quel continente, da sempre travagliato da guerre, carestie ed epidemie, che stanno cercando a fatica di gestire un'autonomia - dopo secoli di asservimento, deportazioni e massacri.


Il libro ripercorre così uno dei capitoli più avventurosi dell'incontro dell'occidente con la natura selvaggia, durato più due secoli: dalla scoperta delle sorgenti del Nilo, alle salite delle più alte cime del continente.


L'ultima cima, quella del Ruwenzori, vede protagonista indiscusso l'audace Luigi Amedeo d'Aosta, Duca degli Abruzzi, un principe di Casa Savoia che - per le sue esplorazioni - meriterebbe di essere conosciuto dai più, forse anche di più di suo nonno Vittorio Emanuele II, dello zio Umberto I e del cugino Vittorio Emanuele III - purtroppo unici protagonisti dei nostri tanto vituperati manuali scolastici.

venerdì 25 dicembre 2020

Presepi e Vaccini

L'artista messicano Diego Rivera (1886-1957), sentimentalmente unito a Frida Kahlo (1907-1954) oltre che (carnalmente) a molte altre donne, nel 1932 fu a Detroit, ove realizzò 27 pannelli nei quali rappresentò il trionfo e la potenza dell'industria americana. 

Detroit è la sede della Ford, non dimentichiamolo. Il compagno comunista Rivera si trova in una delle roccaforti del capitalismo per rappresentare, con la sua arte, il lavoro e l'industria pesante, non senza metterne in luce le contraddizioni. Ad esempio, celebrando l'industria chimica, da un lato egli rappresenta il potenziale distruttivo della stessa, in quanto produttrice di armi di sterminio di massa. 

Dall'altro, "La Vaccinazione", celebra la chimica a servizio della medicina e della salute con una composizione che ricorda il presepe: il bambino è posto in piedi sul lettino anziché coricato nella mangiatoia, l'infermiera prende il posto della Madonna, il medico di San Giuseppe e gli scienziati stanno al posto dei tre magi, chini sulle loro ricerche. 

Ma il bue e l'asinello (come sindacalisti - rappresentanti delle pecore e degli altri animali usati per la produzione di vaccini) sono ancora al loro posto.


Credo che l'abbinamento presepe - vaccino, in questo Natale 2020, non sia poi così troppo azzardato, vista anche l'apertura dei notiziari di oggi, con il furgone che ha varcato il passo del Brennero diretto all'Istituto "Spallanzani" per portare le prime dosi dell'Anticovid.


Intanto, non dimentichiamo il presepe tradizionale - il mio (sopra) è piccolo e soprattutto ecofriendly: per ricreare l'ambiente ho usato la segatura e non il muschio (sotto) al fine di non raccoglierlo così da non arrecar danno ai microecosistemi di cui è parte integrante.


Più che sufficiente, per augurare buon Natale a chi si accosta alla porta della mia casa: cioè quasi nessuno, viste le restrizioni attuate per questi giorni di festa, che trascorrerò leggendo e scrivendo.

giovedì 24 dicembre 2020

Dalle Falde del Kilimangiaro al Dallol...


Questo filmato, tratto dalla puntata del 25 novembre 2012 del fortunato programma televisivo "Alle falde del Kilimangiaro", ci riporta ancora in quella Dankalia di cui ho già detto in altre occasioni, ricordando Raimondo Franchetti e gli altri esploratori che per primi hanno attraversato quella regione o accennando alla Rift Valley.

Godiamo ancora delle immagini, così inusuali - sperando un giorno di poter ammirare quei posti dal vivo - e ritorniamo a riflettere sulla chimica prebiotica, le cui condizioni sono evocate nelle pozze idrotermali del Dallol.

Gli studiosi, analizzando quelle caldissime acque, nelle quali si concentrano sali e acidi, hanno trovato forme di vita capaci di resistere in un ambiente così inospitale: trovate QUI un interessante articolo sul tema, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature. Oppure potete leggere qualcosa di più divulgativo QUI.

Tra gli studiosi del Dallol, ricordo qui la professoressa Barbara Cavalazzi, astrogeologa e astrobiologa: il prefisso "astro" non ci tragga in inganno, visto il periodo dell'anno, perché l'astrologia non c'entra nulla e la ricercatrice è una scienziata che si occupa di un ambito affascinante su cui spendo - troppo brevemente - due parole (l'ho fatto anche in classe: trovate il suo sito QUI). 

L'astrobiologia è una scienza relativamente giovane che, per mezzo di un approccio multidisciplinare, focalizza la sua attenzione sugli esseri viventi (procarioti) che vivono in condizioni estreme e per questo sono detti genericamente "estremofili": alofili se vivono in elevate concentrazioni saline, acidofili se vivono a pH molto bassi, alcalofili se vivono a pH elevati, barofili se vivono a pressioni altissime (come quelle delle fosse oceaniche), etc. 

Queste condizioni potrebbero essere analoghe a quelle verificantesi in oggetti celesti (pianeti, satelliti, asteroidi) dove potrebbero trovarsi forme di vita simili: ovviamente mi riferisco a batteri, non a omini verdi con le antenne.

Oltre che nel Dallol, organismi simili vivono nei laghi salati dell'Africa orientale oppure nel Mar Morto; mi chiedo se non vivano anche nell'acidissimo lago del vulcano Kawah Jien in Indonesia o nel Rio Vinagre che sgorga dal vulcano Puracé in Colombia.

Tornando con i piedi per Terra e sognando l'Africa, trascorrerò queste vacanze natalizie leggendo un po' di libri e articoli a tema. Il freddo umido della Val Belluna non invita di certo ad uscire di casa. Ringrazio il lockdown che mi dà un motivo in più per restare in pigiama e pantofole sui libri.


Nota: clikkando sulle parole in grigio, queste diventano blu e sottolineate: così vi si aprono i link agli articoli e ai siti consultati.

mercoledì 23 dicembre 2020

Appunti sul Tripanosoma

Il tripanosoma è un genere notevole di tripanosomatidi, un gruppo monofiletico di protisti unicellulari parassiti di piante e di animali.

✅Il nome del genere deriva dalle radici greche τρύπανον, trýpanon, che significa trapano, e σῶμα, soma, che significa corpo.

✅ Tale nome si riferisce al modo in cui il corpo cellulare penetra nelle cellule che parassita.

✅Diverse specie infettano vari vertebrati, compreso l'uomo, causando malattie da tripanosomi o tripanosomiasi: ne sono esempi la malattia del sonno e la malattia di Chagas.

✅ Molte specie vengono trasmesse dagli invertebrati, come gli insetti che mordono o penetrano nella pelle. Il vettore della malattia del sonno è la mosca tze-tze; il vettore della malattia di Chagas è un emittero (Triatoma infestans) chiamato popolarmente vinchuca e detto anche "barbiere" per la sua abitudine di succhiare il sangue dal volto mentre l'ospite dorme.

✅ Il tripanosoma ha un ciclo vitale complesso, anche con forme morfologiche diverse, soprattutto nelle specie che si trasmettono attraverso gli invertebrati.

✅ Negli ospiti vertebrati le cellule assumono una forma caratteristica chiamata tripomastigote, dove il flagello scorre da dietro a davanti alla cellula ed è collegato da una membrana ondulata.

✅ Il genere Trypanosoma abbraccia diverse dozzine di specie di protozoi. Due delle tre specie che infettano gli esseri umani sono patogene (T. Brucei e T. Cruzi) e molte altre specie possono causare malattie gravi ed economicamente importanti nei mammiferi domestici.

✅ Per concludere, in termini generali, gli organismi appartenenti a questo genere sono protozoi flagellati della famiglia Trypanosomatidae, ordine Trypanostomatida, classe Kinetoplastida, che attraversano diversi stadi morfologici (epimastigoti, amastigoti e tripomastigoti) nei loro ospiti vertebrati e invertebrati; tuttavia, il criterio morfologico a tre stadi non è stato soddisfatto per tutte le specie del genere.

Infine, vi ricordo che il professor Barbazza ed io abbiamo dato alle stampe, alla fine della scorsa estate, un breve libretto dedicato al mondo dei microbi, "Vita e morte nell'invisibile", di cui avevo parlato QUI.

Nella trattazione ricordiamo ampiamente la splendida figura di Carlos Chagas (1879-1934), medico e ricercatore al quale si deve la scoperta del patogeno che causa la Tripanosomiasi americana, detta Malattia di Chagas: caso unico nella storia della microbiologia, egli ne descrisse la trasmissione, il vettore, il ciclo vitale, i sintomi, il decorso della patologia e la sua diffusione presso la popolazione.

lunedì 21 dicembre 2020

Per il 21 dicembre 2020

21 dicembre. Pochi sono i giorni che ormai ci separano dalla Solennità del Santo Natale. La Chiesa cattolica tutta (forse...) celebra l’attesa che stringente sta per compiersi e lo fa per mezzo di testi liturgici antichissimi, tra i quali spiccano le Antifone maggiori, che nelle celebrazioni vespertine includono il canto del Magnificat. Quella di questa sera è bellissima, e ben si addice alla concomitanza astronomica che oggi ricorre: il solstizio d’inverno (scrivo dall’emisfero boreale). 

Eh già, oggi è terminato l’autunno ed è iniziata, astronomicamente parlando, la stagione più fredda, nel momento in cui i raggi solari sono caduti perpendicolarmente al tropico del Capricorno

Ecco l’antifona:

O Astro che sorgi, splendore della luce eterna, sole di giustizia: vieni, illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra della morte.

L’invocazione si apre con un appello a Cristo che nasce come un astro che sorge. Un tema già proposto nell’antifona al Benedictus (o Cantico di Zaccaria perché Luca nel suo Vangelo lo pone sulle labbra del sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni il Battezzatore - cfr. Lc 1,68-79) delle lodi mattutine del 19 dicembre: Sorgerà come il sole il Salvatore del mondo…

E proprio dal Cantico di Zaccaria, riportato da Luca nel suo Vangelo, è ripresa la seconda parte dell’antifona. Scrive l’evangelista: “… verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte…”. 

Già la chiesa cristiana antica si appellava a Cristo come al sole che sorge. Il Benedictus è infatti un inno cantato dalle prime comunità cristiane ben prima che il canone delle Scritture iniziasse a prendere forma e fosse confermato nella sua forma definitiva.

Ma se nel Cristianesimo la seconda persona della Trinità che assume la natura fragile e finita dell’uomo viene acclamata (e questo da quasi due millenni) come il sole che sorge, nelle culture antiche era proprio l’astro che illumina il giorno ad essere adorato come divinità. 

Forse già i sapienti nelle prime civiltà avevano intuito l’importanza del sole per la vita sulla Terra e per le comunità umane (dipendendo da esso il divenire dei giorni e delle stagioni); a causa di ciò, stimandolo un autentico nume, eressero in suo onore templi e santuari, nei quali talvolta si compivano cruenti sacrifici (anche umani) e riti propiziatori. E questo un po' in tutto il mondo: dalla terra d’Egitto che adorava Ra fino alle civiltà precolombiane sull’altra sponda dell’Atlantico, ai culti di Mitra e di Zoroastro diffusi tra Anatolia, Persia e valle dell’Indo.

Ben lungi comunque dall’essere una divinità, il sole è "semplicemente" la stella a noi più vicina. Capire esattamente come esso funzioni significa forse capire l’origine della vita sul nostro pianeta. Come tutti gli oggetti materiali, esso ha una sua storia, un momento in cui si è formato. 

La nascita del sole è uno dei più grandi interrogativi di tutta la fisica. Probabilmente il sole si originò in una nube di idrogeno ed elio. Fu sufficiente che si creasse qualche disomogeneità affinché la materia crollasse sul centro della nube, o nucleo di condensazione, accrescendone la massa e quindi la capacità di attrazione gravitazionale. 

A un certo punto la nube collassò e si formò una sfera di gas luminosissima. L’energia di questo corpo era legata esclusivamente alla forza gravitazionale. La contrazione continuò fino a far salire la temperatura superficiale a 4.500° C e quella interna a 800.000° C. A questa temperatura si innescò una primitiva forma di reazione termonucleare, consistente nella fusione di un protone con un nucleo di deuterio, con la formazione di elio 3 ed energia. Tuttavia questa reazione non durò molto, perché il deuterio non abbondava nel proto-sole.

Quando il deuterio si esaurì, riprese la contrazione gravitazionale. Quest’ultima provocò un collasso in seguito al quale la temperatura del nucleo raggiunse i valori sufficienti a innescare i processi di fusione che sono tuttora in corso e che trasformano quattro nuclei di idrogeno in un nucleo di elio, con l’emissione di fotoni gamma, la radiazione più energetica che si conosca.

Prima di giungere alla superficie del sole, i fotoni gamma devono seguire un cammino lungo e tortuoso. Il plasma della zona centrale del sole (core) è opaco ai fotoni gamma, che devono quindi attraversarlo seguendo un processo continuo di assorbimento-emissione, perdendo energia cinetica e guadagnando una maggiore lunghezza d’onda.

Fino a 450.000 Km dal centro l’altalena assorbimento – emissione è l’unico mezzo di trasmissione dei fotoni: questa è la zona radiativa. Negli strati superiori si trova invece una regione convettiva, ove si formano colossali cellule di convenzione le quali, procedendo verso la superficie del sole, divengono sempre più piccole, fino alla fotosfera

La struttura del sole in un disegno incompiuto di ...

Oltre la fotosfera, spessa 400 Km, c’è la cromosfera, spessa 10.000 Km. Per compiere il tragitto dal centro del sole alla cromosfera un fotone impiega un tempo stimabile intorno ai 10 milioni di anni: esso perde così tanta energia cinetica che da fotone gamma diventa un quanto di luce visibile. 

L’energia (E) di un quanto è infatti direttamente proporzionale alla sua frequenza (ν): E=h ν, con h= costante di Planck. Maggiore è l’energia, maggiore è la frequenza dell’onda associata al fotone (l’aspetto corpuscolare della radiazione elettromagnetica, di cui la luce visibile è solo una frequenza selezionata, associata a determinati valori di ν e percepita dal nostro cervello per mezzo della retina dell’occhio) e viceversa. 

Altri otto minuti di cammino occorrono allora per percorrere i 150 milioni di chilometri che separano il sole dal nostro pianeta, sul quale noi lo percepiamo come luce e calore. 

La fotosintesi compiuta dai vegetali trasforma poi l’energia della radiazione luminosa in fonte di vita per tutti (beh, la stragrandissima maggioranza!) gli altri esseri viventi che abitano la Terra.

Intanto, in queste settimane, abbiamo ammirato Marte (sopra, è il puntino luminoso accanto alla Luna), Giove e Saturno dar spettacolo in cielo (nell'immagine sotto, così li ho "catturati" in uno scatto il 18 dicembre scorso): in particolare i due pianeti giganti stasera daranno uno spettacolo unico e particolarmente brillante - che sicuramente il maltempo ci impedirà di ammirare. Siamo ancora nel 2020.


Intanto ecco un'altra foto dei due pianeti fatta con lo smartphone, sabato 19 dicembre, all'imbrunire. Già domenica (ieri) il cielo era coperto e non mi è stato possibile fare foto...


PS: se vi piace approfondire le conoscenze sul nostro Sole, leggete il libro di David Whitehouse: "Il sole. Una biografia. Scienza e mitologia della stella che ci dà la vita" (ed. Mondadori).

mercoledì 16 dicembre 2020

Il vulcano Nyiragongo


Vulcano Nyiragongo, Parco Virunga, RDP

Dopo il crack del disco fisso, eccomi di nuovo col PC, resuscitato dalle sapienti mani del tecnico. Ne approfitto per pubblicare un video sul vulcano Nyiragongo, piangendo la perdita della mia presentazione per il ciclo di lezioni sul modulo di mineralogia - che dovrò riscrivere ex-novo.

La presentazione terminava con una digressione sulle rocce ignee e sulla loro composizione mineralogica (mentre la lezione sulle Dolomiti inizia con le rocce sedimentarie, per proseguire con le rocce metamorfiche e la storia geologica).

Ricostruire il tutto sarà una delle mie occupazioni durante le vacanze di Natale. Per ora mi rilasso un poco, ricercando video e documentari da mostrare a lezione...

domenica 13 dicembre 2020

Raimondo Franchetti, esploratore della Dancalia


Il video in apertura racconta la straordinaria impresa di Raimondo Franchetti (1889-1935), il nobiluomo che nel 1929 esplorò la Dancalia. Fu preceduto nell'impresa da Giuseppe Maria Giulietti (1847-1881), che morì durante la spedizione per mano di autoctoni; lo stesso Franchetti ribattezzerà con il suo nome il lago presso il quale ritrovò i resti. Tale lago è conosciuto anche come Lago Afrera o, in lingua Afar, come Egoghi Bad


Tra l'impresa di Giulietti (1881) e quella di Franchetti (1929) vanno ricordati i tentativi di Vinassa e Cavagnari (1920) e di Nesbitt, Pastori e Rosina (1928), che tante conoscenze apportarono sulla mineralogia e sulla geologia di quei territori. 


A 21' circa, il video mette in evidenza una particolarità che mi affascina moltissimo: il laboratorio da campo, allestito in una tenda, per compiere delle analisi in loco.


Nel deserto di Dallol c'era una comunità mineraria dove - prima dagli italiani e successivamente da una società statunitense - erano estratti sali di potassio. L'industria operò fin dal primo Novecento; il sito fu abbandonato negli anni Sessanta

L'ambiente estremamente aggressivo, per le condizioni proibitive (elevata temperatura e alta salinità), ha contribuito a un rapido declino degli edifici e degli impianti: la città e la fabbrica, con quanto rimane di una ferrovia leader per l'Eritrea, sono oggi ridotte a poco più di un mucchio di macerie e di ruggine. Guardate QUI se non volete accontentarvi di questo scatto dal web (clikkate per ingrandire)...


Un bell'articolo di Eitan Haddok illustra, con tante foto significative, come in quella zona così inospitale si stia in realtà formando un nuovo oceano: "un evento raro che pochi scienziati hanno avuto la fortuna di osservare". 

L'articolo, che possiamo leggere sul mensile "Le Scienze" del dicembre 2008 [pp. 90-97], si conclude evidenziando come "questa spettacolare trasformazione geologica, già in corso da milioni di anni, si concluderà quando le acque del Mar Rosso inonderanno la regione". 


Già ne avevo accennato QUI, ma in futuro ci ritornerò ancora: quelle pozze di acqua acidissima, quelle fumarole, quell'anidride solforosa, quei depositi di sale e di ossidi di ferro che dipingono il paesaggio di bianco, di giallo, di ocra e di bruno mi ricordano tanto una certa e intrigante ipotesi di Charles Darwin: è un'associazione tutta mia, piuttosto fantasiosa, che però mi affascina tantissimo.

Scrivendo una lettera indirizzata all'amico J.D. Hooker, Darwin parlava di un ''piccolo stagno caldo'' come possibile contenitore di quel brodo primordiale in cui si sarebbero formati i primi organismi viventi.

Una decina di anni fa, dopo oltre un secolo dalla lettera di Darwin, alcuni ricercatori dell'università tedesca di Osnabruck, coordinati da Armen Mulkidjanian, hanno trovato alcuni indizi che sembrerebbero sostenere questa teoria: il link all'articolo originale potete trovarlo QUI


Tutto ruoterebbe intorno all'importanza di elementi come potassio, fosfato, zinco e sodio, non presenti negli antichi oceani nelle opportune concentrazioni ma contenuti invece negli stagni generati dalla condensazione di vapori di origine geotermica

La composizione chimica di questi gas provenienti dal sottosuolo ed emessi da fenomeni vulcanici sarebbe infatti molto simile a quella presente ancora oggi in alcuni ambienti biologici, i quali porterebbero così ancora l'impronta dell'ambiente in cui si sarebbero sviluppati.

Gli autori dello studio concludono quindi che la condensazione dei vapori di origine geotermica, se combinata con la presenza di adatti minerali del suolo, avrebbe potuto dar luogo all'ambiente ideale per la nascita delle prime unità viventi

Il contesto ideale dove ciò può avvenire è costituito da piccole pozze, come quelle (quindi, voglio precisare, "non necessariamente quelle") che si trovano nel deserto del Dallol o similari.

''In questo scenario - si legge nello studio - l'oceano sarebbe stato invaso dalla vita solo in un secondo momento'', quando cioè tali unità si sarebbero dotate di membrane meno permeabili e attrezzate con particolari proteine capaci di funzionare come cancelli o, meglio, come vere e proprie pompe per selezionare le sostanze da fare entrare all'interno, così da generare e mantenere all'interno un ambiente diverso da quello circostante.

venerdì 11 dicembre 2020

Dicono di lui: l'eredità di Priestley

Quando morì, nel 1804, Priestley era diventato un membro di tutte le principali società scientifiche del mondo occidentale e aveva scoperto numerose sostanze. 

Il grande naturalista francese del XIX secolo George Cuvier, nel suo elogio funebre di Priestley, esaltò le sue scoperte mentre allo stesso tempo lamentava il suo rifiuto di abbandonare la teoria del flogisto, definendolo "il padre della chimica moderna [che] non ha mai riconosciuto sua figlia".

Priestley ha pubblicato più di 150 opere su argomenti che vanno dalla filosofia politica all'educazione, dalla teologia alla filosofia naturale. Ha guidato e ispirato i radicali britannici durante il 1790, ha aperto la strada all'Utilitarismo e ha contribuito a fondare l'Unitarismo.

Un'ampia varietà di filosofi, scienziati e poeti divennero associazionisti come risultato della sua redazione delle Osservazioni sull'uomo di David Hartley, tra cui Erasmus Darwin, Coleridge, William Wordsworth, John Stuart Mill, Alexander Bain e Herbert Spencer.

Immanuel Kant lodò Priestley nella sua Critica della ragione pura (1781), scrivendo che "sapeva combinare il suo insegnamento paradossale con gli interessi della religione".

In effetti, l'obiettivo di Priestley era quello di "mettere le idee illuministiche più avanzate al servizio di un cristianesimo razionalizzato anche se eterodosso, sotto la guida dei principi fondamentali del metodo scientifico". 

Lo stesso Kant riprese le conclusioni di Priestley sulle "arie", inserendole nelle lezioni di Geografia fisica.

Considerando la portata dell'influenza del pensiero di Priestley, gli sono stati dedicati relativamente pochi studi. All'inizio del XX secolo, Priestley è stato spesso descritto come uno scienziato conservatore e dogmatico, che tuttavia era un riformatore politico e religioso (al contrario, ad esempio, di Lavoisier, di Gauss, di Cauchy e anche di Pasteur, che furono rivoluzionari nella Scienza e piuttosto conservatori in fatto di politica e di religione). 

In un saggio di revisione storiografica, lo storico della scienza Simon Schaffer descrive i due ritratti dominanti di Priestley: il primo lo tratteggia come "un giocoso innocente" che è inciampato nelle sue scoperte; il secondo lo ritrae innocente oltre che "deformato" per non aver compreso meglio le loro implicazioni. 

Valutare le opere di Priestley nel loro complesso è stato difficile per gli studiosi a causa dei suoi interessi di vasta portata. Le sue scoperte scientifiche sono state solitamente separate dalle sue pubblicazioni teologiche e metafisiche per rendere più facile l'analisi della sua vita e dei suoi scritti, ma questo approccio è stato recentemente contestato da studiosi come John McEvoy e Robert Schofield

Sebbene la "prima borsa di studio" su Priestley affermasse che le sue opere teologiche e metafisiche erano "distrazioni" e "ostacoli" al suo lavoro scientifico, una serie di studi pubblicata tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta sostenevano che le opere di Priestley costituissero nell'insieme una teoria unificata. Tuttavia, come spiega Schaffer, nessuna sintesi convincente del suo lavoro è stata ancora esposta.

Più recentemente, nel 2001, lo storico della scienza Dan Eshet ha sostenuto che gli sforzi per creare una "visione sinottica" hanno portato solo a una razionalizzazione delle contraddizioni nel pensiero di Priestley, perché sono state "organizzate intorno a categorie filosofiche" e hanno "separato il produttore di idee scientifiche da qualsiasi conflitto sociale". 

Priestley è stato ricordato dalle città in cui ha servito come educatore e ministro riformato e dalle organizzazioni scientifiche che ha influenzato. Due istituti scolastici sono stati nominati in suo onore - il Priestley College di Warrington e il Joseph Priestley College di Leeds (ora parte del Leeds City College) - e anche un asteroide porta il suo nome, 5577 Priestley, scoperto nel 1986 da Duncan Waldron .

A Birstall, la piazza della città di Leeds, e a Birmingham, Priestley viene ricordato attraverso le statue; targhe che lo commemorano sono state affisse a Birmingham, Calne e Warrington. 

Inoltre, dal 1952 il Dickinson College in Pennsylvania ha conferito il Priestley Award a uno scienziato che fa "scoperte che contribuiscono al benessere dell'umanità". 

I principali laboratori di chimica universitari presso l'Università di Leeds furono ristrutturati come parte di un piano di ristrutturazione per 4 milioni di sterline nel 2006 e ribattezzati Priestley Laboratories in suo onore - come importante chimico di Leeds.

Nel 2016 l'Università di Huddersfield ha ribattezzato l'edificio che ospita il suo dipartimento di scienze applicate come Joseph Priestley Building, quale parte di uno sforzo per rinominare tutti gli edifici del campus dopo importanti figure locali.

Un ulteriore riconoscimento per il lavoro di Priestley è contrassegnato da una designazione National Historic Chemical Landmark per la sua scoperta dell'ossigeno, fatta il 1° agosto 1994, presso la Priestley House in Northumberland, dalla American Chemical Society (ACS). Un riconoscimento simile è stato fatto il 7 agosto 2000, a Bowood House nel Wiltshire, in Inghilterra.

L'ACS assegna anche la sua più alta onorificenza, la medaglia Priestley, a suo nome. Quest'anno (2020) è stato conferito a JoAnne Stubbe per i suoi importanti studi sulla biochimica degli enzimi. Sotto, la medaglia assegnata a Pauling nel 1984.

giovedì 10 dicembre 2020

Il chimico e il presidente

Le elezioni presidenziali americane, celebrate nelle scorse settimane, mi danno l'occasione per offrire ai lettori questo articolo, che riprende una pagina di storia "a stelle e strisce"  redatta dalla dottoressa Warren e linkata in fondo.

Come è noto ai cultori della storia della chimica, il teologo unitariano e filosofo naturalista Joseph Priestley (1733-1804) emigrò negli Stati Uniti nel 1794 dopo che una folla aveva distrutto la sua casa e il suo laboratorio a Birmingham, in Inghilterra.

Joseph Priestley era, per molti versi, l'immigrato più affermato negli Stati Uniti alla fine del XVIII secolo, e fu accolto calorosamente da coloro che speravano di utilizzare i suoi successi per sostenere i loro programmi. 

Annunciando il suo arrivo a New York nel giugno 1794, i giornali liberali si rallegrarono che "la terra della libertà e dell'indipendenza" fosse diventata il rifugio di grandi personaggi "che sono stati perseguitati in Europa solo perché hanno difeso i diritti delle nazioni schiavizzate". 

L'American Philosophical Society era lieta che i "talenti e le virtù" di Priestley fossero stati "trasferiti in questa Repubblica".

Allo stesso modo, Thomas Jefferson (eletto presidente nell'anno 1800 in seguito a elezioni non meno contestate di quelle viste nelle scorse settimane) ha affermato che "gli antagonisti di Priestley pensano di aver placato le sue opinioni mandandolo in America, proprio come il Papa immaginava, quando rinchiuse Galileo in prigione, di aver costretto il mondo a stare fermo". 

E quando ha sentito parlare della cattiva salute di Priestley, Jefferson ha scritto per dirgli apertamente: "La tua è una delle poche vite preziose per l'umanità, e per la cui continuazione ogni uomo pensante è sollecito. I bigotti possono essere un'eccezione".

Jefferson sicuramente conosceva i principali risultati scientifici di Priestley: testi importanti sull'elettricità e sull'ottica; lo sviluppo dell'acqua gassata (questo lo ha portato all'assegnazione della prestigiosa Copley Medal della Royal Society of London); e l'isolamento di sette gas, il più notevole dei quali è l'ossigeno

Era anche molto interessato alle opinioni di Priestley sulla religione, che includevano una critica ai sacerdoti, un entusiasmo per l'Unitarismo e una fede in Gesù come leader morale i cui insegnamenti erano compatibili con la legge naturale.

Un oggetto modesto nelle collezioni del museo rappresenta il rapporto tra Jefferson e Priestley. Questo è un bastone di legno che un chimico americano di nome Henry Carrington Bolton depositò allo Smithsonian nel 1888, insieme a una nota che indicava che Thomas Jefferson aveva dato il bastone a Priestley. 

Non abbiamo trovato alcuna menzione di questo dono in nessuna corrispondenza di Priestley o di Jefferson. Ma sappiamo che Priestley "di solito camminava con un lungo bastone nella mano destra ed era un pedone eccellente". 

Sappiamo che le canne erano regali comuni nel mondo atlantico del periodo. Sappiamo anche che un bastone di legno simile si trova nella casa di Priestley a Northumberland, Pennsylvania, e che Priestley disprezzava le "canne dalla testa d'oro" che rappresentavano la "volgare ostentazione dei ricchi quaccheri" a Filadelfia.

Jefferson apprezzava anche le idee di Priestley sull'istruzione e spesso cercava il consiglio di Priestley mentre sviluppava i suoi piani per le scuole primarie e per l'Università della Virginia. 

Priestley, in cambio, dedicò la sua "Storia generale della chiesa cristiana" (1802-1803) a Jefferson, che serviva allora come presidente degli Stati Uniti, "con un solenne encomio sul merito di quel grande uomo, ed esprimendo la soddisfazione dell'autore nel trascorrere gli ultimi anni della sua vita sotto la sua giusta ed equa amministrazione".

Priestley concluse la sua parabola terrena nella casa di campagna in Pennsylvania: oggi essa è un museo aperto al pubblico. Il video seguente ci permette di visitarla, almeno virtualmente.

(L'articolo originale di D. Warner si trova QUI)

lunedì 7 dicembre 2020

Da un interesse all'altro...

Rifletto spesso sul fatto che, se mi proponessero di tornare a occuparmi in modo più attivo di Chimica, molto probabilmente ignorerei quasi ogni proposta (come ho già fatto negli anni scorsi).

Alla fine per me è stato un bene essere liquidato come lo sono stato, anche se in malo modo, con una frase rimasta famosa ( ... puzzi troppo da prete!), che denota la pochezza di certe persone e del clima culturale in cui hanno guazzabugliato per decenni - non senza la complicità di una certa politica. 

Per me ciò ha significato prima di tutto la mancata possibilità di conseguire un dottorato - che voleva dire forse tre anni di schiavitù per inseguire interessi altrui e poi ancora precarietà e incertezza. E forse non avrei più insegnato e sarei finito in qualche azienda, sempre a inseguire gli interessi di chi paga e non i miei.

Essendo stato allegramente "trombato", ho avuto modo di scoprire altri campi dello scibile (batteri e protozoi in primis, ma anche certi ambiti delle Scienze della Terra) che attualmente mi stanno interessando molto di più di tanti altri argomenti visti durante il mio corso di laurea. 

Da un lato mi dispiace perché di questi miei nuovi interessi non potrò farne una professione (a meno che non decida, assai improbabilmente, di fare un'altra laurea); dall'altro, posso dirmi felice - come sono felice (anzi, felicissimo!!!) di aver scaricato tutto il fardello di musica, religione e altre cose che erano solo zavorra di cui mi sono sbarazzato allegramente e più che volentieri.

A proposito di batteri, riporto qualche sottolineatura dell'edizione in mio possesso del celebre Harrison, vol. 2, p. 657, ove è descritta la Salmonellosi.

L'unità di sorveglianza della Salmonellosi del centro nazionale malattie infettive ha notato [...] un aumento dei casi tra luglio e ottobre di ogni anno. [...] Dopo un periodo di incubazione tra le 8 e le 48 ore insorgono improvvisamente dolori colici addominali, diarrea profusa talvolta con muco e sangue. [...] La febbre, a 38°C, è comune e può esservi un brivido iniziale. I sintomi di solito si attenuano nello spazio di 2-5 giorni e il ristabilimento è normale.

Scrivevo questi passaggi in una comunicazione ad un amico, a metà settembre, tratteggiando un quadro che mi ha afflitto personalmente. 

Chiuso in casa per sospetto Covid (che Covid non era, per fortuna, ma bastano due linee di febbre per equivocare un allarme), ho trovato modo di realizzare - nella solitudine dell'isolamento forzato - una serie di esperimenti per capire la composizione di quel gas - dall'odore nauseabondo - che accompagnava le mie emissioni fecali. 

Si, avete capito bene: da chimico (solo di formazione, non di professione, lo ribadisco: preferisco insegnare, che mi diverte assai di più) ho analizzato la mia pupù (o meglio, i gas che l'accompagnavano) e - per amor vostro - non vi racconto come: ma voi lasciatemi passare il tempo, chiuso in casa tutto il giorno. Qualcuno mi direbbe che era meglio se mi fossi dedicato alla musica (cheppalleeeeee) o alle Avemmarie

No, invece: ho voluto essere coerente con i miei attuali interessi, anche se un po' di vecchia Chimica analitica tradizionale ogni tanto non guasta. D'altronde, la Salmonella (dovrei parlarne al plurale, visto che si tratta di un ampio insieme...) è un bacillo gram negativo che simultaneamente - e queste tra le tante cose - causa putrefazione, libera acido solfidrico ed è positivo al test della catalasi. Mi son detto: "Dai, Marco, ricerchiamo allora i prodotti della sua attività biochimica con gli opportuni test".


Come lo abbia contratto, questo bacillo, resta un mistero: mangiando la pizza domenica sera (una marinara? Aglio e pomodoro, forse poco cotta...) oppure qualche fetta di prosciutto cotto il precedente sabato. O affezionandomi troppo presto ai felini di casa: anche i gatti - e altri animali - potrebbero esserne portatori... boh!


Intanto, concludo il post ricordandovi che, collaborando con il prof. Barbazza, ho dato alle stampe un grazioso lavoretto sul meraviglioso mondo dei microbi, di cui avevo detto QUI

venerdì 4 dicembre 2020

Fegato, enzimi e virus

L'epatite ha accompagnato la storia del genere Homo, spesso associata al caratteristico colorito assunto dalla cute, noto come ittero. Scriveva Ippocrate:

"Quando l'ittero sopravviene nelle febbri prima del settimo giorno, è un cattivo segno, a meno che non vi siano scariche acquose dagli intestini" (Aforismi, IV,62).

E ancora:

"Nelle febbri, se l'ittero sopravviene al settimo, al nono, all'undicesimo o al quattordicesimo giorno, è un buon segno, a meno che l'ipocondrio destro non diventi duro: altrimenti è un cattivo segno" (ib. IV,64).

Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/335987-ippocrate-di-coo-quando-littero-sopravviene-nelle-febbri-prima-del/

Solamente nella prima metà del XX secolo, la Ricerca ha cominciato a far luce su questo male che colpisce il fegato e, visto il ruolo centrale di quest'organo (chiamato dagli inglesi "liver", colui che fa vivere), tutto l'organismo. 

La prima distinzione fu introdotta nel 1947 dal britannico McCallum, il quale, dopo aver osservato alcuni soldati ammalarsi di epatite in seguito all'assunzione di cibi contaminati o a trasfusioni di plasma, intuì l'esistenza di due tipi di epatite, che classificò a seconda della modalità di trasmissione: l'epatite A, detta "infettiva", trasmessa per via oro-fecale; l'epatite B, detta "da siero" o "da siringa", trasmessa per via parenterale.

Mentre i virologi cercarono di isolare gli agenti infettivi e di coltivarli in vitro, alcuni ricercatori rivolsero i loro interessi ad altri dati.   

ENZIMI. Le transaminasi sono una sotto-sottoclasse di enzimi predisposti a trasferire gruppi amminici da un amminoacido a un chetoacido, usando la vitamina B6 come cofattore. Tali enzimi furono scoperti all'università di Napoli nel 1955, grazie alle ricerche di Fernando De Ritis, Mario Coltorti e Giuseppe Giusti

Essi notarono un aumento delle transaminasi nel plasma sanguigno nei pazienti sofferenti di fegato: nel 1957, misero a punto un test enzimatico per la diagnosi dell'epatite virale, basato proprio sull'attività sierica delle transaminasi (cfr. Clin. Chim. Acta. 1957; 2:70–4).

In un articolo del 1959, gli stessi descrissero "l'attività enolasica del plasma e del fegato nell'epatite sperimentale da virus MHV-3 Craig" (QUI). In questa forma di epatite (MHV significa "mouse hepatitis virus" = virus dell'epatite murina, un virus a RNA appartenente ai coronaviridae, QUI), l'attività plasmatica dell'enzima enolasi aumenta significativamente dopo quarantotto ore dall'infezione, raggiungendo i valori più elevati a settantadue-novantasei ore. La stessa attività nel fegato diminuisce solo dopo la settantaduesima ora, mentre negli stadi precoci dell'infezione non è modificata. Secondo gli Autori, il significato fisiopatologico della modificazione enzimatica nel plasma è correlato alla necrosi epatica (sindrome enzimo-plasmatica dell'epatite virale).

VIRUS. Come racconta Mukherjee nel suo celebre libro "L'imperatore del male. Breve biografia del cancro" (pp. 431-433), nel 1963, il biochimico americano Baruch Blumberg scoprì l'antigene Australia (HBsAg) così chiamato perché isolato dal siero di un aborigeno australiano. 

Tre anni più tardi, raccolti una serie di dati necessari a studi di Antropologia genetica, Blumberg osservò che tale antigene era diffuso tra gli australiani, gli asiatici e gli africani, mentre era assente negli europei e negli americani. L'antigene era poi presente in individui sofferenti di un'epatite cronica: solo nel 1966, dopo tre anni di riflessioni, Blumberg associò l'antigene all'epatite. Tale scoperta gli valse l'assegnazione del premio Nobel per la Medicina nel 1976, ex-aequo con Gajdusek che lavorò invece su altre tematiche.

Nel 1968, il virologo Alfred Prince riconobbe che l'antigene Australia (HBsAg) è parte del virus che causa l'epatite da siringa, il virus HBV; dal 1971 fu introdotto lo screening del sangue da trasfusione per ricercare tale antigene.

Nel 1973 è stato identificato l'agente causale dell'epatite A, noto come HAV, che fu trovato nelle feci (e non nel siero) da Feinstone, Kapikian, Purcell e collaboratori. La storia è raccontata QUI e QUI, mentre l'articolo originale, pietra miliare nella storia dell'epatologia, fu pubblicato su "Science".

Nel 1975 è stata riconosciuta l'esistenza di almeno un'altra forma di epatite virale "non A, non B": si scopriranno in realtà più di un virus.

Nel 1977 il professor Mario Rizzetto e i suoi collaboratori scoprirono l'agente delta ossia il virus dell'epatite D (HDV), un virus difettivo che agisce in presenza del virus dell'epatite B e può causare epatiti fulminanti.

Nel 1980 Khuroo identificò HEV. Nello stesso anno entrò in commercio il primo vaccino per l'epatite B, denominato Heptavax.

Nel 1987, basandosi sulle ricerche condotte da Harvey Alter a partire dagli anni Settanta (sua l'ipotesi del virus "non A, non B"), Houghton, Choo e altri identificarono un clone che mostrava tutte le caratteristiche per essere associato all'epatite virale "non A, non B", identificando HCV - il virus dell'epatite C. 

L'annuncio della scoperta è stato dato nel 1989 in due articoli apparsi su "Science" e da allora sono fioriti gli studi intorno all'infezione da questo patogeno e alle sue conseguenze. Alter e Houghton sono stati premiati con il Nobel per la medicina nel 2020: ne ho detto QUI.

Nel 1995 Muerhoff individuò GB virus C, un flaviviridae che ha per bersaglio il fegato. Ai flaviviridae appartiene anche il virus della febbre gialla, YFV (yellow fever virus), trasmesso dalla puntura dell'Aedes Egyptii, contro il quale è bene vaccinarsi qualora si decida di recarsi in paesi tropicali.

Nel 1996 Linnen lo identificò come HGV.

La ricerca di farmaci e vaccini meriterebbe un ulteriore approfondimento che però non offro ai lettori: non essendo medico, non voglio dare informazioni che potrebbero creare illusioni o aumentare false speranze. D'altronde, mi piace condividere qualche curiosità sul cammino della Conoscenza: lasciamo ai tecnici le applicazioni. E poi il dibattito mediatico è ormai monopolizzato dal Covid: non voglio di certo rubargli la scena. 

Per concludere il post, vi racconto brevemente la storia di mia nonna Marina, che vedete sopra in una (rara) foto. Negli stessi anni in cui Blumberg comprendeva la correlazione tra l'antigene Australia e l'infezione da epatite da siringa, ella si sottopose ad un intervento chirurgico per l'asportazione di una neoplasia benigna presso il vecchio ospedale - con le sue scale, i suoi corridoi e gli stanzoni gremiti di letti, tra i quali giravano suore e dottori. Erano i tempi in cui negli ospedali si facevano bollire le siringhe di vetro e si rifacevano ancora "a mano" le punte degli aghi (sic!). 

Qualche tempo dopo l'operazione comparve un ittero che la costrinse al ricovero per alcune settimane. Ritornata a casa, quasi non ebbe più segni sospetti (e aggiungo: neanche altri ricoveri), finché - più di trent'anni dopo - cominciò a sentirsi male: febbre alta, dolori addominali lancinanti, vomito e altro che la costrinsero a subire d'urgenza un nuovo ricovero - questa volta in un ospedale assai più moderno (e con gli aghi monouso). 

I medici sospettarono dal principio un dramma pancreatico; dopo gli esami, diagnosticarono l'epatite da virus C. Da allora è vissuta un altro quarto di secolo, alternando ampi archi temporali di relativo benessere a "baraccate" (come amava definire lei stessa i suoi periodi di malessere) che si facevano sentire soprattutto nei cambi di stagione. 

L'ultima "baraccata" le è stata fatale: cominciata all'inizio dello scorso ottobre (negli stessi giorni in cui veniva annunciato il Nobel per la scoperta del famigerato virus), ne ha segnato il progressivo declino, conclusosi il 2 dicembre scorso.