venerdì 28 agosto 2020

Diagnostica, anticorpi e altro...

Questo breve post riprende le linee essenziali di un testo (dal taglio pubblicitario) apparso su Nature, che potete leggere nell'originale a questo link QUI. Si tratta di un approfondimento sui test sierologici: ho fatto qualche giorno fa quello per l'agente causale del Covid ed era negativo, per mia fortuna.

La diagnostica in vitro è uno strumento fondamentale per la sorveglianza delle malattie. I test immunologici sierologici, ad esempio, possono indicare se qualcuno ha avuto un'infezione virale: la cosa si è rivelata essere particolarmente importante durante questa pandemia di coronavirus. Poiché le aziende di tutto il mondo sviluppano test sierologici per SARS-CoV-2, hanno bisogno di più anticorpi che svolgono il lavoro investigativo.

"La domanda non ha precedenti", conferma Lisa Shank, Vice Presidente di Jackson Immuno Research, ditta americana (ha sede in Pennsylvania) che fornisce anticorpi secondari per la ricerca e l'uso commerciale. "Molte persone stanno cercando di sviluppare test e di capire quanti kit di test devono produrre".

Questi test possono richiedere diversi formati, ciascuno con i propri vantaggi. "I test a flusso laterale offrono test rapidi", spiega Dave Fancy, dipendente della stessa ditta. "ELISA è più sensibile e specifico, ma potrebbero essere necessari alcuni giorni per ottenere i risultati.

In entrambi i casi, il principio alla base è lo stesso: gli anticorpi nel dosaggio immunologico rilevano se il campione contiene anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta al virus. Per un test accurato, la qualità degli anticorpi del dosaggio è fondamentale.

Prima che Jackson ImmunoResearch invii i suoi anticorpi ai clienti, questi sono stati rigorosamente testati in base a rigorosi standard di qualità interni. Devono essere stabili e dimostrare di poter rilevare accuratamente l'antigene specificato. 

Gli anticorpi che sono cross-adsorbiti contro un'altra specie devono anche mostrare una minima reattività crociata alle immunoglobuline provenienti da quella specie, per consentire ai ricercatori di selezionare un anticorpo che genererà un segnale di fondo minimo nei loro campioni sperimentali.

L'aumento dei test sierologici per SARS-CoV-2 ha aumentato la domanda di un tipo di anticorpo in particolare: l'anti-umano. I controlli di qualità sono fondamentali per tutti gli anticorpi, ma gli anticorpi anti-umani per i test sierologici comportano un'ulteriore sfida di specificità, poiché i clienti potrebbero voler rilevare solo IgG, IgM o IgA e non gli altri isotipi di immunoglobuline.

"Facciamo molti sforzi internamente per rimuovere qualsiasi reattività crociata", afferma Fancy. Oltre ai consueti controlli di reattività crociata, è importante tenere conto della reattività crociata contro ciascun isotipo. "Quando stai cercando di ottenere quel livello di specificità, gli anticorpi potrebbero richiedere mesi per isolare, ripulire e verificare." Questi sono processi in corso, quindi Jackson ImmunoResearch ha sempre l'inventario pronto per l'invio.

Gli anticorpi di Jackson ImmunoResearch non sono solo di alta qualità, ma sono anche resistenti alla degradazione. Ciò significa che possono essere spediti a temperatura ambiente, riducendo la necessità di imballaggi e minimizzando l'impatto ambientale.

Nel momento in cui vengono utilizzati nella diagnostica in vitro, gli anticorpi sono stati sottoposti a numerosi test di controllo della qualità. Questo non è vero solo per i test sierologici, ma anche per altri tipi di test immunologici che vengono utilizzati in ambito clinico per informare le decisioni di trattamento. "Facciamo diversi test sui nostri prodotti finiti", afferma Bob van de Woerdt, CEO di Immunologic nei Paesi Bassi, che fornisce anticorpi e substrati primari e secondari ai laboratori di patologia per analisi immunoistochimiche. "I materiali che inviamo ai patologi vengono utilizzati per prendere decisioni sanitarie", afferma van de Woerdt. "Devono essere della migliore qualità possibile."

martedì 25 agosto 2020

Il dottor Burkitt

Denis Parsons Burkitt (28 febbraio 1911 - 23 marzo 1993) è stato un chirurgo, nato a Enniskillen, nella contea di Fermanagh, in Irlanda . Era figlio di James Parsons Burkitt, un ingegnere civile. 

A undici anni ha perso l'occhio destro in un incidente. Ha frequentato la Portora Royal School di Enniskillen e la Dean Close School, in Inghilterra. Nel 1929, egli entrò al Trinity College di Dublino per studiare ingegneria, seguendo le orme del padre, ma credendo che la sua vocazione fosse quella di essere un medico, si trasferì in medicina. 

Nel 1938 superò gli esami per ottenere una borsa di studio al Royal College of Surgeons di Edimburgo. 

Durante la seconda guerra mondiale, Burkitt prestò servizio con il Royal Army Medical Corps in Inghilterra e successivamente in Kenya. 

Dopo la guerra, Burkitt decise che il suo futuro era nel servizio medico nei paesi in via di sviluppo e si trasferì in Uganda . Alla fine si stabilì a Kampala e vi rimase fino al 1964.

Burkitt era presidente della Christian Medical Fellowship e scriveva spesso su temi religiosi e medici. Ha ricevuto il Bower Award and Prize nel 1992. 

Morì il 23 marzo 1993 a Gloucester e fu sepolto a Bisley, Gloucestershire , in Inghilterra. 

Contributi scientifici 

Burkitt ha dato due importanti contributi alla scienza medica legati alla sua esperienza in Africa: il primo era la descrizione, la distribuzione e, in definitiva, l'eziologia di un cancro pediatrico che porta il suo nome, il linfoma di Burkitt.

Burkitt nel 1957 osservò un bambino con gonfiori agli angoli della mascella. "Circa due settimane dopo ... ho guardato fuori dalla finestra e ho visto un altro bambino con la faccia gonfia ... e ho iniziato a indagare su questi tumori alla mascella.

Avendo una mente intensamente indagatrice, Burkitt mostrò che i tumori alla mascella erano comuni ed erano spesso associati ad altri tumori in siti insoliti nei bambini, in Uganda. 

Annotò numerosi appunti e concluse che questi tumori infantili, apparentemente diversi, erano tutte manifestazioni di un unico tipo di malignità. Burkitt pubblicò in merito un lavoro: "Un sarcoma che coinvolge le mascelle dei bambini africani"

Il cancro così identificato divenne subito noto come "linfoma di Burkitt". Il chirurgo ha continuato a mappare la distribuzione geografica del tumore. Burkitt, insieme al Dr. Dennis Wright, pubblicò un libro intitolato "Burkitt's Lymphoma" nell'aprile 1970. 

Il suo secondo importante contributo è arrivato quando, al suo ritorno in Gran Bretagna, Burkitt ha confrontato le malattie incontrate negli ospedali africani con le malattie occidentali. Ha concluso che molte malattie occidentali - rare in Africa - erano il risultato di dieta e stile di vita in voga nei paesi industrializzati. Ha scritto un libro, "Non dimenticate la fibra nella vostra dieta" - che è stato un successo internazionale.

Sebbene uno studio abbia dimostrato che le persone che mangiano livelli molto bassi di fibre - meno di 10 grammi al giorno - hanno un rischio maggiore del 18% di sviluppare un cancro del colon-retto, l'idea più generale che il cancro del colon sia una malattia da carenza di fibre è ora considerata errata dallo studio di alcuni tipi di cancro. Tuttavia, la ricerca suggerisce che una dieta ricca di fibre alimentari è consigliata come precauzione contro altre malattie, tra cui si ricordano le malattie cardiache e il diabete. 

Burkitt aveva una teoria alternativa, pubblicata in numerosi articoli e libri, secondo la quale un uso della posizione accovacciata naturale per la defecazione protegge i nativi dell'Africa e dell'Asia dalle malattie gastrointestinali. Qualche approfondimento QUI.

domenica 23 agosto 2020

DW 6600


Nell'attesa di ultimare altri testi da pubblicare, dedico questo intervento di fine estate al mio orologio preferito, che ho già citato in passato in altri post (QUI) e che non finirò mai di celebrare abbastanza, da quanto ne sono "innamorato". Vedetevi intanto il video (non mio, linkato da youtube).


Mark Wahlberg, all'inizio del film "The Italian Job", e poi anche Seth Green, nel prosieguo, indossano un orologio Casio G-Shock DW6600C. 


Seth interpreta Lyle il geek - tecnico informatico capace di paralizzare il traffico di una metropoli - in questo moderno remake del vecchio omonimo film. Il G-Shock si adatta al suo personaggio in modo perfetto. Alcuni membri del team SWAT, visti nel film, indossano altri orologi G-Shock.

Questo classico orologio Casio della famosa gamma G-Shock è ricco di funzioni, tra cui retroilluminazione, cronometro, conto alla rovescia e cinturino in resina.

 
Alcuni dei nuovi orologi DW6600 hanno la parola "Electro Luminescence" al posto della parola "Illuminator" sopra il pulsante della luce; altri hanno invece l'espressione "Fire Fox", l'origine della quale avevo spiegato QUI.

L'orologio indossato da Seth Green ha una grande G sullo sfondo dello schermo: più precisamente, questo modello è il DW6600C e non il DW6600, indossato invece da Bradley Cooper in "American Sniper".


Cooper indossa un  orologio Casio G-Shock DW-6600-1V; anche Jacob Schick, un veterano della marina, che interpreta Wynn nello stesso film, indossa lo stesso modello.

Bradley Cooper interpreta Chris Kyle, un famoso cecchino texano, e l'orologio è abbastanza appropriato al personaggio. Il Casio DW6600 è stato spesso dato in dotazione ai soldati dall'esercito americano.


L'agente CTU Jack Bauer (interpretato da Kiefer Sutherland) indossa lo stesso orologio nella seconda stagione della serie "24"; e così Tommy Mc Connell (Richard Flood) in "Crossing Lines".

sabato 22 agosto 2020

Passeggiata con finale a sorpresa...

Ieri ho avuto in animo di tentare una bella camminata, piuttosto lunga ma tutta in piano: da casa (Cadola) al lago di Santa Croce (Farra d'Alpago). 

La rassegna fotografica che segue mostra il paesaggio della zona di Paludi, tra campi coltivati e insediamenti industriali, quali il cementificio e il canale "Cellina".















Da maniaco cultore delle scienze naturali, non potevo non soffermarmi a catturare qualche immagine a tema. Nelle zone più ombreggiate, l'aria era intrisa del gradevole profumo dei ciclamini.




Nelle pozze d'acqua, nuotavano piccoli batraci, nascosti tra il fango e le sterpaglie. Immancabili le zanzare; ho visto anche le libellule ma non le ho fotografate.


Il percorso conosce tratti immersi nella vegetazione e altri esposti al sole - che personalmente ho percepito piuttosto caldo: io lo detesto, avendo una pelle assai sensibile. Se mai ripeterò l'esperienza, sarà nei mesi autunnali, freschi e soprattutto più colorati. L'uomo di spalle con il cappello, nella seconda foto, è il dott. ing. prof. Tramontin, docente di matematica e di fisica.




La passeggiata poteva finire meglio; a un paio di chilometri da casa un terribile dolore all'addome (fossa iliaca sinistra) mi ha costretto a chiamare soccorso. Il resto della giornata l'ho passato sul WC ad espellere quel che rimaneva della fettina panata che ho mangiato mercoledì a pranzo e del krapfen alla crema che ho mangiato giovedì mattina, il tutto frammisto a moltissimo muco dal colore giallastro e dall'odore tutt'altro che paragonabile al profumo dei ciclamini...

... insomma: un finale di m...!

mercoledì 19 agosto 2020

L'origine dell'umore nero...

Secondo Ippocrate, la salute conseguiva all'equilibrio di quattro umori che scaturivano da quattro zone del corpo, di quattro colori diversi, associati ai quattro elementi ma anche alle quattro stagioni, ai quattro temperamenti e alle fasi della vita:

- il flegma, dalla testa, bianco (da cui il temperamento flemmatico);

- il sangue, dal cuore, rosso (da cui il temperamento sanguigno);

- la bile, dal fegato, gialla (in greco si dice cholé, da cui collera conseguente a un travaso di bile);

- l'atrabile o bile nera (in greco si dice melancholé, da cui melancolia) proverrebbe dalla milza - organo chiamato splene dagli antichi, da cui il vocabolo inglese spleen, preso a prestito da Baudelaire per indicare il disagio esistenziale, anima della creatività del poeta. 

Nell'immagine: fegato (sezionato), stomaco e milza in un disegno di Leonardo (dove rappresenta anche il cieco e - per la prima volta - l'appendice).

Riprendendo il discorso, lo squilibrio di quest'ultimo umore - l'umore nero o atrabile, originato nella milza o splene - sarebbe stato, secondo gli antichi, all'origine degli stati depressivi, delle malattie croniche e del cancro.

Nel secondo libro "De naturalibus facultatibus", Galeno parlava di guasto atrabiliare, di sconcerto della bile nera, che "tanto più cattiva e acida" dava origine a malattie ineluttabilmente letali che si manifestavano con protuberanze e ingrossamenti, il cui nome derivava dalla somiglianza delle vene ingrossate con le appendici articolari del granchio: cancer in latino, karkinos in greco.

L'idea ha attraversato i secoli finché gli anatomici del Rinascimento - Vesalio sopra tutti - si misero a cercare invano l'atrabile dissezionando cadaveri. 

Nel XVIII secolo, i medici continuarono a non trovare l'atrabile ma scoprirono invece la linfa e le vie linfatiche, grazie ad Aselli, a Pecquet, a Bartholino e altri. I seguaci di Cartesio (tra cui Sylvius) indicarono la linfa come nuovo umore responsabile di certe patologie: un passo avanti, rispetto all'attaccamento alle teorie degli antichi, ma la strada da fare era ancora lunga.

A noi oggi, di quelle vecchie teorie, rimane un patrimonio di espressioni e di modi di dire richiamati nel corso del post: il temperamento sanguigno o flemmatico, collerico o melancolico; l'indole linfatica, il travaso di bile, l'umore nero, il cancro e il carcinoma: mentre ho dovuto familiarizzare e convivere con il mio umore nero (beh dai, non così spesso per fortuna mia e di chi mi è vicino), spero di non sentire pronunciare mai le ultime due parole (se non in sessioni di studio a cui spesso concedo larga parte del mio tempo libero).

martedì 18 agosto 2020

Hodgkin

Offro, in questo breve post, tre slides da una mia presentazione dedicata a Thomas Hodgkin (1798-1866), il grande medico quacchero del Guy's Hospital di Londra, nato il 17 agosto:

- la prima ne riassume brevemente la biografia;

- la seconda mostra un suo ritratto e un disegno che rappresenta lo stato dei linfonodi di un paziente afflitto dal morbo che porta il suo nome;

- la terza, su campo azzurrino e ripresa da MSD, descrive le linee essenziali del morbo.




Perché offro questa lezione? Per diversi motivi. Forse perché capita di conoscere qualcuno che si è ammalato del morbo di Hodgkin e ascoltare il suo percorso, dalla diagnosi alla guarigione; forse perché è comodo mostrare come si trasforma una cellula quando si danneggia il suo patrimonio genetico e per questo faccio vedere il confronto tra i linfociti B normali, con il grosso nucleo tondeggiante, e le grandi cellule plurinucleate di Reed-Sternberg.


Dorothy Reed (1874-1964) merita di essere ricordata come una delle prime donne a conseguire la laurea in medicina presso la prestigiosa John Hopkins University in Baltimora, USA. 
Pediatra e patologa, nel 1901 descrisse la cellula che porta il suo nome - abbinato a quello dell'austriaco Sternberg, che compì un'analoga osservazione nel 1898: tuttavia Sternberg riteneva che il morbo di Hodgkin fosse una conseguenza della tubercolosi, mentre la dottoressa Reed dimostrò correttamente che nelle cellule da lei osservate e descritte non vi erano tracce del bacillo di Koch. 

domenica 16 agosto 2020

Castelluccio di Norcia e "La montagnola"


Scorrendo velocemente le inserzioni su un noto social network, mi sono imbattuto in un annuncio singolare: un ragazzo chiedeva aiuto nel pubblicizzare la sua attività raccontando la sua storia. Ve la riassumo brevemente.

Antonio Barcaroli è nato a Castelluccio di Norcia (PG), dove ha iniziato a lavorare molto giovane, aiutando la famiglia e seguendo le orme di genitori e nonni. Egli ha alternato alla scuola il lavoro nei campi, al mattino presto e alla sera, quando terminava di studiare.

Per rimanere nel suo paese natale dopo il Terremoto del 2016 - Antonio è tra i giovani a non essere andato via - ha deciso di investire tutto ciò che avevo una piccola impresa di prodotti agricoli locali. Trovate il sito dell'impresa QUI

(video da ABC - on line: la zona rossa)

Oggi avere un'impresa agricola non è facile. Ha chiesto aiuto ad una agenzia per pubblicizzare l'attività. Tuttavia i costi sarebbero stati assai elevati in relazione al giro d'affari dell'azienda - che conta pochi clienti felici, da coccolare con prodotti di alta qualità. 

"Antonio torna a spaccarti la schiena nei campi, usa le mani e non la testa, prima o poi arriverà qualcuno disposto ad aiutarti": la solidarietà non costa nulla oggi, soprattutto se consiste nel condividere una storia e pubblicizzare un'attività semplice - come hanno fatto centinaia di persone e come faccio anch'io con questo post.

Può essere sufficiente un passaparola per far conoscere una rivendita di prodotti tipici: salumi e legumi, formaggi e confetture... la montagnola - Castelluccio di Norcia.

Per curiosità: cercate con Google "fioritura a Castelluccio di Norcia" e resterete affascinati. Merita una gita, o no? Indovinate un po' quale pianta fiorisce con colori degni di Perugino e dei maestri della pittura umbra... clikkate per ingrandire!


sabato 15 agosto 2020

La cenere per l'Immacolata

Il 14 agosto 1941, padre Massimiliano Maria Kolbe morì per un'iniezione di una soluzione di fenolo, dopo alcuni giorni passati nel bunker della fame, all'interno del Lager di Auschwitz. Il giorno dopo il suo corpo fu bruciato: la sua preghiera di farsi "cenere per l'Immacolata" fu esaudita alla lettera.

Nei suoi scritti, che alcuni anni dopo ispireranno i fondatori dei Francescani dell'Immacolata, Padre Kolbe rivolge la sua attenzione ai nemici della Chiesa Cattolica e in particolare alla massoneria. 

Dopo il Concilio Vaticano II, sottolineature come quelle riportate di seguito suonerebbero demodé, se il cardinale Ratzinger non avesse ribadito l'immutato giudizio della Chiesa in una dichiarazione datata 26 novembre 1983. 
La dichiarazione è pressoché ignota ai cosiddetti fedeli, forse è più conosciuta dagli interessati, sebbene, nella mia insignificanza, sia portato a ritenere comunque che a un libero muratore interessi poco partecipare alla Messa e accedere ai sacramenti - atti che probabilmente riterrà un qualcosa di non molto dissimile a vecchie superstizioni. E a molti, oggigiorno, non serve accedere a una loggia o iscriversi a un partito per trarre conclusioni simili. Aggiungo infine che molti scienziati, i cui nomi sono stati richiamati in questo blog, erano affiliati a qualche loggia, da Ostwald a Fermi e altri.


“Noi siamo testimoni di una febbrile attività diretta contro la Chiesa di Dio, di un’attività che purtroppo non è senza frutti e che ha a disposizione propagatori senza numero. Il principale, il più grande ed il più potente nemico della Chiesa è la massoneria” (SK 1254).

“Dalla loro officina è uscita la rivoluzione francese, tutta la serie delle rivoluzioni dal 1789 al 1815, ed anche la guerra mondiale. Secondo le loro indicazioni lavorarono Voltaire, D’Alambert, Rousseau, Diderot, Choiseul, Pombal, Aralda, Tanucci, Hangwitz, Byron, Mazzini, Palmerston, Garibaldi ed altri … La massoneria mette sul piedistallo le persone che vuole e butta giù, quando esse hanno voglia di agire di testa propria” (SK 1254).

“L’arte, la letteratura e la stampa periodica, i teatri, il cinema, l’educazione della gioventù e la legislazione si muovono con passo veloce verso l’eliminazione del sovrannaturale ed il soddisfacimento dei piaceri della carne. Nessuna meraviglia perché la massoneria si è ramificata assai” (SK 1254).

“Volgendo lo sguardo attorno a noi, notiamo la scomparsa, spaventosa, della moralità, soprattutto in mezzo alla gioventù; anzi, stanno sorgendo delle associazioni, veramente infernali, che hanno inserito nel loro programma il delitto e la dissolutezza ... Il cinema, il teatro, la letteratura, l’arte, diretti in gran parte dalla mano invisibile della massoneria, lavorano febbrilmente, in conformità alla risoluzione dei massoni: «Noi vinceremo la Chiesa Cattolica non con il ragionamento, ma pervertendo i costumi!»” (articolo del 1925).

“L’Immacolata - della quale è stato detto “Ella schiaccerà il tuo capo”, vale a dire del serpente infernale - schiaccerà pure questo capo, la massoneria, la qual dirige tutto questo movimento antireligioso e immorale e mette a disposizione grosse somme di denaro per la formazione di nuove sette” (conferenza 06.03.1927).

“Io sostengo che noi siamo in grado di farvi crollare e vi faremo crollare ... Ebbene noi siamo un esercito, il cui Condottiero vi conosce ad uno ad uno, ha osservato e osserva ogni vostra azione, ascolta ogni vostra parola, anzi, nemmeno uno dei vostri pensieri sfugge alla sua attenzione ... È l’Immacolata, il rifugio dei peccatori, ma anche la debellatrice del serpente infernale” (SK 1133).

venerdì 14 agosto 2020

Protagonista del grande schermo...

QUI potete leggere un articolo nel quale gli autori, il prof. Luciano De Fiore e suoi collaboratori, hanno selezionato 148 film che hanno per protagonisti personaggi malati di cancro. Tali film sono stati prodotti in tutto il mondo a partire dagli anni Trenta fino ad oggi. Ne sono esempi: 

- "Vivere" (1952) di Akira Kurosawa.


- "Amanti" (1968) di Vittorio De Sica. 


- "Anonimo veneziano" (1970) di Enrico Maria Salerno, con la celebre colonna sonora di Stelvio Cipriani.


- "Fantozzi va in paradiso" (1993), ma questo lo aggiungo io...

Molti altri titoli li trovate nell'articolo. Anni fa, a lezione, avevo mostrato "La custode di mia sorella" (2009), film ricco di spunti su molti temi della bioetica.


Lo scorso anno è uscito "Vivere, che rischio" (2019), film documentario di Michele Mellara e Alessandro Rossi, dedicato alla figura del professor Cesare Maltoni (1930-2001), medico italiano, oncologo di fama mondiale, pioniere degli studi sulla cancerogenesi ambientale e industriale, direttore dell'Istituto Ramazzini.

Per comprendere chiaramente il messaggio peculiare di ogni film, gli estensori dell'articolo hanno raccolto dati come genealogia, anno e paese di produzione, età e sesso dei personaggi principali e tipo di tumore che li affligge - in qualche caso quest'ultimo dato non è precisato poiché non emerge ed evidentemente è ritenuto irrilevante. 

I film affrontano il cancro attraverso domande molto rilevanti, nonché temi e contesti che hanno una grande influenza sulla mente e sulla coscienza dell'oncologo. 

Specialmente negli ultimi anni, i film hanno affrontato alcune delle questioni più importanti sul cancro, come la sua epidemiologia e le cause ambientali; le implicazioni economiche delle terapie; la gestione dei sintomi e degli effetti collaterali; le dinamiche psicologiche; la cura per la fase finale della vita. 

Il trattamento più frequente menzionato nei film era la chemioterapia seguita dalla terapia antalgicaMolto spesso il malato sullo schermo non si riprende dalla malattia e la sua morte è in qualche modo utile all'esito della trama. Questo modello è così fortemente standardizzato che persiste nonostante il reale progresso dei trattamenti e il miglioramento della prognosi. 

I film usano la malattia e altre tragedie come un dispositivo drammatico, e poiché il dramma è ciò che ci aspettiamo dal mezzo, dovremmo preoccuparci che ci sia un divario tra finzione e realtà? 

I film rappresentano una fase essenziale del processo educativo, ma il loro potenziale è stato sfruttato appieno solo in tempi recenti. 

Secondo gli autori, guardando film sul cancro, gli oncologi potrebbero diventare più consapevoli dei problemi che stanno già affrontando nel setting terapeutico: cancro e sessualità, il rapporto tra il malato e il personale medico, gli effetti collaterali delle terapie. 

Alcuni film ci fanno semplicemente riflettere sul significato della vita e della morte. Questo è utile per la condivisione della cura del cancro, da problema personale o familiare a questione di rilevanza collettiva.

sabato 8 agosto 2020

Uroscopia premoderna...

Agli inizi del XIV secolo, Johannes Zacharias Actuarius (1275-1328) scrisse "De urinis", un trattato che guidava il medico alla corretta esecuzione dell'esame delle urine. Il testo fu ristampato più volte, fino a tutto il XVI secolo; ispirò altri autori per opere analoghe.

Ecco una curiosa "ruota delle urine per diagnosi medica" e relativa tabella dei colori con spiegazioni. Ogni colore corrisponde a un grado di miscela (cioè "digestione") della materia residua e indica quindi uno stato normale o patologico dell'organismo.

L'immagine è tratta da Ulrich Pinder, "Epiphanie medicorum. Speculum videndi urinas hominum. Clavis aperiendi portas pulsuum. Berillus discernendi causas & differentias febrium"- Friedrich Peypus per l'autore, Norimberga 1506.

Nella medicina premoderna, l'urina del paziente era raccolta in un vaso apposito, chiamato matula, dall'evoluzione della quale si è giunti fino alla nostra provetta (con fondo semisferico o conico, con orlo normale o svasato). 

Nelle intenzioni del diagnosta medievale, l'esame di una matula contenente urina avrebbe potuto dire molto sulla dieta e sulla salute del paziente, se fosse stato adeguatamente idratato o quanto bene funzionavano i suoi reni; se il paziente soffrisse di ittero o se avesse avuto la glicemia alta. 

Come è noto, anche la moderna analisi chimica dell'urina può rivelare una vasta gamma di morbi e di afflizioni. Secoli fa, prima che tali test diagnostici diventassero disponibili grazie al progresso della chimica analitica e delle tecniche di laboratorio - e prima che ci fossero microscopi, esami del sangue e raggi X, - l'urina era l'unico fluido corporeo che poteva essere analizzato in modo affidabile. Era trasparente o torbida, aveva colori e sedimenti diversi. 

Aveva un odore unico e poteva anche essere assaggiata: il diabete mellito (mel-mellis, in latino significa miele) era così chiamato perché le urine erano particolarmente dolci, a differenza di quelle emesse da un paziente affetto da diabete insipido (che non avevano sapore). 

I primi test analitici per trovare il glucosio nelle urine risaliranno agli inizi del XIX secolo, sfruttando la fermentazione (Magendie) oppure la capacità dell'aldoso di ridurre lo ione rameico a ione rameoso in ambiente alcalino (Fehling, Benedict).

lunedì 3 agosto 2020

Una gitarella a Corte di Cadore...

Oggi ho trascorso una mezza giornata, gratificata dal bel tempo, in Cadore. Niente code, qualche cantiere sulla strada di Alemagna, all'andata. 

Prima tappa: il Villaggio Eni in Corte di Cadore, a pochi chilometri da Cortina d'Ampezzo. Le altre tappe sono state solo toccate (e bagnate dall'immancabile pioggia pomeridiana che ha guastato l'altra metà giornata). Ammirate intanto la vegetazione del sottobosco: cardi, ciclamini, felci...




Poi gustatevi un video introduttivo sul villaggio che fu, il quale precede una piccola rassegna fotografica, realizzata con lo smartphone (viva la pigrizia). Musica di Egisto Macchi.


La chiesa dedicata a Nostra Signora del Cadore, progettata da Gellner-Scarpa.












L'albergo pensato per il soggiorno dei dipendenti ENI


Scorci del villaggio: villette nel bosco e panorami sulle Dolomiti. 




Osservate come le villette si integrano perfettamente nel contesto.



(Notate il Pelmo, nascosto tra le nubi; sul terreno, le tracce di Vaia)


Il busto dedicato a Enrico Mattei, ideatore del villaggio.