Ecco un libro che mi ha fatto male. Tanto male. Non perché mi sia caduto su un piede o perché qualcuno me lo abbia tirato in testa: ma perché - forse - se mi fossi realizzato come desideravo, avrei potuto essere autore di una lettera come quelle che ho letto, raccolte in esso. Lettere di giovani costruttori di pace, lettere di uomini e di donne che servono la vita e prima ancora ne hanno rispetto, lettere di donne e di uomini che testimoniano che la vera ricchezza è imparare a fare a meno di ciò che si ha per scoprire giorno per giorno ciò che si è: fragili canne mosse dal vento e qualche volta spezzate.
Da giovane, terminato un liceo che mi dispiace aver frequentato, dopo aver preso il coraggio di mettermi di fronte allo specchio e scoprire che brancolavo nelle tenebre sull'orlo di un baratro, avevo finito per proiettarmi in una vita di servizio... così. Dovevo tuttavia prima finire quello che avevo cominciato. E l'ho fatto, consapevole che con un certo percorso avrei chiuso conseguendo il titolo per cui stavo studiando.
Realizzato che non sarei stato un buon medico, mi sono pensato più come farmacista. Per una serie di tristi circostanze non lo sono diventato, non lo diventerò e la cosa non mi lascia indifferente. Mi fa male. Ma per me era già stato deciso altro. Le tessere - del babbo, la discendenza - del nonno, la famiglia - della nonna, il matrimonio - di persone che non voglio neanche nominare, con la benedizione di quei preti che ho smesso di frequentare troppo tardi, che vedono solo nozze e famiglia, registri parrocchiali, schitarrate e uattanciu'...
Alla fine, mi trovo con dei pezzi di carta svuotati del loro valore dalla mancanza di passione; con una casa in un luogo dal quale me ne sarei volentieri andato anni fa; con una salute sempre più malferma e logorata dai progetti affondati, dai sogni in cocci, dalle delusioni di ogni giorno e dalla merda di sempre: padri, patriarchi, padriterni e patrie.
Sto smettendo di credere e di sperare. Forse anche di amare: perché per qualcuno devo solo amare una ragazza che deve diventare fidanzata, moglie, madre e padrona della mia casa e di quel che resta della mia esistenza. E per questo qualcuno io non posso che amare così. Avrei amato volentieri in altro modo, nel servizio e nella dedizione agli altri. Ma qualcuno ha deciso che non potevo. Eh... le tessere... la casa... il matrimonio... gli eredi...
Eleggere a modelli grandi anime come Schweitzer, Burkitt, Canova era troppo. C'era la famiglia: quello era il mio destino. Così la sentenza, ben lungi dall'essere esecutiva. Mi restano solo la rassegnazione di attendere la mia data di scadenza e l'immediato timore che tra un po' arriverà ancora una volta la solennità dell'ipocrisia. Essa porterà, sulla slitta trainata dalle renne, la sfilata degli impiccioni, con sorrisi sornioni, auguri doppi e domande inopportune. Potrò, per una volta, rispondere a sonori bestemmioni?