Osservatela, nella foto da me scattata, ergersi tra le rade erbe del prato di montagna e raggiungere l'altezza media di un metro, con le sue foglie strette e il suo fusto esile.
Verrebbe quasi voglia di portarsela a casa e qui si commetterebbe un delitto: non tanto perché è proibito raccoglierla (e sinceramente, come regola generale, sconsiglio vivamente di "tirar su" fiori di montagna: sono belli perché sono in montagna, nel loro habitat, e là devono rimanere), quanto piuttosto perché i sintomi dell'avvelenamento si percepiscono semplicemente tenendola in mano.
Verrebbe quasi voglia di portarsela a casa e qui si commetterebbe un delitto: non tanto perché è proibito raccoglierla (e sinceramente, come regola generale, sconsiglio vivamente di "tirar su" fiori di montagna: sono belli perché sono in montagna, nel loro habitat, e là devono rimanere), quanto piuttosto perché i sintomi dell'avvelenamento si percepiscono semplicemente tenendola in mano.
L'aconito è la pianta più velenosa della flora italiana ed europea ed è tra le più velenose al mondo, accanto all'Aconitum Ferox che cresce tra le montagne del Nepal (merita un viaggio per vederlo fiorire, non trovate?).
La sua tossicità è nota fin dall'antica Grecia: un estratto era usato per avvelenare le frecce e gli abitanti dell'isola di Ceo lo somministravano agli anziani non più autosufficienti (sic!). L'aconito fu descritto da Ippocrate e poi, qualche secolo dopo, da Plinio.
Come racconta il Matthioli, autore nel XVI secolo di un celebre testo di botanica: "scrisse dell'Aconito Galeno al vi. delle facultà dei semplici, cosi dicendo. L' Aconito chiamato Pardalianche, è veramente mortiferoso imperò è da essere fuggito tanto mangiato quanto bevuto".
Era usata un tempo per confezionare preparati galenici e trova largo impiego tuttora nelle medicine orientali.
La tossicità dell'aconito è dovuta all'aconitina, un alcaloide diterpenoico la cui formula bruta è C34H47NO11 e la formula di struttura è rappresentata nella figura.
Bastano pochi milligrammi (da uno a quattro) per portare a morte un uomo adulto. Essa agisce sul sistema nervoso e l'avvelenamento si manifesta con nausea, formicolio, rallentamento della frequenza cardiaca e del ritmo respiratorio, abbassamento della pressione sanguigna: QUI trovate una descrizione più dettagliata.
La cura è più efficace tanto quanto è più tempestiva: si giova della lavanda gastrica e della somministrazione dell'atropina come "antivagale" (cfr. Enciclopedia Treccani, voce "aconitina").
La tossicità della pianta, dovuta all'aconitina, era sfruttata un tempo dai pastori che la usavano per preparare bocconi avvelenati per uccidere i lupi. Una varietà di aconito (A. Luparia) deve il suo nome proprio a questo impiego: a differenza dell'A. Napello, presenta i fiori gialli.
Anche il miele prodotto da api che si cibano del nettare di aconito è tossico e non deve essere consumato.
Dall'aconito fu estratto anche un acido tricarbossilico che Liebig designò "per questo sotto il nome di acido aconitico" (Trattato di Chimica Organica, ed. Bonfanti, Milano, 1844, p. 326): tale acido fu ricavato anche dall'equiseto (Regnault lo chiamò acido equisetico) e dall'achillea (il chimico bellunese Bartolomeo Zanon lo chiamò acido achilleico) e fu ottenuto artificialmente per decomposizione termica dell'acido citrico (ibidem) sottoforma di "un residuo giallo che si scioglie per intero nell'etere, proprietà che l'acido citrico non possiede". Nelle pagine successiva del suo trattato, Liebig continua la descrizione e dà le metodiche per preparare alcuni sali (aconitati).
L'acido aconitico è ottenuto per disidratazione dell'acido citrico tanto in laboratorio che nei mitocondri delle cellule eucariote (isomero cis): esso costituisce infatti un importante intermedio del ciclo di Krebs. Nei mitocondri la disidratazione è catalizzata dall'enzima aconitasi.
Nessun commento:
Posta un commento