domenica 29 maggio 2016

Un fiume rubato per più di un secolo...

Mio nonno ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a scrivere quanto aveva vissuto, forse cercando di mettere un poco di ordine tra i confusi ricordi e le violente emozioni legate alla sua infanzia e della sua giovinezza, senza peraltro riuscirvi.

Le ambientazioni degli episodi riguardanti la guerra, che egli visse a ridosso di Savona, risalendo verso l’interno, verso Altare, Cairo Montenotte, Millesimo, sono ricche di dettagli preziosi sui quali si sofferma quasi cercando dei punti fermi ai quali ancorare i ricordi dei fatti vissuti, dettati più dall’affettività indelebilmente segnata che dalla ricerca dell’obiettività.


Di Cengio ricorda le imponenti industrie per la fabbricazione del benzolo: è un dettaglio che ritorna in diversi racconti quello del benzolo. In realtà quegli stabilimenti non avevano sempre trattato solo composti aromatici - che mio nonno, forte di una impostazione pragmatica impostagli dalla frequenza della scuola di avviamento e poi dai corsi di segnalatore della Regia Marina, riduceva semplicemente a benzolo, ovvero il nostro benzene, che di essi è il capostipite, misto a tracce di toluene. 

L’insediamento chimico era nato originariamente nel 1882 come fabbrica di esplosivi: la riserva d’acqua, la manodopera a basso costo e la vicinanza al porto di Savona ne facevano un luogo appetibile.


Lo sfruttamento del territorio si impose da subito qualificandosi come selvaggio e senza scrupoli: già nel 1908 la situazione ambientale era grave, ed era stato fatto divieto di usare le acque del Bormida per l’irrigazione e per l’uso domestico.

Nel 1925 l’impianto fu riconvertito per la produzione di coloranti e pigmenti (qualcuno dice anche di armi chimiche): la voce dei contadini, i cui campi inquinati rimangono aridi e improduttivi, non tarda a farsi sentire. Era il 1938. L’illusione dell’impero sarebbe tramontata di lì a poco, travolta da una guerra sanguinosa, e toccherà alla neonata Repubblica zittire i villici, nel 1964.

A partire dal 1966 la ditta segue le vicissitudini aziendali della Montecatini prima, della Montedison poi, dell’Edimont e infine Enichem, tra tracolli finanziari, deficit, scandali e fallimenti. Nonostante tutto, il dissenso popolare permane e corre sulle ruote dei ciclisti al giro d’Italia, riecheggiando anche tra le note del Festival di San Remo.


A Cengio è concentrato il 65% della produzione mondiale di alluminio tricloruro, il catalizzatore acido di Lewis usato nelle reazioni di Friedel-Crafts che coinvolgono benzene, omologhi, derivati e cloruri alchilici o acìlici, al fine di sostituire uno o più H del sistema aromatico con catene idrocarburiche o acìliche. 

Nel 1979 un’esplosione al reparto dell'alluminio tricloruro (poi chiuso) provoca la morte di due operai; nel 1986 una fuga di acido solfidrico ammorba l’aria del centro abitato poco distante dalla fabbrica, seguito due anni più tardi da esalazioni di anidride solforosa. Sono gli ultimi sbuffi del vecchio gigante ormai stanco e cadente.

Nel 1999, lo stabilimento ultracentenario e obsoleto chiude i battenti. Della vecchia ACNA resteranno solo il torrione antincendio, simbolo dello stabilimento, la portineria e il settore biologico. Un agile volume di Alessandro Hellmann, Cent'anni di veleno, ripercorre il dramma umano e ambientale di questo insediamento industriale.


Un laboratorio universitario ha seguito costantemente la bonifica del sito, inquinato da fenoli, aniline, composti solforati e cianuri, oltre trecento composti diversi usati nelle varie lavorazioni.



Sull’edizione di Savona del Secolo XIX, il 13 ottobre 2010 si è potuto leggere il seguente titolo: Acna, la bonifica dopo 117 anni. L’articolo presentava in toni ottimistici la riqualificazione ambientale degli oltre 60 ettari del sito industriale: ma l’inquinamento causato dalle lavorazioni si è esteso per gli oltre 70 km a valle di esso, portato dall’acqua del fiume rubato Bormida, color sangue brumoso, come ricordava Beppe Fenoglio in Un giorno di fuoco: un’acqua più porca e avvelenata che ti mette il freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna.


(NB: immagini dal web)

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