Litigano i miei gatti sul divano e litigano i candidati alle elezioni americane, uno dei due col supporto dell'uomo più ricco del mondo e l'altra parte col sostegno delle lobbies e del mondo industriale. Io non tifo per nessuna delle due parti: comunque vadano, ho come l'impressione che queste elezioni saranno seguite da tanta violenza che non si fermerà dentro i confini degli States.
Vorrei la pace: nel mondo e prima ancora in quel che rimane della mia povera anima. Purtroppo vivo ancora l'incubo di scelte che non voglio attuare e che altri vogliono impormi e per questo continuano a vomitare nella mia vita le solite antiche menzogne: matrimonio, famiglia, sociale, etc.
Non sono cristiano, non sono collettivista (di destra o di sinistra che sia); mi professo laico, liberale, agnostico (specialmente se interessarsi di questioni metafisiche alla fine vuol dire, alla fin dei conti, doversi sposare...) e soprattutto farmacista mancato.
Mi è stata negata l'ultima speranza di poterlo diventare quando, alla mia richiesta di iscrivermi all'università, mi è stato risposto (a firma della responsabile della didattica di facoltà - o meglio: di dipartimento di Scienze del Farmaco) che era ora di smettere di studiare e di pensare al matrimonio. A questo punto seguono un'infinità di improperi e di imprecazioni che lascio alla fantasia del lettore, il quale tuttavia non si permetterà di farmi la solita morale bigotta e borghese.
Non più ho voglia di amareggiarmi inutilmente, ma ho imparato che la libertà individuale ha un prezzo e che non vale la pena svenderla per false compagnie, per l'ipocrisia della comunità tanto predicata dai pulpiti o nelle piazze, per le consuetudini di una società occidentale, malata terminale, destinata presto all'exitus - che temo sarà assai cruento. Mi auguro di sbagliarmi, ovviamente, ma ritengo di non essere troppo nel torto...
J. Martin, The last judgment - particolare, Tate Gallery, Londra
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