giovedì 26 dicembre 2024

Sermone per la Solennità dell'Ipocrisia

Nonostante la mia richiesta esplicita di non ricevere messaggi di auguri in occasione dell’annuale solennità dell’ipocrisia, qualcuno ha calpestato il mio desiderio (come da prassi consolidata) e mi ha mandato video, gif, biglietti e quant’altro con luci, stelline, renne, slitte, candele e altre cineserie. Io ho risposto con il seguente pensiero di Pascal

Come ho scritto più volte, per me non è buon natale da anni (anche se quello di quest'anno è stato felicemente sereno, finora) e non lo sarà mai più, a meno che Qualcuno di Onnipotente non mostri di esserlo sul serio e mi permetta di formarmi come avrei desiderato anni fa e di intraprendere finalmente il servizio che ancora desidero nel modo in cui lo voglio vivamente. 

C’è chi mi ha fatto notare che tutti hanno i loro problemi, uniti a quelli del mondo e che non possiamo mai perdere la speranza.

Viviamo vite di quieta disperazione” – scriveva Thoreau, invitando a fuggire alla rassegnazione (la disperazione istituzionalizzata) e soprattutto alla ribellione

Io ho perso la speranza anni fa. E mi percepisco più onesto ad essere consapevole che tante chiacchiere stupide appaiono solo come illusioni che hanno come unico fine l’anestesia della presa di coscienza della miseria dell'esistenza così ben descritta dal filosofo nella citazione in apertura.

L’ipocrisia del buon natale, del familismo, dell’amore che nasce, del vestito bello e della messa cantata mi danno sui nervi. 

E anche il Te Deum, che ci obbliga a ringraziare anche quando le cose vanno in modo troppo diverso da come vorremmo, dove tutto deve andare bene per forza perché padri, padrieterni e patrie sono pilastri intoccabili in nome dei quali si possono calpestare i sogni di chi vuole una vita diversa. 

E da “dream” a “merda” il passo è breve: basta frullare le lettere, come sono chiaramente frullate le parole in certe prediche che tocca ascoltare in questi giorni di trionfante benpensantismo.

Ho 45 anni compiuti e non mi ci sono ancora abituato. Ho 45 anni e si allunga la serie di patologie croniche che minano la mia salute sempre più malferma: ipertensione, iperglicemia, diverticolosi, colelitiasi, nefrolitiasi, etc

Lascio le diagnosi ai medici (purtroppo non lo sono), ma nel mio piccolo ritengo che esse siano il frutto di anni di rinunce e di angherie subite, di mala sopportazione e di chiacchiericci alimentati da persone un tempo a me troppo vicine che ho cancellato dalla mia esistenza assai tardi. Per costoro, non sapevo quello che volevo perché non volevo quello che loro desideravano per la mia esistenza: un lavoro umile che cancellasse per sempre le mie aspirazioni, una moglie da manipolare e da piegare al loro servizio e una discendenza a cui lasciare il capitale accumulato. 

E quando ho chiesto aiuto, quello sbagliato ero ancora io perché mettevo in discussione i sacri dogmi del matrimonio, della famiglia e della comunità, ai quali tuttora non voglio c(r)edere. 

Allora capirete che anche in questo l'attuale cristianesimo istituzionale rivela il suo volto: un monolitico monumento alle consuetudini sociali, ove l’unico spirito presente è quella traccia di etanolo nel vino da messa, non Spirito divino ma spirito di vino - e neanche di eccelsa qualità. 

Comprenderete quindi perché vado ripetendo da tempo che non sono cristiano (nel senso corrente del termine) sebbene più di qualcuno si ostini a farmi passare per tale.

L’altra sera scambiavo qualche idea con un ex collega a proposito di un film cult per la mia generazione: “L’attimo fuggente”.

A me piaceva particolarmente da ragazzo: ora non lo collocherei tra i miei prediletti, anche se riconosco la sua carica emotiva. Da adulto, anche per il lavoro e il tipo di servizio che faccio, la visione di questo film mi ha invitato e mi invita ancora a riflettere profondamente sui pericoli dell’educazione permissiva e dell’anticonformismo.

Lui mi diceva essere questo film uno dei suoi preferiti e si soffermava sul come la figura di Keating lo abbia motivato a fare il docente in un certo modo.

A me, ogni volta che lo vedo, viene il magone per la fine del giovane Neil Perry – che desiderava diventare attore di teatro contro la volontà paterna che lo voleva medico. Un colpo di pistola in una fredda notte d’inverno ha messo fine ai suoi sogni e ai suoi incubi. Una tragica fine che lo accosta al povero principe Rodolfo d'Asburgo Lorena (1858-1889): altro protagonista di un aspro conflitto padre-figlio, esasperato dalla ragion di stato e non solo.

Confidavo al mio interlocutore che qualche rara volta ho pensato che anche a mio padre avrebbe fatto bene trovare un figlio morto suicida: un figlio al quale ha negato di costruirsi un futuro perché il matrimonio e la famiglia dovevano essere adorati sopra ogni cosa.

Magari avrebbe imparato qualcosa” – mi rispondeva il collega – “ma a che prezzo? Perdi tu la vita intera per insegnare qualcosa a lui? L’idea può attrarre perché è un segnale forte e inequivocabile, ma molto meglio farsi scivolare tutto addosso e vivere lo stesso”.

Sono dell’idea che comunque non avrebbe imparato niente. Di fronte a certi padri perfetti, ad essere sbagliati sono sempre e solamente i figli. Anche per questo vale la pena vivere: per stramaledire padri, padrieterni e patrie con tutti gli imbecilli che vomitano le loro menzogne in persone che vorrebbero una vita diversa. E che nella più rosea delle ipotesi, se si accorgono di aver sbagliato, pensano di risolvere tutto chiedendo scusa - arrivederci e grazie. Ipocriti! Le uniche scuse che valgono sono quelle che riparano e che restituiscono le possibilità negate dalla menzogna e dalla consuetudine, dal matrimonio e dalla famiglia. Se non riparano e non restituiscono, le vostre scuse… tenetevele, insieme ai vostri auguri. E così sia.


Giovanni Tadolini, "Amen" per Rossini (1832)

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