Spiegare le moderne teorie sulla costituzione della materia non è facile. Ancora di più, non è certamente facile proporre qualche idea a un pubblico di non addetti ai lavori - come possono essere gli studenti di una classe della scuola secondaria oppure i numerosi presenti che accorrono alle lezioni delle università popolari. Con questo post mi propongo di tentare un'esposizione divulgativa (e pertanto gravata da molti limiti) dell'evoluzione dei modelli atomici.
QUI, parlando di Dalton, ho proposto uno specchietto che riassumeva la sua ipotesi atomica della materia, la quale interessò i chimici del XIX secolo.
Nel 1860, al celebre congresso di Karlsruhe, Stanislao Cannizzaro (1826-1910) distribuì copie a stampa del suo celebre Sunto di un corso di filosofia chimica (pubblicato due anni prima) e propose ai chimici di tutta Europa la distinzione tra atomo e molecola per calcolare in modo corretto i pesi atomici degli elementi allora conosciuti.
Una molecola di idrogeno è formata da due atomi di idrogeno tenuti assieme da una forza chiamata legame chimico; così anche una molecola di azoto, di ossigeno, di cloro, di bromo.
Se, come supponeva Amedeo Avogadro, volumi uguali di gas diversi, alle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole, si spiega allora perché sperimentalmente occorrono:
- un litro di idrogeno e un litro di cloro per formare due litri di acido cloridrico;
- due litri di idrogeno e uno di ossigeno per formare due litri di acqua;
- tre litri di idrogeno e uno di azoto per formare due litri di ammoniaca; etc.
Queste evidenze sperimentali non avrebbero senso se l'unità costitutiva di ciascun gas fosse monoatomica: da un litro di idrogeno e uno di cloro si dovrebbe formare solo un litro di acido cloridrico. Infatti: H + Cl = HCl. Analogamente, negli altri due casi, ci si attenderebbe la formazione di un litro di composto e non di due - come avviene in realtà.
Tuttavia, nonostante la teoria atomica interpretasse correttamente i dati di vari esperimenti, erano molti gli scienziati (anche autorevoli) che verso la fine dell'Ottocento ancora non credevano all'esistenza degli atomi. "L'atomo è un utile finzione" - affermava Ostwald.
Boltzmann non sopportava che il modello atomico della materia fosse messo in discussione e ne fu tanto amareggiato che morì suicida gettandosi nell'Adriatico a Duino (Trieste).
Arrhenius e altri avevano iniziato a studiare la conducibilità delle soluzioni, spiegata con la teoria della dissociazione elettrolitica di acidi, basi e sali in anioni e cationi.
Crookes e altri studiavano invece la scarica elettrica nei gas rarefatti; tra questi, Thompson osservò che la scarica era deviata da un campo elettrico verso la piastra con carica positiva. Egli suppose che la scarica fosse composta di particelle con carica negativa, chiamate elettroni, di cui misurò il rapporto massa/carica, e immaginò la materia (elettricamente neutra) come un panettone, dove la pasta è carica positivamente e i canditi (gli elettroni con carica negativa) sono sparsi al suo interno (1). Correva l'anno 1897.
Nel 1911, un allievo di Thompson, il fisico neozelandese Ernst Rutherford (1871-1937), corresse l'ipotesi del maestro, annunciando il modello planetario: la carica positiva è concentrata nel nucleo dell'atomo (che poi si scoprirà essere formato da due tipi di particelle: i protoni con carica + e i neutroni con carica 0), mentre attorno ruotano gli elettroni, come pianeti attorno al sole (2).
Questo modello interpretava i risultati di un esperimento celebre: particelle alfa, con carica positiva, emesse dal radio (scoperto dai coniugi Curie poco prima, nel 1898) e sparate su una lamina d'oro, la oltrepassavano come se non ci fosse niente a ostacolare il loro cammino - a parte qualcuna che era respinta indietro. Rutherford concluse che la massa di un atomo era concentrata nel nucleo, attorno al quale ruotavano gli elettroni. Il nucleo, carico positivamente, respingeva indietro qualche particella, ma le altre passavano indisturbate nel vuoto tra un nucleo e l'altro.
Nel 1913, un allievo di Rutherford obiettò che, se l'elettrone è una particella carica in movimento attorno al nucleo, secondo la fisica classica, esso muovendosi genera un campo; ma generando un campo perde energia; perdendo energia subisce progressivamente una maggiore forza di attrazione da parte del nucleo finendo per collassare su di esso. Ciò in realtà non accade e pertanto questo giovane suppose l'esistenza di orbite stazionarie di forma circolare, presso le quali trovare gli elettroni. Chiamò tali orbite strati o gusci (shell): K, L, M, N, etc.
Gli elettroni possono saltare tuttavia da uno strato all'altro assorbendo o emettendo un fotone di energia appropriata, pari alla differenza di energia tra i due livelli - e non per frazioni di essa, ma solo per multipli interi: un elettrone opportunamente eccitato può passare da un'orbita a un altra, ma mai stazionare tra due orbite. In questo modo si cercava di interpretare i dati raccolti mediante gli studi di spettroscopia, iniziati da Bunsen e da Kirchoff cinquant'anni prima. In estrema sintesi, è questo il modello atomico di Bohr (3).
Sommerfeld correggerà Bohr, ipotizzando l'esistenza di orbite ellittiche; tuttavia, ulteriori esperimenti di spettroscopia, condotti da Zeeman e da Stark, metteranno in crisi anche questo modello.
Werner Heisenberg (1901-1976), allievo di Bohr, sviluppò un modello per spiegare il moto dell'elettrone, noto come meccanica delle matrici. Per Heisenberg non è possibile conoscere allo stesso tempo posizione e velocità dell'elettrone (principio di indeterminazione).
Se non è possibile conoscere esattamente dove si trovi l'elettrone, è tuttavia possibile calcolare la probabilità massima che esso si trovi presso il nucleo dell'atomo (Born). La probabilità è associata al quadrato del modulo di una funzione d'onda, soluzione accettabile di una complessa equazione proposta nel 1926 da Erwin Schroedinger (4).
L'equazione di Schroedinger può essere risolta in modo esatto per atomi con un solo elettrone (atomo idrogenoide); per atomi con due o più elettroni si ricorre alle funzioni di Slater, che permettono soluzioni sufficientemente concordanti con i dati sperimentali.
Se con l'equazione di Schroedinger descrivo il singolo elettrone presso il nucleo dell'atomo idrogenoide, perché non è possibile adattare il modello alla coppia di elettroni di legame condivisa tra due nuclei di due atomi in una molecola? E' quanto ha fatto Linus Pauling (1901-1994) nel suo più celebre lavoro, La natura del legame chimico, poi perfezionato da autori successivi.
In una molecola di idrogeno, i due atomi condividono una sola coppia di elettroni; così nel fluoro, cloro, nel bromo, nell'acido cloridrico. Si definisce un legame semplice.
In una molecola di ossigeno, i due atomi condividono due coppie di elettroni (legame doppio). In una molecola di azoto, le coppie condivise tra i due atomi sono tre (legame triplo).
Esistono legami quadrupli? Beh, si. Esistono. Nell'acetato di cromo (II), tra i due atomi di cromo si stabilisce un legame quadruplo. Altri legami quadrupli sono stati descritti, negli Anni Sessanta, da Frank Albert Cotton (1930-2007) in composti di renio, molibdeno e tungsteno.
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