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domenica 8 marzo 2020

Colorare le cellule...

La cellula è l'unità morfologica e funzionale dei viventi: più o meno con queste parole si descrive essenzialmente che cosa sia una cellula nei manuali di scienze naturali. 


Poi la trattazione continua con qualche cenno storico, dagli animacula di Antoni van Leeuwenhoek alla prima descrizione del sughero al microscopio da parte di Robert Hooke (sopra); dalla descrizione dei globuli rossi data da Malpighi a quella dei globuli bianchi di Spallanzani, per passare alle grandi scoperte del XIX secolo, durante il quale Schleiden, Schwann e Virchow formulano la teoria cellulare degli organismi viventi. Tutti i viventi sono formati da cellule e una cellula può aver origine soltanto da un'altra cellula.

Nel 1869, dal nucleo dei leucociti, Miescher ricava la "nucleina", un miscuglio di DNA, RNA e proteine. 

In base all'organizzazione del materiale genetico, si distinguono cellule procariote (senza nucleo) e cellule eucariote (con nucleo). Le seconde sono più grandi delle prime e presentano una notevole complessità strutturale al loro interno che, qualche tempo fa, ho rappresentato alla lavagna in questo modo, immaginando un viaggio dentro una cellula animale.


Se poi volete vedere una foto, ecco qua uno scatto carino, dove è possibile distinguere il nucleo (la forma tondeggiante che si trova poco sotto il centro dell'immagine), il nucleolo (il punto scuro al suo interno) e una serie di imprecisati organuli (forse mitocondri: forse!).


Per distinguere bene gli organuli e studiare come sono fatti è infatti necessario utilizzare il microscopio elettronico.

Quello sopra è il corpo cellulare di un neurone motorio, colorato con il blu di Coomassie. Sotto, ecco un soggetto analogo colorato in altro modo (ematossilina-eosina).


Già! La chimica dei coloranti di sintesi, affermatasi a partire dalla seconda metà del XIX secolo, ha permesso un notevole sviluppo delle tecniche di microscopia cellulare e tissutale. Ad esempio, i globuli bianchi non sono tutti uguali: si distinguono mononucleati e polinucleati - e tra questi ultimi, alcuni mostrano una maggiore affinità per i coloranti acidi, come l'eosina, e per questo sono detti eosinofili; altri mostrano una maggiore affinità per i coloranti basici e per questo sono classificati come basofili; infine, ci sono i neutrofili (i più abbondanti).


Della possibilità di colorare anche le cellule batteriche ho detto in precedenza, ricordando Gram. Chiudo il post mostrando il tessuto del pancreas, nel quale si riconoscono le cellule che producono il succo pancreatico per la digestione (funzione esocrina del pancreas) e gli ammassi - più chiari - di cellule endocrine che producono ormoni (insulina, glucagone, grelina, somatostatina). Tali ammassi sono noti come isolotti pancreatici o isole di Langerhans, dal nome del loro scopritore, che li descrisse ancora studente.


Tranne la foto in blu, che è stata realizzata da una mia collega, prof.ssa De Pizzol, e poi è stata da me elaborata al computer, le altre sono foto originali mie, realizzate al microscopio ottico osservando vetrini già preparati.

mercoledì 24 ottobre 2018

Generalità sugli enzimi

Gli enzimi sono i catalizzatori biologici, caratterizzati da:
  • peso molecolare elevato;
  • selettività;
  • specificità;
  • operatività in condizioni fisiologiche;
  • facile denaturabilità.
Essi consistono in proteine globulari che svolgono la loro azione con l'ausilio di cofattori enzimatici: la parte proteica è detta apoenzima, la parte non proteica (ioni metallici e/o vitamine) è detta coenzima.

L'attività enzimatica è fortemente condizionata dall'ambiente: valori ottimali di temperatura, di pH e di altri parametri influiscono sulla struttura e sulla funzione dell'enzima.

La molecola riconosciuta dall'enzima, sulla quale esso opera una sola trasformazione, è detta substrato.

Il substrato (S) si lega all'enzima (E) nel sito attivo per dare l'addotto enzima-substrato (ES). Presso il sito attivo avviene la reazione che porta alla formazione dell'addotto enzima-prodotto (EP) e quindi al rilascio del prodotto (P) e dell'enzima che riconosce un altra molecola di substrato e dà il via a un nuovo ciclo catalitico. 

Il numero di cicli catalitici nell'unità di tempo corrisponde al turnover dell'enzima. Il numero di turnover è massimo nelle condizioni ottimali e decresce al di fuori di esse o in presenza di inibitori.

Un inibitore può essere:
  • inibitore competitivo: si lega al sito attivo al posto del substrato (quindi compete con il substrato per il sito attivo);
  • inibitore non competitivo: si lega in un sito diverso dal sito attivo; modifica la forma dell'enzima - quindi anche la forma del sito attivo - e impedisce al substrato di legarsi.
  • inibitore da substrato: un eccesso di substrato non aumenta la velocità massima della reazione catalizzata dall'enzima.
A seconda del tipo di reazione catalizzata, gli enzimi sono classificati in sei classi:
  • idrolasi (reazioni di idrolisi);
  • ossidoreduttasi (reazioni redox)
  • liasi (addizione o eliminazione con formazione di doppi legami C=C)
  • ligasi (condensazione di piccole molecole con formazione di molecole più grandi e consumo di energia)
  • transferasi (trasferimento di gruppi funzionali)
  • isomerasi (isomerizzazione di molecole); 
Lo sfruttamento di reazioni catalizzate da enzimi è antichissimo e coinvolge la fabbricazione di birra, vino e altre bevande alcoliche; la levitazione del pane, la preparazione dei formaggi, etc.
Solo agli inizi del XIX secolo si è cominciato a studiare scientificamente questi fenomeni. Kirchoff aveva osservato l'idrolisi dell'amido prima ad opera di acidi diluiti e poi di un estratto di frumento, dal quale Payen e Persoz isolarono la diastasi nel 1833. Tre anni più tardi, Schwann isolò la pepsina dal succo gastrico e riconobbe la sua azione nella digestione delle proteine. Nello stesso anno, Berzelius introdusse il termine catalisi e intuì che anche l'azione degli enzimi dovesse essere inclusa tra i fenomeni catalitici.
Negli anni successivi, Pasteur e altri osservarono che il lievito non era una sostanza ma un organismo vivente costituito da cellule. Da esse, Berthelot isolò l'invertasi (1860), sostanza capace di eseguire l'inversione del saccarosio. Kuhne, scopritore della tripsina, introdusse il termine enzima (= "nel lievito") per indicare tutte le sostanze biologiche con azione catalitica. Buchner osservò che gli enzimi mantengono le loro proprietà catalitiche anche al di fuori del contesto cellulare e studiò la zimasi - che catalizza la fermentazione alcoolica.
Nel 1913 Michaelis e Menten quantificarono l'attività degli enzimi, descrivendola con un'equazione che porta il loro nome.
Tra il 1925 e il 1935, Sumner cristallizzò e caratterizzò ai raggi X l'ureasi; Northrop e Kunitz fecero altrettanto con pepsina, tripsina e chimotripsina. I dettagli del ciclo catalitico di questi enzimi furono descritti da Robert M. Stroud negli anni Settanta. Ogni singolo passaggio, che coinvolge reazioni semplici, è giustificato attraverso le leggi generali della Chimica Organica: attacco nucleofilo, attacco elettrofilo, addizione o eliminazione di piccole molecole (acqua, ammoniaca), etc.

mercoledì 4 aprile 2018

BEAUMONT, PROUT, SCHWANN E BERNARD




L'interesse della medicina per la digestione ha le sue radici nell'antica Grecia. Le spiegazioni date includevano considerazioni sul calore dello stomaco, sulla putrefazione, sulla macinatura e sulla fermentazione.

Agli anatomici del Medioevo (cfr. ad esempio l'opera di Guido da Vigevano, XIV secolo) risale una prima descrizione del tubo digerente e la sua divisione in bocca, esofago, stomaco, intestino tenue e intestino crasso.

Alessandro Benedetti (1450-1512), medico e professore a Padova, descrisse le pieghe della mucosa gastrica nella sua opera Anatomicae sive de historia corporis humani, datata 1497.

I medici del Rinascimento attribuivano all'apparato digerente l'origine delle basse passioni dell'uomo, forse spinti da una visione "morale" dell'anatomia e soprattutto dal dibattito teologico e dalle considerazioni paoline sulle passioni della gola e del ventre: erano gli anni della Riforma protestante e del Concilio di Trento. Erano gli anni in cui Paracelso già concepiva la digestione come una trasformazione chimica.

Nei secoli XVII e XVIII, le conclusioni dei "filosofi naturali" generarono un grande dibattito tra coloro che interpretavano la digestione come un processo chimico e coloro che insistettero sul fatto che si trattasse di un processo meccanico e macinante. 

Jan Baptiste van Helmont (1579-1644), aveva proposto che un'azione chimica digerisse il cibo per fermentazione.

Il francese René de Reaumur (1683-1757) e l'italiano Lazzaro Spallanzani (1720-1799) hanno sperimentato non solo su animali e uccelli ma anche su loro stessi, ingerendo tubicini metallici bucherellati ripieni di cibo oppure spugnette legate a un cordino di canapa (per poter agevolmente recuperare i succhi gastrici) e hanno sostenuto che la digestione era chimica. Tuttavia, i vitalisti ridicolizzarono le loro idee, sostenendo che in nessun modo i processi fisiologici umani potevano essere descritti in termini così non spirituali: tali termini contraddicevano la credenza secondo la quale essi (i processi fisiologici) erano sostenuti da una "forza vitale" propria (esclusiva) della materia vivente.

A cavallo del XIX secolo, i ricercatori europei erano sempre più interessati alla digestione e aspre polemiche infuriarono a proposito, specialmente in Francia. In un noto libro di fisiologia, il professore francese François Magendie (1783-1855) sosteneva che il succo digestivo non era un solvente e che qualsiasi presenza di acido nello stomaco era causata dalla decomposizione del cibo o dalla saliva. L'argomento fu così intenso, durante gli anni Venti, che l'Accademia delle Scienze francese sponsorizzò un concorso per fare luce sul processo di digestione negli animali.

In questo momento storico, la medicina negli USA non era certo al passo con il progresso nel dibattito europeo e, di conseguenza, nessuno dei principali ricercatori americani ha dato un contributo significativo ad esso, almeno fino al 1822.
WILLIAM BEAUMONT (1785-1853). Il 6 giugno 1822, William Beaumont, un medico militare, fu chiamato in un negozio di pellicce a Mackinac Island, nel Michigan, per soccorrere un cacciatore canadese che era stato colpito a distanza ravvicinata. Beaumont non avrebbe potuto immaginare che la chiamata gli avrebbe dato l'opportunità di cambiare il corso delle conoscenze sulla digestione, oltre a portare un importante contributo allo sviluppo della medicina sperimentale.
Lo sparo aveva creato una ferita grande quanto la mano di un uomo nella zona addominale e, nonostante il grande sforzo per chiuderla, lasciò un buco nello stomaco, chiamato tecnicamente fistola gastrica.

Beaumont pensò che sicuramente il suo paziente, Alexis St. Martin, sarebbe morto, ma entro l'anno si riprese e stava bene - con il buco aperto ancora nello stomaco. Beaumont colse l'occasione per guardare direttamente nel suo stomaco e osservare il suo movimento. Poteva versare cibo e bevande e analizzare le trasformazioni del contenuto. Beaumont assunse St. Martin come assistente in modo da continuare i suoi esperimenti.



WILLIAM PROUT (1785-1850). Nel frattempo, in Inghilterra, William Prout, medico e farmacista, indagò sui succhi gastrici degli animali con esperimenti brillanti. Nel 1824 estrasse i succhi gastrici e dimostrò che contenevano acido cloridricoQuando pubblicò il suo lavoro, i suoi contemporanei non potevano credere che un acido così forte potesse esistere nello stomaco degli organismi senza causare danni. Tuttavia, tale fu la credibilità di Prout che nel 1827 accettarono le sue ricerche sulla digestione.
Prout divise il cibo in categorie: acqua, carboidrati, grassi e proteine. Mentre molte delle sue idee erano basate sulla speculazione, pubblicò un'analisi della classe dei saccaridi o dei carboidrati. I nutrizionisti oggi usano ancora le sue classificazioni.
Beaumont, in America, non era a conoscenza della controversia e dell'interesse per la digestione in Europa. Tuttavia, aveva accesso a uno stomaco umano vivente e poteva andare oltre l'immaginabile. Sebbene non avesse molta esperienza come ricercatore, Beaumont era un attento osservatore, scriveva nei suoi diari e procedeva in modo ordinato.
Il 1° agosto 1825 iniziò i suoi esperimenti controllati sospendendo manzo cotto, manzo salato, maiale salato, carne bovina cruda, carne in scatola, pane raffermo e cavolo nello stomaco con corde di seta e chiudendo il buco con una benda. Dopo un paio d'ore Beaumont osservò il modo in cui ogni oggetto stava digerendo e registrò attentamente le sue osservazioni.

Trascorso qualche tempo, come ci si poteva aspettare, St. Martin si stancò del suo ruolo di cavia umana e continuò saltuariamente a sottoporsi alle osservazioni del medico. 



Nel 1833 Beaumont pubblicò le sue scoperte nel libro The Experiments and Observations of the Gastric Juice and Physiology of Digestion.
Dopo aver eseguito circa duecento esperimenti per un periodo di circa dieci anni, Beaumont elencò una cinquantina di conclusioni riguardanti la natura chimica della digestione:
  • lo stomaco secerne succo gastrico da pieghe nel rivestimento;
  • il succo gastrico era l'agente di rottura chimica;
  • il rivestimento interno dello stomaco è di colore rosa pallido, coperto da una mucosa che cambia aspetto quando è malata;
  • l'alcol provoca infiammazione (gastrite) al rivestimento dello stomaco;
  • lo stomaco si muove lateralmente e su e giù per agitare il suo contenuto;
  • le verdure erano meno digeribili di altri alimenti;
  • il latte si coagula precocemente nella digestione.
Beaumont aveva rivelato così sullo stomaco assai di più di quanto non fosse stato conosciuto prima. Ha ottenuto riconoscimenti sia in Europa che negli Stati Uniti. Notò anche un fattore importante che non capiva del tutto. Era presente una sostanza sconosciuta che i ricercatori negli Stati Uniti non potevano identificare a causa della mancanza di conoscenze approfondite in chimica organica - al tempo, un campo di dominio quasi esclusivo della scienza tedesca. Toccò infatti a un tedesco venirne a capo.
THEODORE SCHWANN (1810-1882), che lavorava con il famoso fisiologo Johannes Mueller (1801-1858) a Berlino, si interessò allo studio dei processi digestivi e isolò una sostanza dallo stomaco che era distinta dall'acido cloridrico. Chiamò quella sostanza pepsina. Questo risultò essere il fattore sconosciuto di Beaumont. La pepsina, il primo enzima preparato da un tessuto animale, opera in ambiente acquoso acido per idrolizzare le proteine a peptoni.



Successivamente, Schwann scoprì la natura muscolare dell'esofago, notando che conteneva muscoli striati e fungeva da tubo per spostare il cibo dalla bocca allo stomaco. Fu anche il primo a usare il termine metabolismo per descrivere i cambiamenti chimici nei tessuti viventi e fu pioniere anche nell'applicare l'idea della teoria cellulare agli animali.
CLAUDE BERNARD (1813-1878), celebre fisiologo francese, sviluppò invece un precoce interesse per la digestione mentre lavorava come assistente del già citato François Magendie e si laureò con la tesi Du suc gastrique e de son role dans la nutrition (1843).

Affascinato dalla ricerca di Beaumont, Bernard replicò le fistole gastriche negli animali. Sua moglie e sua figlia, insieme ad altri animalisti (non è un fenomeno solo contemporaneo, quello della difesa degli animali contro il loro uso nella sperimentazione), si opposero fermamente ai suoi esperimenti su creature vive.



Bernard scoprì il ruolo del succo pancreatico nella digestione, a proposito dell'idrolisi dei trigliceridi in acidi grassi e glicerolo. Mentre la maggior parte della ricerca precedentemente convergeva nell'attribuire l'intero processo digestivo allo stomaco, Bernard mostrò che l'intestino tenue era l'organo principale del processo. Più tardi, rilevò anche i nervi che lo controllano.
Il suo interesse sperimentale per il pancreas ha portato poi anche a chiarire il ruolo del fegato nella digestione e nella glucogenesi. 

Bernard ha isolato il glicogeno, un polimero del glucosio, e ha determinato che esso è prodotto dal fegato come riserva di carboidrati e quindi rilasciato per mantenere un livello costante di zucchero nel sangue. 
In seguito si scoprirà il ruolo dell'insulina, del glucagone e di altri ormoni nella regolazione del glucosio ematico, come conseguenza di ricerche sul diabete ad opera di Joseph von Mering (1849-1908) e Oscar Minkowski (1858-1931).

IN BREVE. Il lavoro di questi quattro uomini (Beaumont, Prout, Schwann e Bernard) ha posto le basi per la comprensione della digestione e il trattamento delle numerose e complesse malattie associate al tubo digerente.

L'americano William Beaumont (1785-1853) osservò per la prima volta il funzionamento dello stomaco di una persona vivente in un paziente con una ferita da arma da fuoco che non guarì.

L'inglese William Prout (1785-1850) dimostrò che l'acido cloridrico era contenuto nel succo digestivo.

Il fisiologo tedesco Theodor Schwann (1810-1882) scoprì la pepsina, l'enzima responsabile della digestione nello stomaco.

Il ricercatore francese Claude Bernard (1813-1878) scoprì i ruoli del pancreas e del fegato nella digestione e dimostrò che l'organo principale della digestione non era lo stomaco ma l'intestino tenue.

Entro la fine del secolo i risultati raccolti permettevano di affermare che la digestione non si verifica solo nello stomaco, ma è un processo complesso che inizia con la saliva in bocca e coinvolge l'intero tratto digestivo.
(liberamente tratto da E. B. KELLY, Human digestion studied by William Beaumont, William Prout, Theodore Schwann and Claude Bernard con aggiunte personali del blogger)