La benzina è il carburante maggiormente richiesto dal mercato: dalla semplice distillazione primaria del greggio se ne ricava poca.
Per questo, conviene rompere le grosse molecole che costituiscono i gasoli nelle molecole più piccole che costituiscono la benzina: inizialmente ciò era compiuto grazie all'azione del calore e il processo prese il nome di cracking termico.
Questo vecchio documentario a stelle e strisce, dai toni trionfalistici ed entusiasti, ci introduce al tema di questo post.
Per questo, conviene rompere le grosse molecole che costituiscono i gasoli nelle molecole più piccole che costituiscono la benzina: inizialmente ciò era compiuto grazie all'azione del calore e il processo prese il nome di cracking termico.
Questo vecchio documentario a stelle e strisce, dai toni trionfalistici ed entusiasti, ci introduce al tema di questo post.
Sembra che William Merriam Burton
(1865-1954), dipendente (e poi presidente) della Standard Oil di Whiting, sia
stato il primo chimico a realizzare il processo di cracking termico per
trasformare il gasolio in benzina.
La possibilità di compiere questa
operazione fu intuita già da Thorpe nel 1872, il quale osservò che le frazioni
pesanti del petrolio, portate ad alta temperatura, davano un gas ricco di
olefine liquefacibili.
Burton invitò Robert Humphrey, un
dipendente del laboratorio interno alla raffineria, a lavorare sul tema:
Humphrey, dopo innumerevoli prove, trovò che operando ad alta temperatura e a
elevate pressioni, si otteneva un'alta resa in idrocarburi da sei a dieci atomi
di carbonio - il range degli idrocarburi che costituiscono la benzina.
Gli idrocarburi ottenuti,
separati dalla fase gassosa che li accompagnava e dalle frazioni pesanti non
crackizzate, erano in larga parte insaturi: bruciando, danno un notevole
residuo fuligginoso, ma poco importava - almeno un secolo fa: oggi invece importa,
eccome !!! Le olefine, col tempo, polimerizzano e i prodotti ottenibili aumentano la viscosità del carburante.
Burton, che si attribuì
interamente il merito dell'invenzione (senza condividerlo con Humphrey, il
quale svolse tutta la parte sperimentale), fu in realtà preceduto dai chimici
russi Vladimir Shukhov e Sergej Gavrilov, che brevettarono un processo simile
il 27 novembre 1891 - mentre il brevetto di Burton è del 7 gennaio 1913: lo
stesso anno di Lebedev, Bergius, Haber-Bosch... anno fortunato, per la chimica
industriale!
I russi ingegnerizzarono il
processo a Baku, sulle rive del Mar Caspio, presso il quale tuttora si
ritrovano immensi giacimenti di petrolio e di gas naturale (attorno ai quali, da anni, si stanno combattendo sanguinose guerre finanziate dagli USA, in Afghanistan, in Iraq, in Siria, sul Caucaso, in Ucraina...).
Tanto il brevetto di Burton che
quello di Shukhov “caddero in disgrazia” quando il genio di Eugene Houdry
inventò il cracking catalitico, che contempla l'uso di opportuni catalizzatori e limita la formazione di composti insaturi,
migliorando invece la resa in benzine ad alto numero di ottano.
Nel 1937 la Sun Oil inaugurò una
“Houdry-Unit” nella sua raffineria a
Marcus Hook (Pennsylvania) per produrre benzina ad alto numero di ottano – Blue
Sunoco.
Dal 1942, quattordici impianti
con catalizzatore a letto fisso furono attivati per la produzione di benzina
avio ad alto numero di ottano, destinata all’aviazione militare.
Una limitazione del processo
Houdry era il deposito di coke sul catalizzatore, che richiedeva che l’unità
fosse fermata durante la combustione del coke in un ciclo di rigenerazione.
Warren K. Lewis e Edwin R.
Gilliland del MIT, consulenti della Standard Oil (ora Exxon Mobil), risolsero
il problema sviluppando il convertitore catalitico a letto movente, nel quale
il catalizzatore circola tra due enormi recipienti, il reattore e il
rigeneratore.
Lo stesso processo
Houdry - che utilizzava dei catalizzatori a letto fisso, immobili su opportuni
supporti - fu così superato da un cracking a letto fluido, ove idrocarburi e
catalizzatore finemente suddiviso circolano intimamente miscelati nel reattore
e sono separati all'uscita: gli idrocarburi crackizzati vanno alla colonna di
frazionamento mentre il catalizzatore è inviato al rigeneratore, che lo
restituisce pronto e caldo per un nuovo ciclo.
Le soluzioni ingegneristiche furono diverse:
- nel TCC (Thermofore Catalytic Cracking) il catalizzatore è in forma di sferette; il processo godette di una certa fortuna anche in Italia, ove fu installato in diverse raffinerie, come a Cortemaggiore, a Trieste (nella foto sotto), a Napoli e in altre;
- nel FCC (Fluyd Catalytic Cracking) il catalizzatore è in polvere e, nelle soluzioni più moderne, comprende una opportuna zeolite acida.
Particolare dell'impianto TCC della Raffineria di Trieste. |
Un semplice esperimento che riproduce su scala di laboratorio il principio del cracking catalitico è raccontato nel seguente video, in inglese, opera di un dottorando del Politecnico di Milano:
Il cracking termico di Burton
tornò tuttavia “di moda”, con alcune modifiche, quando crebbe la richiesta di
olefine (etilene, propilene) per fabbricare polimeri (polietilene,
polipropilene).
Agli idrocarburi da crackizzare è
aggiunto vapore acqueo, che limita la formazione di coke e diluisce in modo uniforme il calore: la miscela è portata
a 900°C per un decimo di secondo e poi raffreddata bruscamente (quenching).
Si formano così idrogeno, metano,
monossido di carbonio, etilene, etano, un po' di acetilene, propilene, propano
e idrocarburi a quattro, cinque o sei atomi di carbonio (anche benzene), i quali sono poi frazionati in un lungo e complicato processo che sfrutta le proprietà
fisiche dei vari tagli: solubilità, punto di ebollizione, punto di fusione,
etc.
abbastanza interessante
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