Nel petrolio greggio, lo zolfo si trova come tale, sottoforma di
acido solfidrico, di mercaptani e di solfuri, di tiofene e di altri composti: deve essere eliminato e oggi la tecnologia mette a disposizione dei processi a cui avevo accennato più diffusamente QUI qualche mese fa, quando ho presieduto una conversazione sull'argomento presso l'AUSER di Ponte nelle Alpi.
L'eliminazione dello zolfo è condotta oggi mediante il trattamento con idrogeno (hydro-treating) delle miscele contenenti composti solforati in opportune condizioni. Si formano idrocarburi e
acido solfidrico; ad esempio:
H2 + R-SH -> H2S + RH
L'acido
solfidrico ottenuto è fissato mediante un lavaggio alcalino: all'uopo si utilizzano soluzioni basiche - di NaOH oppure etanolammine - che sono poi rigenerate e riciclate.
In fasi
successive, dall'acido solfidrico è possibile recuperare zolfo elementare (attraverso il Processo Claus: QUI) e
sintetizzare acido solforico.
Il trattamento con idrogeno (in presenza di catalizzatori) permette di eliminare anche azoto, ossigeno, metalli e di saturare i doppi legami C=C di eventuali olefine presenti; ha tuttavia lo svantaggio di consumare molto idrogeno.
L'importanza di avere a disposizione tagli petroliferi esenti da composti solforati fu avvertita fin dagli inizi della storia degli impieghi dell'oro nero in epoca moderna.
Questo breve passo da "Il Bel Paese" di Stoppani riassume invece gli usi della lucilìna (cioè il nostro petrolio, chiamato così dall'abate e geologo lombardo perché usato a suo tempo per alimentare i lumi domestici) nell'Antichità:
Il primo pozzo "moderno", scavato da Drake in Pennsylvania, risale al 1859; neanche trent'anni dopo, Hermann Frasch (1851-1914), brevettò un primitivo sistema per eliminare lo zolfo dai petroli, che continuò a perfezionare (tra il 1888 e il 1893), guadagnandosi una certa reputazione nel mondo petrolifero alla fine del XIX secolo.
Come racconta Molinari nel suo "Trattato di Chimica Generale e Applicata all'Industria" (ed. Hoepli, Milano, 1927), Frasch propose dapprima una distillazione dei petroli e dei loro derivati in presenza di ossidi metallici (75% di ossido di rame, 10% di ossido di piombo e 15% di ossido di ferro): gli ossidi saturi di zolfo era poi rigenerati mediante calcinazione.
Successivamente, Frasch introdusse la desolforazione in fase vapore, per la quale i petroli vaporizzati erano fatti passare sulle miscele di ossidi, contenuti in due reattori orizzontali (uno lavorante e l'altro impegnato nella rigenerazione della miscela di ossidi). I vapori uscenti dal reattore erano filtrati su ghiaia per trattenere gli ossidi e quindi condensati in opportuni serpentini.
Frasch passò tuttavia alla storia per il metodo di estrazione dello zolfo, pensato per i giacimenti della Louisiana e ancor oggi impiegato in alcune miniere (Polonia, Cina, Argentina, Bolivia), sebbene quello di provenienza petrolifera domini ormai la quasi totalità del mercato.
Nella foto vedete due campioni di zolfo a confronto (grazie, Giaco...): uno ottenuto in raffineria via Processo Claus (a sx) e l'altro estratto in Polonia con il Metodo Frasch (a dx).
I moderni processi di hydro-treating si possono far discendere tuttavia dagli importanti studi condotti sull'idrogenazione dei combustibili, al fine di produrre carburanti da carbone (Bergius) e da bitumi o da petroli non convenzionali.
La rapida evoluzione dei processi di hydro-treating consegue alla necessità di immettere sul mercato prodotti contenenti zolfo al di sotto dei limiti stabiliti dalle normative ambientali vigenti in diversi paesi, sempre più esigenti.
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