Il risveglio non è stato dei migliori, stamattina.
Da un lato sono andato a letto amareggiato dopo aver visto il film dedicato a Franz Jagerstatter (1907-1943), il contadino austriaco che rifiutò l'arruolamento nell'esercito tedesco e il giuramento di fedeltà a Hitler e che per questo fu ghigliottinato; e soprattutto dopo aver letto un articolo in cui si narrava che, negli anni Sessanta, in Italia, gli obiettori di coscienza al servizio militare, rinchiusi come animali da soma nel carcere di Gaeta, erano costretti a servire i due nazisti ivi detenuti, condannati per essersi macchiati di due efferate stragi - alle Fosse Ardeatine e a Marzabotto. Trovate il testo su Huffington Post a firma di Gianni Del Vecchio, in data 5 settembre 2021: QUI.
Dall'altro mi sono risvegliato con cupi pensieri riguardanti le mie vicissitudini personali: dovrei essere grato del percorso che ho fatto finora e del bene che posso compiere ogni giorno, per quanto modesto, e invece sono rattristato dal fatto che non ho realizzato nulla di quanto desiderassi veramente per la mia vita e sono sfinito dal continuo combattimento contro chi ancora vuol impormi le sue scelte - e tengo a dire che finora non ho realizzato nemmeno queste.
Mi chiedo: davvero ci siamo liberati di quegli dei, di quelle famiglie, di quelle patrie, di quegli ideali mortiferi che tante lacrime e tanto sangue hanno sparso nel secolo appena passato? O ad essi è stato cambiato solamente il nome e il colore dell'uniforme?
Personalmente, non sono turbato da passate aquile, fasci, falci e martelli - o croci d'ogni sorta. Temo, al solito, che il vicino di casa, la lattaia, il tabaccaio o chi altro indossi ancora una divisa (non necessariamente nera o verde oliva) e si senta il super-uomo depositario e paladino di chissà quale verità, in nome della quale schiacciare chi non si allinea, chi dubita, chi pensa altrimenti. E non parlo di pensiero critico, espressione oggi assai infelice che una certa area ci ha insegnato essere sinonima di pensiero unico. Ma di questo ho scritto altrove e non mi ripeto.
Ho come l'impressione che nel cuore dell'Europa il copione si stia ripetendo nuovamente con gli stessi personaggi - sempre in cerca d'autore: la Germania unita, la sua egemonia (un tempo culturale, poi tecnica e militare e ora economico-finanziaria), la follia che anima certe scelleratezze, l'oppressione dei popoli chiamati a salutare nuove bandiere e a schierarsi dalla parte sbagliata ancora una volta.
Sbaglierò io, ovviamente, ma non posso illudermi di poter festeggiare un'autentica liberazione in questa giornata. E allora glisso e ricordo San Marco, la sua città - Venezia, la sua piazza, la sua basilica e il suo campanile: segni di una gloria trascorsa e di una libertà calpestata dalla storia - che per buona pace dei puristi non è affatto maestra di vita. Manzoni ci ricorda come questo titolo spetti unicamente alla Provvidenza, con la maiuscola: ella solo, a quanto pare, sa portare un autentico rinnovamento nel noioso e cruento copione che la miseria degli uomini si ostina a mettere in scena inseguendo falsi dei, vecchie famiglie e piccole patrie.
Mi chiedo infine se la Provvidenza - quella del Manzoni - esista davvero o sia, come scriveva Verga, solamente una vecchia barcaccia che cola a picco col suo carico di lupini, travolta dall'ennesima burrasca.
Per concludere: che m'importa? Insegno che conta ciò che si è, ciò che si fa, ciò che si ha e soprattutto ciò che si dà - cosa, quest'ultima, che andrebbe messa davanti a tutte le altre, in ordine alfabetico e non solo.
Ho visto anch'io quel film non molto tempo fa: bellissimo e poetico per certi versi, ma terribile per altri. La scena in cui il protagonista viene ucciso è di indicibille orrore per il modo in cui un essere umano viene eliminato, come un oggetto che si butta nella spazzatura...
RispondiEliminaDel tuo post poi così amaro su tanti argomenti, è bella però la conclusione!
Grazie, Marco, e buon onomastico!
Buongiorno, Annamaria! Grazie per il commento. Il film è stato trasmesso ieri sera sul canale 28. Per me tutto quel film è terribile e non può non esserlo, visto il contesto storico. Il tema è sempre attuale e credo che le guerre finiranno il giorno che ogni uomo non rinunzi ad esser tale e rifiuti - sempre, comunque e dovunque - di indossare un'uniforme e imbracciare un fucile perché costretto da qualcun altro. Uno è il Signore a cui dire "si" ed è quello che abbiamo ricordato appeso in croce due settimane fa. Per chiudere, una citazione di Don Tonino Bello: "la pace è finita, andate a messa".
EliminaGrazie!
EliminaSe vuoi non pubblicare quello che scrivo. Non mi offendo se non lo fai e non ti spingo a farlo poiché non bramo dal desiderio di "sembrare" saggio a tutti i costi. Ti dico solo cosa penso io. Nel mondo esterno o reale se preferisci, la pace non è mai esistita e mai esisterà. Frutto della pura attività del potere di astrazione dei neuroni, in modo "chiaro e preciso" o come "concetto acquisito, secondario, derivato" esiste solo nel circuiti del binomio cervello-mente di pochi "saggi". Tutti gli altri hanno solo poche, vaghe e confuse idee di cosa sia la "pace" e tendono a scambiarla per ciò che pensano sia giusto a loro parere per il loro tornaconto (l'opposto del dare che andrebbe messo davanti a tutte le altre voci). Da ciò ne deriva tutta quella serie di conseguenze che tu giustamente elenchi. Dai totalitarismi, alle angherie, alle guerre, ai conflitti, agli scontri sull'economia, sulla istruzione e sulla cultura e via discorrendo. Io la vedo in modo molto, ma molto semplice: una grande confusione nella testa di molti e idee chiare nella testa di pochi.
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