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giovedì 15 luglio 2021

Marghera da leggere (I)

La storia industriale di Porto Marghera inizia nel 1917, anno in cui è deciso l'insediamento di stabilimenti e officine per lavorare carbone, metalli (zinco, alluminio), vetro, concimi, refrattari; il primo impianto chimico entra in funzione nel 1921 (quindi cent'anni fa) e in pochi mesi se ne aggiungeranno altri.


Solo in un secondo momento, tuttavia, saranno costruite "le distillerie di petrolio" (come le chiamava mio nonno, con il primo impianto italiano di thermal cracking) e gli impianti per ottenere l'acetilene e gli intermedi per le materie plastiche - attraverso lo steam cracking della Virgin Naphta, di cui dissi QUI. Tra questi intermedi figura il cvm, cloruro di vinile monomero, necessario alla fabbricazione del pvc (polivinilcloruro).

La sintesi del pvc è descritta dal sociologo Gianfranco Bettin in: Petrolkiller (ed. Feltrinelli, 2002). Essa muove dal comune sale marino e comprende quattro fasi

"La prima fase [...] consiste nella scomposizione del sale [...] attraverso un processo elettrolitico che ne trae cloro sotto forma di gas verdastro. [...] In una seconda fase, combinato con idrocarburi, il cloro produce il monomero di cloruro di vinile. In una terza, il monomero diventa resina di pvc e infine, con una quarta trasformazione, diventa uno dei diversi tipi di prodotto finito". (op. cit. p. 37)

Qualche pagina oltre, Bettin evoca pure Dante, che già agli inizi del XIV secolo aveva descritto il lavoro organizzato in modo industriale nell'Arsenale de' Viniziani:


La descrizione dell'Arsenale, ove bolle la tenace pece, è inserita dal Poeta nel canto XXI dell'Inferno, laddove i versi evocano la punizione eterna riservata ai barattieri - ossia a coloro che, avendo un ufficio pubblico, si lasciano corrompere per denaro o per altra ricompensa.


Una buona cronologia della storia della zona industriale (e delle lotte operaie che l'hanno accompagnata) è riportata invece in appendice al graphic novel di Claudio Calia: Porto Marghera - La legge non è uguale per tutti (ed. Becco Giallo).

Gabriele Bortolozzo, operaio dello stabilimento petrolchimico, ha condotto per anni una battaglia affinché venisse detta la verità sui gravi rischi che pesavano sulla salute di coloro che lavoravano in quella fabbrica. Moltissimi suoi compagni di lavoro, addetti alla produzione o alla movimentazione del cvm, sono morti o si sono ammalati di cancro

Il libro Petrolkimiko (ed. 1998), curato da Bettin, presenta alcuni documenti fondamentali dell'inchiesta sulla fabbrica e ne ricostruisce la realtà umana e sociale. 

Sulla ricerca medica che portò a individuare la cancerogenicità del cvm si sofferma in un suo contributo il professor Cesare Maltoni, direttore scientifico della Fondazione Europea di Oncologia e Scienze Ambientali "B. Ramazzini".

Il 2 novembre 2001 il Tribunale di Venezia ha pronunciato una sentenza di assoluzione per i ventotto imputati del processo sul Petrolchimico di Porto Marghera

Sul banco degli imputati c'erano i grandi gruppi della chimica italiana di allora, accusati della morte per tumore di 157 operai e di altri 103 casi di malati, che erano addetti alla lavorazione del cvm e del pvc per la produzione di plastiche. 

In un primo momento, escono sconfitti gli operai e i cittadini che attendevano un verdetto che condannasse la volontaria utilizzazione da parte delle classi dirigenti di sostanze pericolose ed inquinanti. Ma i ricorsi in appello non si faranno attendere e il verdetto allora sarà diverso.

Il processo al Petrolchimico di Porto Marghera e la sua clamorosa conclusione, che ha visto condannati i vertici di Montedison, è un evento che non può e non deve essere dimenticato.


La vicenda è narrata anche in "Le fabbriche dei veleni" (La Toletta edizioni, 2015) da Felice Casson, il magistrato (poi accademico e senatore della Repubblica) che ha aperto le indagini e portato alla condanna dei responsabili: il libro vuole essere nello stesso tempo un punto d'arrivo e di partenza per non far calare il sipario sulla vicenda. 

La determinazione nel difendere tutti noi e il nostro territorio da interessi biechi e altamente pericolosi e la volontà di consegnare alle generazioni presenti e future un esempio di impegno nell'interesse collettivo sono i due aspetti che ci portano a riflettere sull'importanza della partecipazione alla res publica. E a pronunciare una sola parola: grazie.

(continua)

venerdì 26 febbraio 2021

Libero e leggero come... l'etilene!

Quando si dice "Marghera", risuona quella "r" così caratteristica e inconfondibile che è impossibile da dimenticare, per chi l'ha udita almeno una volta: e io l'ho udita ben più di una volta, quella "r", anche in parole amorevolmente veneziane, come "spritz" (o meglio "spriss") e il classico intercalare "ghesboro".

Quando si legge "Marghera", normalmente è per qualche avvenimento connesso alla centenaria zona industriale, della quale molto è stato scritto e sulla quale non mi dilungo: come ogni luogo, anche Marghera ha i suoi poeti, i suoi cantastorie, i suoi fotografi, i suoi storici locali, i suoi studiosi, le sue leggende.

Ho letto in questi giorni il romanzo "Cracking" di Gianfranco Bettin, sociologo noto per i suoi studi e le sue pubblicazioni: è un'opera recente, pubblicata da Mondadori.

Al di là della storia, dei personaggi, delle descrizioni, delle ambientazioni su cui non mi dilungo (lascio al lettore il piacere di scoprire il romanzo, che si legge tutto d'un fiato) ho apprezzato molto il riferimento calcistico a Ivano Bordon - portiere dell'Inter e secondo di Zoff ai mondiali dell'82.

Vi regalo la foto di una pagina (che l'autore mi perdoni): quella dove è evocato l'impianto del Cracking per l'etilene, cuore del petrolchimico a partire dagli Anni Settanta e - per l'epoca - qualcosa di grandioso e di avveniristico.

Quei "pomodori", insieme alle "panoce" e alla "marijuana" sono evocati nel ritornello delle celebre canzone dedicata alla località veneziana dai Pitura Freska: Marghera sensa fabriche sarie pi sana...

L'ultimo pensiero va a un ricordo personale - molto personale - che ci sposta nel tempo a circa vent'anni fa e nello spazio in piazza Campedel a Belluno, presso il tavolino di uno dei tanti bar (ricordo bene quale, ma non importa). 

Ero intento a sorseggiare un caffè con una ragazza con cui mi vedevo allora, studentessa universitaria impegnata in un percorso di tipo tecnico, la quale mi raccontava che la settimana successiva sarebbe andata in visita al Cracking di Marghera come "viaggio d'istruzione" per il corso che stava seguendo. 

La cosa mi sorprese tanto (e anche per questo ricordo particolarmente l'episodio): come si poteva andare in "gita" in un posto simile? Preciso che allora, mentre cercavo di purgarmi da una certa visione delle scienze inculcatami negli anni del liceo, ero impegnato in studi filosofici e teologici: mai avrei immaginato che - molti anni dopo - mi sarei brillantemente laureato in Chimica e che in "gita" a visitare un impianto industriale ci sarei andato pure io (non il Cracking, però), animato da curiosità e rinnovato interesse per il mondo degli atomi, delle molecole e dei catalizzatori - mondo che si rivelò essere ben diverso da quello predicato nel nulla della città di provincia.

Quella fu l'ultima volta che la vidi - specie dopo che il prosieguo del discorso, il quale si era spostato dalla gita al Cracking ad argomenti come matrimonio e quant'altro. 

Fu un vero cracking di un rapporto che mi rese leggero, come l'etilene che si libera quando la virgin-naphta è riscaldata a 900°C per una frazione di secondo, poi raffreddata per subire un lungo e complicato processo di separazione in quella selva di tubi e di colonne che ammirate nella penultima foto sopra - mentre l'ultima è un'immagine aerea opera del caro amico Nicola

Il mio cracking è stato assai più semplice, anche se a quella ragazza - ormai donna - auguro di cuore tutto il bene e la felicità che desidera.