Ezio Bosso (1971-2020): nonostante non mi occupi più di musica da tanto tempo e non abbia più intenzione di occuparmene, spendo due righe per ricordarlo a due mesi dalla morte, in particolare per ricordare una testimonianza che deve far riflettere tutti, specie quando si parla di diritti e di conquiste sociali.
Lui, figlio di un operaio, originario di un quartiere di Torino, Borgo San Donato, ha studiato musica ed è diventato musicista di professione. Sarebbe piaciuto anche a me da adolescente seguire questa strada e per fortuna - lo ribadisco ancora una volta! - che poi ho percorso altre vie: insegnare musica non mi avrebbe appagato come mi appaga invece l'insegnare scienze naturali (e per questo ringrazio ancora e mai smetterò di ringraziare alcuni Docenti, ai tempi dell'Università, che hanno illuminato il mio cammino con il loro esempio e il loro sapere).
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"I figli degli operai fanno gli operai, i figli dei musicisti fanno i musicisti". - Così disse un insegnante a suo padre e diventare musicista fu per lui un atto di ribellione: Ezio Bosso ricordò l'episodio a un giornalista dell'Espresso che lo intervistava. Una frase terribile, classista, che ancora si sente pronunciare nei corridoi delle nostre scuole, nonostante la Costituzione con il suo articolo 3, che afferma:
"Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Purtroppo rammento che una frase simile a quella ricordata dal Maestro la pronunciò per me al liceo un altro insegnante, il quale mi aveva pronosticato un futuro breve e tragico.
"Tu sei un drogato" - mi disse davanti ai compagni di classe: lo disse a me, che non ho mai fumato nemmeno una sigaretta, figuriamoci se ho mai fatto uso di altre cose più pesanti, come comprovano le numerose analisi che feci per altri problemi di salute - "prenderai la patente e morirai dopo tre giorni in un incidente stradale, schiantandoti contro un muro".
Ebbene, io sono qui a raccontare l'episodio, per quanto disgustoso e triste, a distanza di un quarto di secolo: il futuro breve fu suo. L'insigne ed esemplare docente fece la fine che augurò a me: morì un anno e mezzo dopo in un incidente stradale finendo miseramente in fondo a una scarpata. Andai al suo funerale e non per cristiana pietà.
Quel che mi dispiace ancora è l'aver dovuto continuare a frequentare quella scuola. Mio padre non volle sentire ragioni e mi costrinse a finire quel percorso, nonostante mi rifiutassi di frequentare e infatti abbandonai (de facto, non de jure: mi impedì di far domanda di abbandono degli studi) la classe terza a due mesi dalla fine dell'anno scolastico: e ammetto che anche prima facessi di tutto per non frequentare. Mi sentivo morire, arrivavo a scuola e vomitavo la cena della sera prima insieme alla colazione del mattino; e defecavo sangue. Non ero creduto dai miei genitori e nemmeno dal medico di base (meglio lasciar perdere...). Per inciso, la stessa sensazione di nausea la provo adesso, ogni volta che ci passo davanti.
A malincuore sono arrivato alla fine, ho preso il mio diploma con 98/100 e per ripagarmi dell'impegno il babbo mi ha costretto a interessarmi delle sue attività sociali, sperando che prendessi passione di esse, con il risultato che non ne posso sentir parlare, come ovviamente non posso sentir parlare di matrimonio, di famiglia e di molte altre cose gradite al genitore.
Per fortuna poi, ho avuto la forza di impegnarmi in altri ambiti, nonostante l'opposizione familiare. Non mi sono tuttavia realizzato come volevo: e forse ormai non mi importa più. Non ho realizzato nemmeno quello che gli altri si attendevano per me e non darò mai loro soddisfazione.
Per ora ho un lavoro che tutto sommato mi piace e che cerco di svolgere con passione e competenza; ho scoperto la bellezza della solitudine, del silenzio e della Natura, che hanno preso completamente il posto della musica e di un certo modo - che personalmente trovo inutile, vuoto e bigotto - di vivere la religiosità.
Per ora ho un lavoro che tutto sommato mi piace e che cerco di svolgere con passione e competenza; ho scoperto la bellezza della solitudine, del silenzio e della Natura, che hanno preso completamente il posto della musica e di un certo modo - che personalmente trovo inutile, vuoto e bigotto - di vivere la religiosità.
Ognuno faccia quel che gli pare, ma lasciatemi dire che pubblicare sistematicamente sulla pagina personale di un qualsivoglia social il versetto di un salmo, la citazione dello scrittore di moda o la foto dell'ultimo pensiero del cardinale Ravasi sul giornale del mattino non innalza lo spirito, non rende liberi, non santifica la giornata, non purifica la memoria. Ci si illude che sia così.
Ritengo, nel mio piccolo, di non avere affatto bisogno di queste quisquilie e le lascio volentieri a quelle persone miserrime che cercano commiserazione nel raccontare al mondo le tempeste che hanno dentro, quando non si rendono conto dell'inferno che hanno spalancato nel cuore altrui.
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