lunedì 26 luglio 2021

Si stava peggio quando si stava peggio...


Guardando le ambientazioni del celebre film di Ermanno Olmi "L'albero degli zoccoli", girato nel 1978 e trasmesso in televisione anche l'altro giorno, mi viene in mente il paese da cui è originaria la famiglia di mia mamma. 

Tale paese, per come lo ricordo (non ci vado da molti anni), conserva i caratteri rurali in un modo molto più marcato di quello dove abito: spesso vi passavo i fine settimana nella mia infanzia, causando le ire della catechista che non mi vedeva mai a messa la domenica mattina e per questo mi avrebbe ripreso in malo modo il lunedì. 

E infatti a me, da bambino, non piaceva andare al catechismo parrocchiale, ma bisognava anche se ero il figlio del segretario della sezione locale dei socialisti (e, ben s'intenda, socialista io non lo sono, non lo sono mai stato e mai lo sarò). 

Per inciso, mi riconcilierò con il mondo ecclesiale da giovane adulto e infatti una parte significativa della mia formazione umana la devo a un certo percorso - che, come tutti i percorsi nella mia vita, ha avuto un inizio e una fine; e - invece - come nessun altro, mi ha lasciato tanta gratitudine da esprimere, anche se oggi mi occupo di altre cose (non quelle che vorrei, purtroppo).

Premetto che non sono un nostalgico dei bei tempi andati, non sopporto il ritornello "si stava meglio quando si stava peggio" e via discorrendo: quindi, caro fruitore del mio blog, puoi non condividere la mia posizione e - se vuoi impormi la tua a tutti i costi - non proseguire con la lettura, passando oltre.


Trovo doveroso conservare la memoria del mondo contadino antecedente la meccanizzazione agricola, delle usanze e delle credenze: per questo esistono i musei etnografici, i gruppi di studio e molte benemerite associazioni di antichi mestieri et similia.

Tuttavia, siamo onesti, quanti di noi oggi vivrebbero in case senza acqua corrente, senza riscaldamento, senza servizi igienici? Andate a fare i bisogni nella concimaia in una piovosa notte di un freddo novembre e poi ne parliamo: a me capitò da ragazzino di trovarmi in una simile situazione (ero fuori casa), con dei dolorosi crampi addominali e la scarica che capitò in piena notte. Fuori pioveva e dovetti scendere in cucina, prendere la chiave del bagno esterno (una turca incrostata, con un rudimentale sciacquone), arrotolare le braghe del pigiama fino al ginocchio, attraversare il cortile sotto l'acqua scrosciante trattenendo la massa fecale semiliquida e maleodorante. Ovviamente non c'erano il bidet e nemmeno la carta igienica...


A proposito di digestione, proviamo a pensare quanti sopravvivrebbero oggi con un'alimentazione mancante di molti principi nutritivi: basti pensare alle avitaminosi (pellagra, rachitismo, scorbuto, anemia perniciosa...), un tempo assai diffuse anche da noi e attualmente piaga di molti paesi in via di sviluppo. 

Certo, non dobbiamo dimenticare che, nel mondo tecnologicamente avanzato, oggi siamo ipernutriti e soffriamo le conseguenze di ciò (obesità, ipertensione, diabete di tipo II, etc.), ma personalmente sono dell'opinione che sia meglio avere una dispensa ben rifornita piuttosto che correre il rischio di non averla affatto. E sarebbe bene trovare il modo di condividere l'eccesso di cibo - spesso gettato nella spazzatura - con chi non ne ha: ma questa è un'altra questione.


E poi la sana vita all'aria aperta: camminando senza calzature chiuse in mezzo al fango (quanto era facile contrarre le parassitosi da nematodi), vicino a zone paludose (infestate da zanzara anofele, vettore attivo della malaria), vivendo in promiscuità con gli animali (che potevano scambiare con l'uomo agenti patogeni, cause di patologie anche gravi: dall'antrace all'echinococco...), senza profilassi per il tetano o per la difterite (il vaccino sarà reso obbligatorio in Italia a partire dal 1939), senza antibiotici, senza disinfettanti, senza sapone, senza la possibilità di farsi una doccia o un semplicissimo bagno (se non in una tinozza con acqua messa a scaldare in una pentola sulla stufa a legna: e non di certo tutti i giorni).


E poi quelle camere da letto "collettive", dove l'inevitabile promiscuità poteva favorire una serie di situazioni spiacevoli, sia dal punto di vista sanitario, sia morale (e qui mi fermo). 

Riflettiamo: quanto siamo fortunati, oggi, ad avere una stanza con il nostro letto, il nostro comò, le nostre cose riposte in ordine nel nostro armadio. O lasciate in giro nel nostro disordine personale, senza che nessuno vi inciampi perché nella nostra stanza ci entriamo solo noi.

Guardate poi le piccole finestre delle case; le piccole stanze, forse imbiancate con un po' di calcina, con l'odore di muffa... certi ambienti mi fanno ammalare di tbc solo a guardarli. Personalmente sono felice di vivere oggi, almeno per nutrizione, igiene e istruzione. E anche per una certa libertà che una volta, quando si stava meglio anche se si stava peggio, non c'era. 

Una volta, alla mia età - se vi giungevo perché non ero morto in guerra a vent'anni o sul lavoro poco più vecchio - avrei rischiato di sviluppare la tubercolosi e di essere prossimo a morire. Entrambi i miei nonni paterni la contrassero alla fine degli anni Quaranta: mia nonna fu curata nell'ospedale di Belluno con il PAS (acido para-ammino-salicilico), mentre mio nonno fu curato nei sanatori di Gorizia e di Como con la streptomicina (una novità per quel tempo: il farmaco era stato scoperto appena qualche anno prima negli Stati Uniti).

Una volta, alla mia età, sarei dovuto essere sposato (rigorosamente in chiesa con rito religioso) da oltre vent'anni, non importa se per amore, per convenienza o per un contratto impostomi dalla famiglia. Altrimenti sarei stato bollato spregiativamente come un artelùs.
Sarei stato padre di molti figli, buona parte dei quali li avrei visti morire bambini: mia nonna paterna ebbe cinque figli e ne vide arrivare all'età adulta solamente due.


Concludo con una foto a colori, dopo tanto grigiore. L'edificio (di proprietà) che vedete al centro è il vecchio molino dove è cresciuta mia mamma, che risale alla fine del XVI secolo. Da più di mezzo secolo l'impianto del molino è stato dismesso e la ruota idraulica che lo animava è stata smantellata: vive ancora nei ricordi di mia mamma, che da bambina l'ha vista funzionare. Le pietre da macina sono sepolte sotto il pavimento del seminterrato.

Quel signore che intravedete seduto sotto il portico, in questa vecchia foto di google-street, era mio nonno materno Mario, l'ultimo mugnaio. Molti anni fa i ricordi relativi alla sua vecchia professione sono stati raccolti da un ricercatore che li ha presentatati nel corso di alcune serate dedicate ai molini ad acqua. Qualche informazione in più: QUI.

3 commenti:

  1. Molto interessante. Anche se nella vita ti occupi di chimica e scienze, secondo me, nell'animo sei uno storico a 360 gradi!

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    1. Nella vita insegno (tento di insegnare) Scienze Naturali; sono "chimico" (virgolette d'obbligo) di formazione ma non di professione; amo molto di più le Scienze della Vita e, se potessi tornare indietro, studierei più volentieri Farmacia (non è detto che non lo faccia andando avanti, ma non a breve). Il resto è qualcosa in più. Non posso essere ritenuto uno "storico"; assomiglio più ad un "antropologo" (anche se son ben lungi dall'esserlo, non voglio offendere una categoria alla quale non appartengo per formazione e per professione). Grazie per il passaggio e per il commento.

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