domenica 13 dicembre 2020

Raimondo Franchetti, esploratore della Dancalia


Il video in apertura racconta la straordinaria impresa di Raimondo Franchetti (1889-1935), il nobiluomo che nel 1929 esplorò la Dancalia. Fu preceduto nell'impresa da Giuseppe Maria Giulietti (1847-1881), che morì durante la spedizione per mano di autoctoni; lo stesso Franchetti ribattezzerà con il suo nome il lago presso il quale ritrovò i resti. Tale lago è conosciuto anche come Lago Afrera o, in lingua Afar, come Egoghi Bad


Tra l'impresa di Giulietti (1881) e quella di Franchetti (1929) vanno ricordati i tentativi di Vinassa e Cavagnari (1920) e di Nesbitt, Pastori e Rosina (1928), che tante conoscenze apportarono sulla mineralogia e sulla geologia di quei territori. 


A 21' circa, il video mette in evidenza una particolarità che mi affascina moltissimo: il laboratorio da campo, allestito in una tenda, per compiere delle analisi in loco.


Nel deserto di Dallol c'era una comunità mineraria dove - prima dagli italiani e successivamente da una società statunitense - erano estratti sali di potassio. L'industria operò fin dal primo Novecento; il sito fu abbandonato negli anni Sessanta

L'ambiente estremamente aggressivo, per le condizioni proibitive (elevata temperatura e alta salinità), ha contribuito a un rapido declino degli edifici e degli impianti: la città e la fabbrica, con quanto rimane di una ferrovia leader per l'Eritrea, sono oggi ridotte a poco più di un mucchio di macerie e di ruggine. Guardate QUI se non volete accontentarvi di questo scatto dal web (clikkate per ingrandire)...


Un bell'articolo di Eitan Haddok illustra, con tante foto significative, come in quella zona così inospitale si stia in realtà formando un nuovo oceano: "un evento raro che pochi scienziati hanno avuto la fortuna di osservare". 

L'articolo, che possiamo leggere sul mensile "Le Scienze" del dicembre 2008 [pp. 90-97], si conclude evidenziando come "questa spettacolare trasformazione geologica, già in corso da milioni di anni, si concluderà quando le acque del Mar Rosso inonderanno la regione". 


Già ne avevo accennato QUI, ma in futuro ci ritornerò ancora: quelle pozze di acqua acidissima, quelle fumarole, quell'anidride solforosa, quei depositi di sale e di ossidi di ferro che dipingono il paesaggio di bianco, di giallo, di ocra e di bruno mi ricordano tanto una certa e intrigante ipotesi di Charles Darwin: è un'associazione tutta mia, piuttosto fantasiosa, che però mi affascina tantissimo.

Scrivendo una lettera indirizzata all'amico J.D. Hooker, Darwin parlava di un ''piccolo stagno caldo'' come possibile contenitore di quel brodo primordiale in cui si sarebbero formati i primi organismi viventi.

Una decina di anni fa, dopo oltre un secolo dalla lettera di Darwin, alcuni ricercatori dell'università tedesca di Osnabruck, coordinati da Armen Mulkidjanian, hanno trovato alcuni indizi che sembrerebbero sostenere questa teoria: il link all'articolo originale potete trovarlo QUI


Tutto ruoterebbe intorno all'importanza di elementi come potassio, fosfato, zinco e sodio, non presenti negli antichi oceani nelle opportune concentrazioni ma contenuti invece negli stagni generati dalla condensazione di vapori di origine geotermica

La composizione chimica di questi gas provenienti dal sottosuolo ed emessi da fenomeni vulcanici sarebbe infatti molto simile a quella presente ancora oggi in alcuni ambienti biologici, i quali porterebbero così ancora l'impronta dell'ambiente in cui si sarebbero sviluppati.

Gli autori dello studio concludono quindi che la condensazione dei vapori di origine geotermica, se combinata con la presenza di adatti minerali del suolo, avrebbe potuto dar luogo all'ambiente ideale per la nascita delle prime unità viventi

Il contesto ideale dove ciò può avvenire è costituito da piccole pozze, come quelle (quindi, voglio precisare, "non necessariamente quelle") che si trovano nel deserto del Dallol o similari.

''In questo scenario - si legge nello studio - l'oceano sarebbe stato invaso dalla vita solo in un secondo momento'', quando cioè tali unità si sarebbero dotate di membrane meno permeabili e attrezzate con particolari proteine capaci di funzionare come cancelli o, meglio, come vere e proprie pompe per selezionare le sostanze da fare entrare all'interno, così da generare e mantenere all'interno un ambiente diverso da quello circostante.

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