lunedì 24 settembre 2018

Curiosità sulla gomma (e cenni sugli elastomeri)


Il caucciù è un lattice naturale ottenibile da oltre trecento piante dei territori tropicali, tra le quali spicca per importanza l'Hevea brasiliensis. Dal bacino del Rio delle Amazzoni, dove è originaria, questa pianta è stata poi diffusa in diverse regioni e da essa si ricavano i nove decimi di tutta la gomma naturale prodotta al mondo.

La gomma naturale è un materiale appiccicoso e maleodorante: chimicamente è un polimero dell'isoprene (2-metil-1,3-butadiene), idrocarburo di formula bruta C5H8. Lasciamo perdere l'isomeria cis-trans (anzi: Z - E) che distingue la gomma dalla guttaperca e ripercorriamo brevissimamente la storia di questo materiale.

Il primo a trovarne un impiego "di massa" fu Joseph Priestley, nel 1770, quando notò che esso, per abrasione, riusciva a rimuovere i segni di matita: to rub, in inglese, significa strofinare e l'oggetto di gomma usato per cancellare la matita strofinando il foglio fu chiamato rubber.

Nei primi anni dell'Ottocento, lavorare la gomma era ancora difficile: diventava molle e appiccicosa alle alte temperature e dura alle basse. 

Thomas Hancock inventò un masticatore a cilindri concentrici che rendeva la gomma idonea ad assorbire solventi ed additivi; la gomma in soluzione fu impiegata per realizzare tessuti impermeabili e fili elastici.

Charles Goodyear, ossessionato da questo materiale "del futuro", si arrabattava nel tempo libero in esperimenti su esperimenti per migliorarne le caratteristiche. Conduceva i suoi esperimenti in cucina, con il disappunto della moglie. 

1839, febbraio: in una giornata ideale per sperimentare, Charles attese l'uscita della moglie per mettersi a trafficare con reagenti e pignatte, ma la moglie rincasò prima del previsto. Per non farsi cogliere a compiere esperimenti di chimica vicino ai fornelli, Charles infilò frettolosamente nel forno il miscuglio di gomma e zolfo al quale stava lavorando. 
Il forno fu acceso (era pieno inverno...) e il giorno dopo, quando la moglie uscì di casa, Charles recuperò un materiale flessibile e resistente, elastico, insensibile alle variazioni di temperatura, impermeabile all'acqua, facilmente lavorabile e adatto per la preparazione di oggetti di vario tipo.


Casualmente, Goodyear aveva scoperto la vulcanizzazione: un processo che consiste nell'aggiunta alla gomma naturale di zolfo e di altri additivi, seguito da una fase di riscaldamento della miscela per migliorarne le qualità fisiche.  

Goodyear tardò nel chiedere il brevetto e fu anticipato da Hancock. Quando morì nel 1860, lasciò un'ingente quantità di debiti alla famiglia. 

Nel 1898, l'imprenditore Frank A. Seiberling, per la sua azienda che realizzava prodotti in gomma, scelse il nome Goodyear per ricordare lo sfortunato inventore, tanto tenace quanto poco dotato di senso per gli affari.

Intanto, a Milano, da sedici anni era in funzione lo stabilimento fondato dall'ingegner Giovanni Battista Pirelli per produrre oggetti in caucciù vulcanizzato: pneumatici per moto, automobili, biciclette; cavi e quant'altro.


Altrove, nel blog, ho ricordato altri capitoli della storia della gomma:

  • QUI, il trattato di Lebedev (1913), che ottenne la gomma sintetica per polimerizzazione del butadiene (Bu) con il sodio (Na), da cui il nome Buna;
  • la scoperta del copolimero stirene-butadiene, da cui l'acronimo SBR (styrene-butadiene-rubber), da parte di due chimici tedeschi nel 1929;
  • le tecniche di polimerizzazione in emulsione (con iniziatore e tensioattivo), attuate su scala industriale dai tedeschi a Leuna (e anche ad Auschwitz, come racconta Primo Levi in "Se questo un uomo") e dagli italiani a Ferrara, nel complesso industriale della Montecatini, QUI;
  • la nascita dello stabilimento ANIC di Ravenna, nel Secondo Dopoguerra, dove il butadiene era ricavato dal metano (attraverso una serie di intermedi: acetilene, acetaldeide, etanolo) e copolimerizzato con lo stirene nel primo impianto europeo di copolimerizzazione a freddo. Da qui uscì la prima gomma sintetica il 19 novembre 1957.

Altre cose da me ricordate altrove riguardano QUI la scoperta del cloroprene, monomero per la sintesi del neoprene, e QUI la gomma poliuretanica, o PUR, materiale di cui sono fatti svariati oggetti (tra cui i cinturini degli orologi sportivi).


In un prossimo post, dedicherò una parentesi alla gomma butilica e a Giulio Natta, ricordato spesso per il polipropilene isotattico ma meno per gli studi condotti anche su questo importante materiale. 

Al suo genio (e al suo staff) si deve anche la polimerizzazione dell'isoprene in laboratorio per ottenere, grazie ad opportuni catalizzatori, un materiale del tutto simile alla gomma naturale. Correva l'anno 1962 e la scoperta di questa possibilità fu seguita dallo sviluppo di vari processi per produrre industrialmente l'isoprene. 

Ne ricordo uno, in particolare, che muove dalla condensazione di acetilene e acetone in ambiente basico (KOH in ammoniaca liquida), seguita da idrogenazione parziale (da legame triplo a legame doppio), disidratazione - per formare il secondo doppio legame dell'isoprene - e purificazione.




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