Sono seduto nel mio studio, solo, immerso nel silenzio. Dietro a me, lo scaffale imponente dei libri di medicina occupa un'intera parete; alla mia sinistra, il tavolo da lavoro, rigorosamente in disordine, coperto di pipette, barattoli e diverse bottiglie del gingerino riciclate a mo' di beute.
Oltre il tavolo, il vecchio mobile angolare cede sotto il peso dei trattati di chimica: dai testi scolastici a quelli universitari, dai grandi classici ai fascicoli con gli appunti di corsi e conferenze, fino alle ultime novità editoriali apparse recentemente sul panorama divulgativo nazionale.
Nell'angolo opposto, il frigo con le bibite e sopra, appese alla parete, le fotografie degli anni universitari che mi ritraggono con gli amici più cari.
Mi guardo attorno e mi dico fortunato: perché ho uno studio tutto mio dove conservare gli oggetti più preziosi, non tanto sul piano economico, quanto su quello personale. Si tratta di una "fortuna" che sento minacciata e non so spiegare il perché. Forse da un futuro incerto? Forse dal vento politico? Forse da un cataclisma naturale? Un terremoto? Un'alluvione? O forse semplicemente dal tempo che passa contrappuntato alla delusione per alcuni progetti irrealizzati, per taluni irrealizzabili e per altri ancora mai cominciati. Barba e capelli imbiancano sempre più velocemente, denti e articolazioni cominciano a dolere e anche l'appetito viene assai meno, rispetto a un tempo.
In occasione del mio genetliaco, ho riletto per l'ultimo volta quella sorta di inno ai trentenni che Oriana Fallaci ha inserito in "Se il sole muore": l'ho letto la prima volta seduto al tavolino di un bar, a Venezia (presso Santa Marta), il giorno che ho compiuto 30 anni.
Da allora, ogni anno, l'ho ripreso e mi ha sempre riempito di entusiasmo, immaginandomi sulla cima della montagna a contemplare da un lato la strada percorsa in salita e dall'altro quella da fare in discesa per tornare a valle. Innanzi a me, il paesaggio.
Dal prossimo anno sparirà il tre per lasciare il posto al quattro; si comincia a scendere, si lascia la cima - che con mio rammarico non è poi così alta come avrei desiderato e per la quale ho fatto sacrifici, rinunce e ho profuso molto impegno, forse non abbastanza.
Intanto, per uno puzzo troppo da prete, per un altro sono figlio di un socialista (ma socialista non sono e non sono mai stato), per quell'altro è meglio che faccia musica, per quest'altro ho la barba lunga, per troppi sono vecchio, per qualcuno sono ancora giovane, per tanti non ho abbastanza esperienza, per alcuni non ho mai lavorato in vita mia (e questi sono quelli che si riposano portando stanghe e che sgobbano per il piacere di stancarsi, quando invece stancano gli altri con i loro discorsi vuoti e ripetitivi).
Se penso al presente, sono felice: materialmente non mi manca nulla, ho il mio studio nel mio pezzo di casa in campagna, immerso nel silenzio rotto dal canto degli uccelli e dal ronzio di vespe e zanzare. Ho il mio lavoro, che mi piace e che ben si accorda con il mio percorso formativo - anche se la nostalgia del laboratorio c'è sempre e brucia assai: dell'HPLC, del reattore per le carbonilazioni, della bilancia analitica, del capo e della fenilidrossilammina, dell'odore aromatico del nitrobenzene.
Già: perché, qualche anno fa, nel giorno del mio compleanno ho pure presentato il mio lavoro di tesi per la laurea triennale - quello che mi ha fatto innamorare della catalisi, campo a cui avrei dedicato volentieri qualche altro anno di attività. Le cose sono andate diversamente. It doesn't matter.
Alzo lo sguardo, vedo le luci del tramonto rischiarare la finestra della mia stanza e distrarmi dai ricordi e dalle malinconie. Alla fine sento un gran bisogno di dire: "grazie". Non so a chi. Forse alla mamma, che mi ha messo al mondo trentanove anni or sono; forse ad alcune persone significative per la mia formazione (quasi tutte non bellunesi); sicuramente agli Amici, così lontani geograficamente ma sempre presenti nei ricordi e nel Lev - il cuore. Magari il buon don Giacomo, se mai mi riceverà ancora, mi ricorderà anche di ringraziare Qualcun altro, lassù.
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