E' opinione molto diffusa che la vita, e soprattutto la vita intelligente, sia il prodotto di una quantità di circostanze casuali tali che, considerate globalmente, la rendono quasi impossibile.
Anzitutto, l'origine della vita dipenderebbe da una quantità di fattori cosmologici, fra cui la quantità di materia presente nell'universo e tutta una serie di costanti cosmiche, come la massa del protone e dell'elettrone, nonché il ritmo dell'evoluzione stellare. "Noi siamo figli delle stelle", cantava Alan Sorrenti nel lontano 1977...
Per le conoscenze attuali, la vita sarebbe possibile solo in un universo costruito (quasi) esattamente come il nostro, tanto che alcuni (non volendo evocare l'idea di un Dio che ha costruito l'universo proprio per noi) hanno ipotizzato che esistano molti universi, sterili e inconoscibili, e che, se noi siamo qui a riflettere sul nostro universo e sui problemi riguardanti l'origine e l'evoluzione della vita, è perché fra i molti universi ce n'è almeno uno che presenta condizioni favorevoli alla vita, e noi ci troviamo proprio in esso.
Ma anche nel nostro universo, e sulla nostra terra, l'evoluzione ha dovuto fare i conti con molti eventi e circostanze così improbabili che, se dovessimo riavvolgere il film della vita per farlo ripartire da capo, non arriveremmo più all'Homo Sapiens e avremmo un'evoluzione del tutto diversa (è questa, per esempio, l'opinione di Stephen Jay Gould e di Ernst Mayr).
Christian de Duve (1917-2013), citologo e biochimico belga, ha coltivato per tutta la vita il sogno di occuparsi del problema dell'origine della vita sulla Terra. Ha potuto affrontarlo solo in tarda età quando, relativamente libero da obblighi accademici, colmo di energie, di interessi e ricco di un'esperienza scientifica e culturale straordinaria, disponeva di quel tempo libero che gli era sempre mancato. La sua riflessione è stata raccolta in opere come "Polvere vitale" (1998, anno della prima edizione italiana) e "Alle origini della vita" (2005).
De Duve ha avuto una vita lunghissima (è morto a 95 anni, scegliendo l'eutanasia) ricca di importanti traguardi scientifici nel campo della citologia, per i quali ha ricevuto numerose onorificenze e riconoscimenti.
Nel 1974 ottenne il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia insieme ad Albert Claude e George Emil Palade. La motivazione fu la seguente: "per le loro scoperte sull'organizzazione strutturale e funzionale della cellula".
A De Duve è dovuta la scoperta del glucagone, dei lisosomi e dei perossisomi.
Il glucagone è un ormone di natura proteica prodotto dalle cellule alfa delle isole pancreatiche: contribuisce ad aumentare la glicemia, svolgendo un'azione antagonista a quella dell'insulina.
Il lisosoma (dal greco lysis, dissoluzione, e soma, corpo) è un organello presente nella cellula animale. Fu scoperto da De Duve nel 1949 tramite una tecnica chiamata centrifugazione differenziale, che permette di separare in modo selettivo i componenti cellulari.
I lisosomi contengono enzimi digestivi, che la cellula utilizza per demolire macromolecole oppure per distruggere altri organelli (es. mitocondri) e riciclare i materiali di cui sono fatti.
Si distinguono tre tipi di lisosomi:
- L. primari - che gemmano dall'apparato di Golgi;
- L. secondari - che si formano quando i lisosomi primari si fondono con vescicole contenenti materiali da digerire;
- L. terziari - che contengono i prodotti della digestione: alcuni sono eliminati dalla cellula per esocitosi mentre altri vengono depositati all'interno della stessa, immagazzinati in granuli di lipofuscina.
"Esocitosi": è un termine introdotto da De Duve nel 1963 per indicare l'emissione del contenuto delle vescicole all'esterno della cellula.
Il termine contrario è "endocitosi", che indica l'assunzione di materiali esterni da parte della cellula attraverso la formazione di vescicole che introducono tali materiali nel citoplasma.
Se i materiali sono liquidi, si parla di "pinocitosi"; se si tratta di organismi unicellulari, si parla di "fagocitosi" (descritta molti decenni prima da Bizzozero, Osler e compiutamente da Mecnikov, che la denominò in tal modo). Ecco un'ameba che fagocita un paramecio...
Un anno dopo, nel 1964, Christian de Duve conia il termine "autofagia" per descrivere un meccanismo cellulare attraverso il quale si attua la rimozione selettiva di organuli cellulari danneggiati mediante l'azione digestiva dei lisosomi (chiamati "autofagosomi").
Proseguendo le ricerche in quest'ambito, nel 1967 de Duve dimostra che il glucagone induce l'autofagia e nel 1977 Pfeifer studia il processo inverso: l'inibizione dell'autofagia da parte dell'insulina. Si capisce dunque come l'affamamento cellulare favorisca e intensifichi tale processo.
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