A Te che trionfi nei secoli / nascosto nel grande mistero / si leva l'osanna del popolo / fedele al tuo mistico impero; / con l'inno esultante degli Angeli, / col canto solenne del Piave, / risuoni il tripudio dell'Ave / dall'alme immortali, o Signor. / Rendiamo, fratelli, con giubilo / al mite sovrano il saluto / il libero e santo tributo di fede, di speme, / di fede, di speme, d'amor.
Questi versi furono scritti dal cardinale carmelitano Adeodato Giovanni Piazza (1884-1957), già segretario generale dei Carmelitani, poi vescovo di Benevento e patriarca di Venezia, di cui ricorre l'anniversario della morte il 30 novembre.
Supportati dalla musica del sacerdote Coletti, tali versi divennero l'inno per il Congresso eucaristico diocesano del 1956. Siamo a Belluno; sia Piazza sia Coletti erano originari del Cadore; del Coletti, in varie chiese della montagna veneta, si intona ancora oggi il Magnificat. Sottolineo il riferimento al territorio, solcato dalle acque del Piave, il cui mormorio calmo e placido diventa un canto solenne a maggior gloria di Dio.
Per volontà di Pio XI, mentore del cardinal Piazza, alla fine del Giubileo del 1925 fu istituita la Solennità celebrata oggi, pensata in chiave anti-laicista, "quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”. Così scriveva il papa nell'enciclica Quas primas, dove spiegava anche che il regno di Cristo è "principalmente spirituale e attiene alle cose spirituali", in contrapposizione al principe di questo mondo, dove anche oggi trionfa il materialismo, dove - ebbi già modo di dirlo - la vita è sostituita con la carriera, dove gli amici sono solo icone fittizie da collezionare sui social network e dove anche le comunità cristiane e i loro frequentatori sembrano vivere il Vangelo ispirandosi chiaramente alle gesta dei farisei, sepolcri imbiancati. Oppure abbelliti da sculture, marmi e bronzi.
Il brano di Matteo, proclamato oggi, invita a prima di tutto a riconoscere Dio nel volto dei bisognosi e a fuggire la tentazione di sentirsi a posto per aver compiuto un'ostentata opera di carità - che in quanto tale potrebbe essere più manifestazione di un satanico orgoglio che espressione di vera fede.
Ora, non mi permetto di questionare sulla fede altrui, ma tranquillamente affermo che la mia è morta da quando mi sono accorto che non bastano un assenso intellettuale, per quanto profondo, o un'adesione piena a un sistema di valori morali.
L'essere cristiano in questo mondo esige molto di più: occorre indossare uno stile - quello stile che trasuda tra le navate delle chiese parrocchiali la domenica a messa, quello stile che fa ti fa riconoscere come un baciapile o un magna-ostie agli occhi dell'anticlericale, quello stile per cui la bocca vomita giaculatorie ed esterna slogan, pensierini e precettini - che chi li pronunzia ben si guarda poi dal mettere in pratica. Quello stile nel quale proprio non riesco a riconoscermi e per questo, con profonda ma irenica e distaccata rassegnazione, vado affermando da un bel po' che: non sono cristiano.
E non sono monarchico: per cui da un lato Cristo Re ha perso un suddito anche a cagion di ciò, ma dall'altro nemmeno il principe di questo mondo ne guadagna uno. Ergo: non mi resta altro che credere e sperare in una repubblica delle anime salve, nella quale il progresso non è solo tecnico-scientifico ma anche e soprattutto sociale e morale. In una parola: umano.
Buona settimana a tutti!
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