In quarantena sto bene: c'è salute, c'è lavoro, c'è un giardino dove passeggiare e godere delle fioriture primaverili, c'è un bosco al quale arriva una strada poco trafficata.
Ogni tanto qualche amico si fa vivo su whatsapp o per email. In un messaggio, inaspettato e perciò molto gradito, un'amica, grande musicista, mi "girava" una domanda che il compositore Luciano Berio pose ai suoi amici: "Perché la musica?".
La musica è un po' fuori dalle mie attività e questo da qualche tempo. Non dico che non suono e non scrivo più, ma lo faccio solo per me. Basta cori, basta concerti, basta serate: ogni tanto solo qualche vecchio disco o qualche spezzone di opera.
Immerso nella quiete della campagna, riesco ad apprezzare di più il contrappunto degli uccelli e del frinire di grilli e cicale con il frusciare delle foglie e con qualche verso che non riesco a inquadrare, forse di un cinghiale che si nasconde nelle siepi.
C'è a chi questo non basta e ha bisogno della musica fatta dagli uomini: per stare meglio insieme, per stare meglio da solo, per sentirsi grande, per consolarsi, per regalarsi un sorriso, per appartenere o per appartenersi.
O magari per riempire un vuoto di giornate "lente" o per far traboccare il troppo pieno di un'esistenza "di corsa": un troppo pieno "allegro" per agogica ma non per "sentire".
O c'è chi ha bisogno di musica per vivere, perché non sa adattarsi al ritmo ripetitivo e alienante di una catena di montaggio o di una routine.
C'è bisogno di musica per evadere da un modo di vivere dissonante se rapportato alla Natura: a quella Natura alla quale dovremmo appartenere e che invece fuggiamo nell'illusione di volere costruire torri di babele alte fino a un cielo che da soli non raggiungeremo mai.
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