martedì 23 marzo 2021

Malattie neglette e pazienti dimenticati...

"Se vuoi, puoi guarirmi" - disse il lebbroso. Egli ne ebbe compassione, allungò la mano, lo toccò e disse: "Lo voglio...". Ecco la potenza guaritrice della "buona volontà".

L'incontro tra un lebbroso e Colui che vuole la sua guarigione continua ogni giorno: il lebbroso non necessariamente ha il morbo di Hansen, ma può essere afflitto da decine di altri mali, alcuni dei quali così poco usuali oggi, nei paesi benestanti, che molti non ne ricordano neppure il nome - perché scomparsi da molti anni. Altri mali invece fanno la loro comparsa e si diffondono preferenzialmente con la complicità della povertà e delle condizioni igienico-sanitarie precarie. 

Se ne legge spesso sui bollettini missionari e qualche volta nelle riviste scientifiche (ricordo, ad esempio un bel servizio su "Le Scienze" di marzo/2010 alle pagine 78 e seguenti, con tanto di disegno in scala di alcuni elminti); se ne parla meno in televisione, dove il dibattito si sposta sul Covid, sui vaccini e se sia giusto o meno assumere certi farmaci al momento della somministrazione di questi. 

Altrove la gente muore: non di Covid (o anche di Covid) ma più spesso di tubercolosi, di malaria, di poliomielite, di difterite, di tetano, di febbri emorragiche, di varie forme tumorali e molte volte di elmintiasi.

Mentre insigni accademici zittiscono negazionisti e no-vax nei salotti televisivi (e negli stessi luoghi talvolta accade che gli accademici si zittiscano fra loro, non mostrando posizioni concordi su quelle che mi sembrano linee politiche mascherate da questioni scientifiche - mi sbaglierò, ovviamente) e la Ricerca insegue i limiti di questo o quel vaccino, di questa o di quella terapia, altrove la gente muore. Muore di malattie che non interessano i grandi laboratori (basti ad esempio vedere il numero annuale di pubblicazioni ad esse dedicate, come proposto nel riquadro sotto a titolo indicativo) e che di rado sono trattate adeguatamente - almeno così è nei paesi più poveri. 


Alcune di queste malattie potrebbero essere sconfitte se i pazienti fossero seguiti in un attrezzato ospedale - come i nostri, almeno fino a quando essi erano gestiti da medici e non dall'aspetto più antipatico della politica. Molto è lasciato alla buona volontà degli uomini, per i quali la Chiesa invocava, fino a qualche mese fa, il dono della pace: adesso neanche più questo - tanto, siamo tutti amati in ugual modo.


Nel dramma della fame, delle guerre e delle epidemie ci sono sempre sempre figure che provano compassione e che offrono anni di studi e di sacrifici per mettersi al servizio dei più bisognosi di aiuto e di competenza. Già ho ricordato Schweitzer e Burkitt; ma potremmo scrivere centinaia di nomi.

Carlo Urbani è stato il primo medico a diagnosticare la Sars e a morirne il 29 marzo del 2003. La sua attività inizia come medico di base in Italia, quindi è specialista in malattie infettive in strutture ospedaliere, ma la sua passione per le malattie dei più poveri lo porta a confrontarsi con la realtà sanitaria dei paesi in via di sviluppo

Propone con successo all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) un progetto sanitario in Mauritania e poi lavora con Medici senza frontiere (Msf) in Cambogia. Rientrato in Italia, diventa il coordinatore italiano di Msf a nome di cui ritira nel 1999 il premio Nobel per la pace

Sceglie poi di lasciare l'attività ospedaliera in Italia, nonostante l'offerta di primariato, e di stabilirsi definitivamente in Vietnam dove è l'esperto di riferimento per il controllo delle endemie parassitarie nel Sud-est asiatico per l'Oms.

Carlo Urbani non era un eroe né un missionario. Era un medico - esperto di malattie tropicali - che svolgeva la sua professione con generosa serietà e con passione scientifica. Il suo mestiere, esercitato con coerenza ed entusiasmo, lo ha portato inevitabilmente ad esporsi alla Sars mettendo in gioco la sua stessa vita. 

La sua vicenda umana e professionale è per certi aspetti emblematica di molti, medici e non, impegnati nella lotta alla povertà ed innamorati del proprio lavoro che esercitano una professione che richiede coraggio e generosità. 

Nell’Africa sub-sahariana come nei paesi del delta del Mekong ci si trova alle prese con malattie da parassiti che colpiscono e uccidono decine di milioni di persone, ma che possono essere curate con pochi centesimi di euro. Basta volerlo.

L’assenza di strutture sanitarie adeguate, la povertà e l’indifferenza dei ricchi costituiscono la sfida quotidiana per chi lavora per promuovere la salute nei paesi in cui la speranza di vita è minima. I colori, la vitalità della gente e l’impegno quotidiano fanno innamorare, a volte fino a morirne, coloro che raccolgono la sfida. 

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