Ecco un altro scatto di una rosa sbocciata in giardino: poco autunnale, ma non importa. L'immagine mi ricorda la scena di un film, vero cult della mia generazione (o almeno di una parte di essa), dove il protagonista fa suoi i seguenti versi, forse ispirati a Quinto Orazio Flacco (Odi, 1,11) o forse ripresi da Robert Herrick, autore di To the virgins, to make much of time: O vergine, cogli l'attimo che fugge, cogli la rosa quand'è il momento, che il tempo - lo sai - vola, e il fiore che sboccia oggi domani appassirà.
Il tema della brevità della vita, della gioventù che rapidamente fugge, delle illusioni che cedono il posto alle amarezze, dei sogni che svaniscono nell'algore della vita adulta, transiente preparazione alla quiete fatale della nox perpetua una dormienda ... ricordate Gaio Valerio Catullo? Vivamus atque amemus - è l'invito che il poeta fa alla sua amata e anche a tutti noi: viviamo e amiamo, dunque - mentre i goliardi medievali ci esortano a godere mentre siamo ancora giovani, cantando: gaudeamus igitur juvenes dum sumus...
In effetti è così: il sole sorge e tramonta, la vita scorre e la candela si consuma e si smorza, il fiato si fa più corto, le gambe più pesanti e i piedi più freddi: purtroppo le orecchie non si fanno mai abbastanza sorde ai rompiglioni, ai sedicenti esperti di politica o - peggio - a quelli che ammettono di non capirne nulla e che nel chiuso della loro cucina hanno le soluzioni per tutti i mali del mondo... rileggete il De brevitate vitae di Seneca!
Ed ecco che il tempo scappa ancora più in fretta: pensavo di passare il weekend immergendomi nella lettura del resoconto di viaggio verso le isole Lofoten, alla scoperta delle origini del baccalà, e invece devo ancora smaltire il nervoso per la telefonata di sabato sera da parte dell'ennesimo salvatore dell'Italia.
Invece che frullare parole, mixandole con un'ansia ingiustificabile (e forse patologica: ma non sono medico e non compete certo a me l'eventuale diagnosi), qualcuno dovrebbe imparare a stare muto... si, muto - come quel celebre coro che chiude il secondo atto della pucciniana Madama Butterfly e che commenta un sogno d'amore destinato ben presto a svanire - un sogno come quello di Cavaradossi in Tosca o di Mimì in Boheme, dove gli accenti si fanno tuttavia più disperati nel primo caso e più teneri, anche se amarissimi, nel secondo.
Ascoltiamo il coro muto, nell'esecuzione diretta dal maestro Chailly che è stata trasmessa su Rai 5 l'altra sera e che ho registrato col cellulare. Nessuna parola inutile disturba il toccante momento, che lascia alla protagonista il tempo di vivere la sua ultima illusione. E a noi con lei.
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