Al di là di ciò, agli orali degli esami di maturità, avrò ascoltato almeno otto volte su dieci qualche "collegamento" (più o meno serio, stavolta) con Verga e le sue opere: Rosso Malpelo, I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo e il Ciclo dei vinti. Questi titoli vi ricordano qualcosa?
Negli scritti dell'autore siciliano, la vita appare come una dura lotta per la sopravvivenza, secondo una legge immutabile e ingiudicabile, della quale lo scrittore fotografa la realtà, descrivendola in modo oggettivo.
Il pessimismo di Verga è ben "espresso" dalla Provvidenza che cola a picco con il carico di lupini (e anche col povero Bastianazzo) e soprattutto nell'ideale dell'ostrica, secondo il quale ogni uomo sarebbe destinato alla condizione in cui è nato: chi tenta di uscirne è destinato a morire, come muore l'ostrica che si stacca dallo scoglio - e come muore il pescatore che vuol farsi mercante.
Questo ideale non è troppo lontano da quella mentalità chiusa e paesanotta di certi miei ormai defunti consanguinei, nonostante tra loro e lo scrittore ci siano un secolo, qualche centinaio di chilometri di distanza e nessuna occasione di incontro.
Meglio la certezza della quieta mediocrità, che la tempesta dell'esistenza; meglio morire lungamente giorno dopo giorno, che vivere brevemente sulla cresta dell'onda - come invece esortava a fare romanticamente il grande Lord Byron alla fine del terzo canto del Pellegrinaggio del Giovane Aroldo:
...eppure devo andare, perché sono come un'alga
strappata dalla roccia, sulla schiuma dell'oceano, per navigare
ovunque l'ondata la infranga, o il respiro della tempesta prevalga.
"Still must I on; for I am as a weed,
Flung from the rock, on ocean's foam, to sail
Where'er the surge may sweep, or tempest's breath prevail."
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P. Mariani, Marina di Bordighera, part. |
Così, se la famiglia è stata la tomba dei miei sogni e dei miei progetti, il matrimonio - a cui taluni parenti, certi pretonzoli e le mortifere consuetudini vorrebbero condannarmi - ne sarebbe la lapide. Io ho voglia di vivere, non di essere sepolto prima di morire: e lo dico apertis verbis.
A dir la verità non voglio essere sepolto nemmeno dopo: desidero essere cremato e che le mie ceneri siano sparse in Natura, alla quale devo restituire fino all'ultimo atomo che ho preso in prestito.
Intanto:
- Rigetto i predicatori del quieto vivere.
- Detesto chi fa della povertà culturale una virtù.
- Non sopporto chi appiattisce tutto in nome dell'uguaglianza - senza sapere che cosa s'intenda pienamente con questo termine, che non significa tutti con la stessa tuta, la stessa ciotola di riso le stesse ore dello stesso lavoro, la stessa metratura dell'appartamento nello stesso condominio o della baracca nello stesso villaggio...
- E quando "uguaglianza" e "povertà culturale" s'incontrano, nasce la miseria materiale.
Mi chiedo solo: perché?
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Byron, op. cit. - canto IV |
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