Gigi Proietti (1940-2020) recita Trilussa (1871-1950), che nel 1914, a quarantatré anni, scrisse - da buon anti-interventista - la Ninna Nanna della Guerra. Il testo piacque successivamente ad altri artisti, che la musicarono e la cantarono, come Maria Monti e Claudio Baglioni.
Per cominciare, niente musica: preferisco la voce di Proietti, che col suo giusto accento romanesco dà corpo alle parole del poeta, alla faccia chi di invoca gloria e onori e auspica magari di indossare una mimetica per annegare in quell'oceano di sangue, scosso dalle tempeste della storia.
Sopra leggete il testo integrale - nel video ce n'è solo una parte; per continuare, sotto trovate la canzone di Baglioni (con qualche licenza rispetto all'originale: ad esempio le spade diventano bombe).
Adesso applaudite pure: ma resta sempre comodo essere contro la guerra stando distesi sul divano. Quando ci chiameranno alle armi (e prima poi accadrà anche qua) e le rifiuteremo, allora - e solo allora - avremo posto le solide fondamenta che ci permetteranno di costruire un duraturo ponte della Pace.
Stamattina alle quattro mi sono svegliato di soprassalto tormentato da un profondo senso di tristezza e di angoscia che non mi sapevo spiegare.
Non basta - come sbrigativa giustificazione - quel disgusto (per l'ennesima figuraccia internazionale fatta dal nostro paese) che ho provato ieri sera leggendo su diverse testate la notizia del ministro russo che ammoniva il di lui "collega" (virgolette d'obbligo) di casa nostra dicendogli di "imparare la diplomazia in modo professionale".
Seduto sul letto, ho sentito il bisogno di alzare lo sguardo mentre il mio povero fragile spirito cercava rifugio e la memoria restituiva dalla notte dei tempi alcuni versetti di un salmo (91,5-6), quasi come una carezza rassicurante: non temerai gli spaventi della notte, né la freccia che vola di giorno, né la peste... né lo sterminio...
Mi sono disteso e ho dormito un sonno leggero, fino alle sei e mezza - quando mi sono preparato per andare al lavoro. Dopo una frugale colazione (una tazza di caffé con qualche fetta di pane alla zucca), scorro le prime notizie e vedo che proprio alle quattro le truppe varcavano il confine. Il resto è muta cronaca...
Al lavoro, tra una lezione e l'altra, risuonava una parola che spaventa, anche se per ora - ma per quanto? - la realtà rimane lontana: guerra.
Una realtà che presto - ne sono sicuro - si farà sentire, vedere e compartecipare: con l'aumento dei prezzi dei carburanti e dei combustibili, delle derrate alimentari e di altre merci; con qualche moto di protesta per i rincari o con manifestazioni studentesche e operaie, nelle piazze; con l'arrivo di profughi e richiedenti asilo.
E con esercitazioni di aerei militari, il cui rombo squarcia l'aria e risuona sopra le nostre teste anche qui ed ora - tra Veneto e Friuli - dove ci sono basi militari di un certo interesse internazionale.
Se l'Occidente (ormai sulla via del tramonto, come civiltà, e per questo vorrei chiamarlo Ponente, anzi: Deponente) si contrapporrà ai russi (e ai bielorussi, loro alleati, e ai serbi che lo diventeranno), immagino - e non solo io - scenari catastrofici.
Una guerra paneuropea è possibile - anzi, ormaiprobabile; come è possibile anche un'entrata in grande stile del Dragone sullo scenario del Pacifico. La Cina potrebbe conquistare Taiwan e il Giappone - cioè le roccaforti dell'industria elettronica mondiale - e addirittura bombardare gli USA sulla costa occidentale. Mi chiedo se esistano missili efficaci a così lunga gittata. Non lo so, francamente. E l'Iran? Potrebbe aggredire Israele? O viceversa?
Intanto - ne sono quasi sicuro, ahimé - qualcuno, nel vetusto e martoriato Stivale, avrà già prestampato la famigerata cartolina rosa. E mi dispiacerebbe molto, pensando in primis ai miei giovani discepoli che stanno sognando il loro futuro - ad economia, ingegneria, psicologia, scienze motorie, filosofia... - oramai sempre più incerto e lontano.
In secundis, penso ai miei amici, sparsi per il mondo, e anche a me - vecchio e obeso ultraquarantenne, con la barba bianca e lunga, le ossa a pezzi, il passo stanco, un fegato colabrodo e mille progetti affossati negli anni dalle balle socialiste di anacronismi incarnati che son sopravvissuti anche troppo a loro stessi.
Non parlatemi più di dei, di patrie e di famiglie - vecchie menzogne che seminano solo dolore, lacrime e sangue e trasformano il mondo in un immenso campo della morte: un campo che - stavolta - rischia di avere bordi smisurati, davvero immensi se paragonati a quelli cantati da Prokofiev nel suo Alexander Nevsky.
S. Prokofiev — Alexander Nevsky: il campo della morte.
Oggi, in questa data palindroma e quindi già particolare di suo, ho dedicato una parte di una lezione alla distribuzione delle risorse minerarie sul territorio della Germania e alle grandi industrie chimiche diffuse sul suo territorio: Bayer, Basf, Agfa, Henkel, etc.
Carta geografica alla mano, ho cominciato a descrivere l'insieme da nord a sud: il Bassopiano germanico, la Selva Nera, le catene montuose.
E poi i grandi fiumi, da ovest verso est: il Reno, il Weser, l'Elba, l'Oder. Infine, le città: Berlino, Lipsia, Dresda...
Ecco: sono giunto finalmente all'argomento di cui volevo parlare - cioè dei siti industriali lungo il Reno, dalla Ruhr - con le miniere di carbone e le alte ciminiere di Duisburg, Bottrop, Oberhausen, Dortmund, Dusseldorf, Wuppertal - scendendo a Leverkusen, Ludwigshafen,Francoforte e Stoccarda, per concludere il viaggio virtuale a Monaco di Baviera. Senza dimenticare Bonn, la capitale della vecchia repubblica federale - la cui nazionale di calcio vinse i mondiali a Italia 90. Ricordate?
Ad un certo punto, dopo una pausa, pongo la fatidica domanda: quale famoso musicista è nato a Bonn? Altra pausa. E poi: Mozart... no! Bach... no! Chopin... no! BEETHOVEN... oh, finalmente!
Ludwig van Beethoven (1770-1827), autore di Per Elisa e dell'Inno alla Gioia, del Fidelio e della Sonata "Al chiaro di luna", della Sinfonia "Eroica" e di molte altre composizioni, nacque a Bonn anche se trascorse buona parte della sua vita a Vienna.
Che agonia! Tuttavia, l'insolito accostamento Beethoven - Chopin emerso durante il confronto mi ha ispirato nel proporre in questo post il video soprastante, dove una celebre composizione del primo è gustosamente riletta al pianoforte nello stile del secondo.
La medesima lezione si è poi spostata - sempre virtualmente - presso il confine con la Polonia - patria di Chopin - e da lì nella Slesia, altra regione ricca di giacimenti, soprattutto di lignite.
Tale regione corrisponde al corso medio-alto del fiume Oder; è chiusa a sud dalla catena montuosa dei Sudeti. Politicamente, solo una piccola parte del territorio appartiene alla Germania; il resto è spartito tra Polonia e Repubblica Ceca - che oggi sono unite in una grande euroregione. Anche là, molte città ricche di storia e di industrie: Breslavia, Ostrawa, Katowice...
Per restare comunque in zona (solo sulla carta geografica!), nell'ora successiva cambio classe e sento i ragazzi che - anziché ascoltare la mia dotta disquisizione su moli e gas - ripassano la politica di re Stanislao (quale, dei tanti?) per la verifica di storia nell'ora successiva alla mia.
Ora capisco perché, parlando di grammo-molecole, di pesi formula e di Stanislao Cannizzaro (1826-1910), non mi credevano quando gli dicevo che egli era un chimico siciliano - e pensavano invece che fosse un conterraneo di Papa Wojtyla!
In questa domenica, cerco un po' di relax con le colonne sonore del compositore inglese John Barry (1933-2011) e le splendide immagini che le accompagnano in questo video linkato da youtube.
Timidamente la primavera si sta annunciando: dopo i noccioli, comincia a fiorire la forsizia e nei prati spuntano primule e varie ranuncolacee - come l'Hepatica nobilis, con i suoi colori viola e l'appellativo medievale di Erba Trinità. Ma il freddo si fa ancora sentire. E anche la stanchezza: per fortuna che sta per approssimarsi il ponte di carnevale, durante il quale mi immergerò nel ripasso di alcune nozioni di geografia fisica. Che sia ora di spegnere le casse e cominciare subito con libri e atlante?
No. Cedo alla necessità delle membra che invocano il necessario riposo e lascio che le lancette facciano ancora qualche giro sul quadrante dell'orologio.
Chissà che intanto, da est, smettano di spirare sinistriventi di guerra: personalmente, non sono troppo tranquillo. E pensare che conosco qualcuno che farebbe volentieri il servizio militare piuttosto che affrontare uno scritto di matematica al cosiddetto esame di maturità. L'anno venturo, magari.
I numeri hanno - almeno per me - un loro fascino, che tacerò: tuttavia, quelli della data riportata in apertura sono tra loro legati da una relazione semplice, che potremmo scrivere come 11 x 2 = 22. Che ovvietà.
Non aggiungo altro: già troppi danno i numeri - a casa, a scuola, al lavoro, in televisione, sulle pagine dei quotidiani - e molti a sproposito, magari ben frullati con qualche parola messa ad arte.
Voglio tornare a venerdì della scorsa settimana, 11 febbraio: una giornata tranquilla, conclusasi con il cielo che si è tinto di rosa, al tramonto, con qualche gioco di luce tra le nubi che ho cercato di cogliere, dopo aver acceso un cero nel capitello presso il cancello di casa - come da tradizione.
L'11 febbraio il mondo laico ha celebrato la giornata delle donne nella Scienza; intanto, quei pochi cattolici - sopravvissuti ai venti modernisti di un certo modo di applicare il Concilio - si sono forse ricordati della povera contadinella analfabeta di Lourdes.
A scuola, vista l'attualità del tema, ho ricordato le prime (cosa che ho fatto anche nei mesi scorsi, soprattutto nella classe terminale).
Ho riportato qualche importante nome alla lavagna (sopra) e ho approfondito - visti gli argomenti che sto trattando in questo periodo - il contributo di Lynn Margulis (1938-2011), biologa americana che ha proposto la teoria dell'endosimbiosi: ad ella va il merito della scoperta dell'Evoluzione come cooperazione, riprendendo un'espressione riportata sulla copertina del libro a lei dedicato dalla naturalista Adriana Giannini - l'unico, che io sappia, in lingua italiana, edito da L'Asino d'oro. Una recensione QUI.
Nei giorni scorsi, ho dedicato qualche nota di approfondimento allo zolfo e ai suoi composti. Già in altri post ho ricordato più volte l'importanza di questo elemento per l'industria e per la vita e come la fonte principale sia costituita oggi dai processi di desolforazione dei carburanti e dei combustibili.
Nelle lezioni di scuola ricordo piuttosto come molti depositi di questo elemento si rinvengano in aree interessate da fenomeni vulcanici. Qualche volta, per televisione, è possibile ammirare rari documentari su tali aree, alcune delle quali si trovano anche nella penisola italiana, come la Caldara di Manziana o la Solfatara di Pozzuoli - che ispirò il poeta romano Virgilio per descrivere l'ingresso all'Ade nel sesto libro dell'Eneide: lo zolfo è da sempre l'elemento associato agli inferi, come già dissi QUI.
Nel video seguente riporto un frammento trasmesso su Rai 3 nella trasmissione domenicale Kilimangiaro, avente per oggetto il Kawah Jien, vulcano indonesiano dal quale gli autoctoni recuperano zolfo destinato alle industrie della Cina: l'elemento occorre nella vulcanizzazione della gomma, nella produzione di fiammiferi e dell'acido solforico.
In natura, lo zolfo si combina con i metalli per formare i solfuri, con l'idrogeno per formare l'acido solfidrico e con l'ossigeno per dare anidride solforosa - come quella emessa dall'Etna in questi giorni, nel corso della prima eruzione del 2022.
In particolare, Gunther Wachtershauser, chimico e impiegato all'ufficio brevetti di Monaco, rilevò l'importanza dei cicli ferro-zolfo nel generare condizioni estreme (acide) di basso pH e alta concentrazione di metalli pesanti che possono, tuttavia, sostenere serie di reazioni che portano alla formazione di acido acetico, acido piruvico, amminoacidi e acidi grassi.
In ambienti naturali definiti da simili condizioni si osserva un alto livello di diversità microbica e si evidenzia quanto sia estremamente robusta la vita e come rapidamente essa possa adattarsi a diverse condizioni, anche ostili per forme più evolute.
I microrganismi acidofili rappresentano un possibile esempio di metabolismo primordiale, sopravvissuto fino ad oggi dall'inizio della vita della Terra.
Il campo idrotermale Dallol è una remota area vulcanica della depressione settentrionale della Dankalia in Etiopia, di cui ho già detto in passato e su cui mi piace tornare - tanto è il fascino che suscita in me questo luogo unico. Esso ospita spettacolari tumuli (attivi e inattivi), terrazze, croste metalliche e concrezioni derivanti dalle interazioni tra sorgenti termali sulfuree, soluzioni saline e processi di ricristallizzazione guidati da acque idrotermali, degassamento e rapida evaporazione.
Circondata da un'ampia regione salina, l'area di Dallol è uno dei luoghi più caldi e acidi (pH <1.0) del globo che può potenzialmente ospitare la vita nelle sue forme più antiche. Nell'articolo linkato in fondo al post, i ricercatori presentano i risultati preliminari sul campo e analitici ottenuti sui campioni raccolti durante le recenti campagne sul campo - alcune delle quali condotte anche da italiani, quali gli Autori dell'articolo linkato sotto, guidati dalla professoressa Cavalazzi dell'Università di Bologna.
Le caratteristiche geologiche, geochimiche e mineralogiche del Dallol e la sua posizione chiusa al vulcanismo basaltico regionale di importanza su scala planetaria lo rendono un analogo adatto ai paragoni con gli antichi ambienti marziani.
La scoperta della presenza su Marte di vasti depositi di solfati noachiani (risalenti cioè a circa 4 miliardi di anni fa) e ossidi di ferro, rende gli ambienti acidi e ricchi di solfati, interessanti per ricercare la presenza di forme di vita sia sul pianeta rosso sia negli analoghi terrestri di Marte.
Carlo Lorenzini (1826-1890), noto ai più come Collodi (dal nome del paese dove trascorse gran parte della sua infanzia), è conosciuto in tutto il mondo per essere l'autore di Pinocchio.
Il protagonista del capolavoro collodiano, questo burattino di legno che cerca di diventare bambino, è stato reso celebre da tante riduzioni, dai giocattoli e dai numerosi film che gli sono stati dedicati. Tra questi, spicca certamente la versione animata (con qualche aggiustamento che trovate spiegato QUI) di Walt Disney (1901-1966), della quale riporto di seguito due scene, ispirato da un paio di momenti che mi son trovato a vivere in questi giorni.
Non vi racconto i particolari, noiosi e a tratti poco edificanti (nulla di così scabroso, ben s'intenda!), ma in essi ho visto come il Lucignolo tentatore sia sempre in agguato, con la sua voglia di fare il meno possibile o di non fare proprio, frammista alla malizia di portare altri - come l'ingenuo Pinocchio - sulla sua stessa strada.
Nella prima scena che richiamo in un fotogramma, Pinocchio e Lucignolo si incontrano. Sono sul carro che li condurrà al paese dei balocchi, "senza scuola e maestri". Lucignolo racconta a Pinocchio tutte le meraviglie che li aspettano: "una vera cuccagna".
Se "Pinocchio" è la "Divina Commedia dei piccoli", come diceva spesso il mio Professore di Lettere al liceo, la parte seguente è quella corrispondente all'inferno e alla dannazione - con tanto di Lucignolo nella parte di Vanni Fucci: l'uno trasformato in asino, l'altro in serpente.
Passiamo dai disegni animati disneyani al pennello di Michelangelo, che così rappresenta la trasformazione dell'anima in serpe:
E ancora - già lo feci in una tesina da scolaretto ai tristi e mai troppo lontani tempi del liceo - azzardo ad accostare la drammaticità della scena a quella della dannazione del seduttore, così come è musicalmente tratteggiata da Mozart nel finale del suo Il Dissoluto punito ossia il Don Giovanni K 527: "Tutto a tue colpe è poco, vieni c'è un mal peggior".
Dopo tanti e tanti giorni di sole, ecco una domenica col cielo coperto e grigio - la quale ci ricorda che, astronomicamente e climaticamente parlando, siamo ancora in inverno.
Il colore plumbeo fa da sfondo all'esile profilo scuro dei fusti e dei rami dei noccioli che prosperano davanti alla finestra, a nord della stanza che per ora funge da studio, coprendo in parte la visuale verso la valle del Piave.
Il dettaglio delle infiorescenze maschili, che penzolano dai rami, è un segnale che la primavera si avvicina e che presto comincerò a manifestare i sintomi respiratori dell'allergia al polline - che qualche medico in grigioverde fece finta di non vedere, un quarto di secolo fa.
Osservate la relativa grandezza del fiore maschile - l'amento - comparandola con quella delle dita della mia mano: ho improvvisato la fotografia, forse potevo, più scientificamente, prendere un righello e accostarlo per offrire una misura più accurata.
Sempre considerando la foto sopra, guardate anche a sinistra, sulla mia mano, quasi in corrispondenza del flessore del pollice (o sopra la linea della vita, per chi si interessa di chiromanzia). Oppure qua sotto, in corrispondenza della falangetta dell'indice sx.
Guardate il rigonfiamento sul rametto del nocciolo e, in cima ad esso, quel piccolo ciuffo color porpora: si tratta dell'infiorescenza femminile. Ecco il dettaglio ingrandito.
Tra poco, nei prati, compariranno i bucaneve (anche se in parte la neve è già andata via), le primule, poi le epatiche, i denti di cane e tutto il resto. La vita continua e afferma il suo ciclo in un silenzio assai migliore di quello religioso - e come potrete immaginare, io preferisco di gran lunga il silenzio della storia naturale all'inutile fracasso della storia umana.
La didascalia che associo a questa foto conclusiva assume i toni di una tipica e gretta battuta da belumàt che non ha certo bisogno di traduzioni: Eco le man de chi che no ha mai laorà.
Qua vorrei rispondere a me stesso dando sfogo a sentimenti che soffoco nel silenzio naturale di cui sopra, ricordandomi che son da Belùn solo per nascita, non per origine o per volontà mia.
E nemmeno mia è la volontà di essere rimasto qui, a vedere scorrere le acque del Piave e con esse inutilmente la mia vita, troppo lenta, attendendone il tramonto, ancora lontano, ben oltre quei Monti del Sole che chiudono la visuale a ponente (qui sotto in una foto di qualche giorno fa).
Dopo aver lasciato tordi e gazze battagliare tra noce e concimaia nel giardino di casa, con un tocco rossiniano conclusivo, ecco un'altra serie di scatti dedicata a una gang di piccioni, schierata sul colmo del tetto di una vecchia casa a Belluno.
Le foto risalgono a lunedì scorso: l'impegno pomeridiano mi ha trattenuto in città il tempo sufficiente per vedere le nubi sopra l'Alpago tingersi di rosa al tramonto e per ammirare un'aura quasi magica abbracciare le vecchie case del centro storico al crepuscolo.
E per concludere questo post? Di fronte alle immagini della notte che sempre più si avvicina, l'ultimo pensiero a/di/per Monica Vitti...
E sono arrivati anche per il 2022 i giorni della merla: i più freddi dell'anno, secondo la tradizione. La leggenda vuole che una merla tutta bianca, per ripararsi dal gelo, si sia rifugiata in un comignolo uscendone nera - e con il becco giallo.
Di merli, in questi giorni, neanche a parlarne. In compenso i tordi si tuffano nella concimaia per trovare cibo in quantità; qualche volta restano di vedetta per evitare spiacevoli incontri con i felini di casa.
Con comodo, arriva una coppia di gazze, che scaccia i tordi e comincia a pasteggiare, per poi prendere posto sui rami più alti del noce.
Ecco una sequenza di foto dove potete ammirare i due esemplari che ho - non troppo felicemente - cercato di zoommare.
A proposito di gazze, concludo il post proponendo il link (dal canale youtube a loro dedicato) ad un autentico capolavoro di Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati.
Gli stessi autori considerano questo episodio di "Omaggio a Rossini" (1964) come l'opera meglio riuscita: essa è risultata vincitrice di sedici premi internazionali, tra i quali il Premio Speciale al Festival di Annecy, la nomination all'Oscar 1965 e il Nastro d'Argento 1965.
La trama vede protagonisti tre re che, non avendo altro da fare, decidono di muovere guerra agli uccelli che cadono uno a uno sotto una pioggia di frecce. Solo una nera gazza resiste, sconvolge e dissolve il gioco dei potenti: becca in testa i nemici, buca le nuvole per scatenare pioggia e tempeste, strappa le imposte della torre dove i re e i soldati si sono rifugiati, fino al trionfo finale.
Il talento degli autori si lasciò travolgere dalla creatività come dall'onda di un fiume in piena, lasciandoci un felice connubio tra la preziosità delle immagini e il ritmo della partitura rossiniana, con i suoi crescendo e i suoi incisi marziali, che si dipana in evoluzioni spettacolari e spassose di quel piccolo uccello nero mentre afferma perentoriamente il valore della libertà e della giustizia contro la monarchica tirannide.