lunedì 14 marzo 2022

Verso l'infinito...


Mah enosh? Che cos'è l'Uomo? - Questo interrogativo, nel cuore del salmo VIII, costituisce una delle domande fondamentali della filosofia - forse quella che più mi ha affascinato ad un certo punto della mia gioventù, tanto da indurmi in tentazione ad abbracciare studi di filosofia e teologia, una volta conclusi il liceo e il servizio civile come odc.

Durante le lezioni, don Angelo Secolini (1922-2018), anziano ma lucidissimo professore di Metafisica - che avrebbe compiuto 100 anni qualche settimana fa - ripeteva sovente: l'Uomo è un essere finito aperto all'Infinito!

E immancabili seguivano le citazioni di Aristotele e di San Tommaso d'Aquino, di Manzoni  e di Dante. Il Sommo Poeta, al termine del suo viaggio attraverso l'Aldilà e il Paradiso, giungeva a contemplare l'Amor che move il sole e le altre stelle.


Per il semplice credente di tutti i giorni, l'Amore rivela il suo volto a Mosé presso il roveto ardente sul Sinai, e nel Cristo - factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis.

La fragile esistenza dell'Uomo emerge dall'Essere e diventa contingenza, limite. Ciascun uomo è limite, è particolare, è contingente, è finito e come tale aspira all'Infinito

Egli, frammento d'essere, tende all'Essenza: e il non poter raggiungere questa aspirazione getta l'uomo nell'angoscia. E l'angoscia è, per Kierkegaard, cifra dell'esistenza.


Anche il Cristo fa esperienza del limite: nell'Incarnazione - tra Nazareth e Betlemme, nel deserto, nel Getzemani, sul Calvario, nel sepolcro chiuso - fino al mattino di Pasqua. Ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la natura umana: così recita la preghiera eucaristica IV, riprendendo San Paolo agli Ebrei (4,15).


La luce rivela l'Infinito: e contemplando quella Luce (somma... eterna...), Dante balbetta come "un fante che bagni ancor la lingua a la mammella" (Par XXXIII, 108). E seguitando (ibid, 115-123):


Sono i colori dei tre cerchi sovrapposti - la Trinità - che svelano a Dante il volto dell'Infinito di fronte al quale la sua immaginazione vien meno. Forse al poeta di allora manca quella possibilità che sarà scoperta poi dal pittore di oggi: l'astrazione (da intendersi appunto come possibilità espressiva e non solo come facoltà cognitiva).


E nella mostra a tema che ho avuto modo di ammirare sabato scorso a Udine, presso Palazzo Cavazzini, erano esposte alcune significative opere che la critica definisce astratte. 


Sopra, Kandinsky e, sotto, Vedova.


Ecco Edmondo Bacci:


Ma, senza continuare all'Infinito (lascio a ciascuno di voi cercare, trovare e percorrere la sua strada verso di esso), due opere cito ancora per chiudere il post. La prima è un dettaglio di Composizione IV di Kandinsky:


Voglio accordare a quell'arcobaleno un auspicio di Pace, di cui abbiamo bisogno sempre e ancora più urgentemente in questi giorni.


La seconda è il celebre Icaro di Matisse, che presento come ricordo personale in quanto mi riporta con la memoria a una riflessione proposta a noi - studenti di allora - dalla docente di Filosofia a pochi giorni dalla maturità sulla centralità di quella macchia rossa che significa il cuore dell'Uomo: non il miocardio che pulsa e spinge il sangue nei vasi, ma il Lev, il luogo dell'anima la cui comprensione ci è affidata come compito. Diceva Martin Buber: "è compito di ogni uomo conoscere verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze". E' là che risuona la voce dell'Infinito.


J. Brahms, Un requiem tedesco op. 45, 1^ mov.

1 commento:

  1. Splendida sintesi di poesia, pittura, teologia, filosofia e musica!
    Grazie!

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