Non sono qui a lamentarmi del caldo: anzi, potrei lamentarmi dell'esatto contrario. Le temperature sono troppo basse; piove tutti i giorni da quasi due mesi, l'orto è andato a farsi benedire, i pomodori hanno già contratto le infezioni fungine che li porteranno a morte, le patate sono state invase dalla dorifora e nugoli di calabroni si aggirano attorno ai peri e ai fichi.
L'umidità porta muffe: e sulla verdura, in cantina (in quella cantina dove qualcuno si ostina ad accumulare cartoni che trattengono inutile umidità), crescono chiazze grigie e biancastre.
Al solito, per qualcun altro (o meglio, qualcun'altra, come la genitrice dello scrivente blogger) è un peccato buttar via e allora improvvisa un minestrone tagliando via i pezzi invasi dalla parte visibile dei miceti (ma non sa che i miceti invadono anche la parte interna emettendo una rete di sottilissime ife).
Cipolla, porro, patate, verza, tagliate a pezzi grossolani (io le taglio finemente) e fatte cuocere in acqua salata: ecco pronto il minestrone, fatto un po' sbrigativamente. Nel frullarlo (perché a qualcuno - che non sono io - piace solo se frullato) si è rotto pure il vecchio frullatore ad immersione. Poco importa (non troppo poco: si tratta di una spesa straordinaria per sostituirlo): è comunque mangiabile, anche se non buono come quello fatto da me un mesetto fa.
Io ho l'abitudine di sbriciolare nel minestrone foglie d'alloro oppure maggiorana, che oltre a conferire un buon sapore hanno anche proprietà antimicrobiche: cosa che vorrei far capire alla genitrice, ma non mi riesce.
Poco importa anche questo. Mangio un piatto del suo minestrone per cena, in compagnia del genitore e del suo concerto, mentre la televisione urla a tutto volume l'ennesima puntata di CSI (che due palle...) e i gatti si inseguono sui divani.
Ne avanza un po': la genitrice lo mette in frigo e ve lo lascia un paio di giorni, per poi rifilarmelo. Peccato buttarlo via e io, nonostante soffra di colon irritabile da trent'anni, mi presto a essere la pattumiera di casa. Non che ne sia felice, ben s'intenda: abbiamo un letamaio che potrebbe accogliere tante porcherie dimenticate ad andar di male. Come anche quel minestrone.
In frigo, dov'è stato? Ovviamente non nel freezer, ma nella cella a 4°C: e nell'unico posto dove stava comodo il recipiente, una vecchia coppiera in materiale plastico (polipropilene) con il coperchio rotto. Ah, ma non importa, si usa lo stesso. Non vorrete mica buttarla? Fu comperata appena una ventina di anni fa.
Il posto dove stava era nel ripiano in basso, sopra il cassetto interno. E anche qua, le mie innumerevoli prediche sul frigorifero come comunità microbica sono rimaste inascoltate. Sul fondo e sulle pareti si annidano concentrazioni di batteri potenzialmente patogeni per la nostra specie: non sono io a dirlo - povero pinco pallino qualsiasi - ma diverse ricerche, tra le quali ne ricordo una* condotta dalla Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova, pubblicata su Food Control e ripresa su @nmvi-oggi a questo link QUI.
Ricapitolando: minestrone di verdura proveniente da una cantina dove girano muffe, senza spezie (antimicrobici naturali) conservato in fondo al frigo in un recipiente che non garantisce la chiusura ermetica. La coltura microbica è servita: ricordate gli esperimenti di Koch del 1880, nei quali faceva crescere colonie di batteri su brodi di carne, sulle fette di patata, sulla gelatina e sull'agar?
Insomma, mangio quell'ultimo piatto di minestrone. Il sapore della verza è particolarmente intenso, copre gli altri e null'altro segnale lascia presagire il prosieguo della storia. Due giorni dopo mi sveglio al mattino presto, con un fortissimo dolore in fossa iliaca sinistra. In particolare, un punto duole: toccando, percepisco qualcosa di duro, come una corda di canapa o un cinturone di cordura - quelli in nylon militare, per capirsi. Sale una febbriciattola; ho nausea, non ho appetito (poco importa: pesando oltre 90 kg, ho riserve e posso digiunare qualche giorno). Sono stanchissimo e fatico a stare in piedi.
Il dolore nel punto è intensissimo ma devo sopportarlo: l'ho già avuto altre volte e in ciascuna, i medici consultati hanno posticipato eventuali accertamenti. Come sempre mi è capitato, del resto: ho avuto diciannove coliche biliari tra il novembre 2013 e l'estate 2020, e pensate che abbiano tentato di far qualcosa? C'è chi è stato operato solo per la scoperta accidentale di un calcolo e io i miei (evidenziati da due ecografie all'addome superiore che ho fatto in regime privato) me li devo tenere. Qualcuno mi dice perché altrimenti divento inabile al servizio militare, come se alla difesa nazionale interessasse la disponibilità di un vecchio quarantaquattrenne obeso, iperteso e soprattutto ancora convinto obiettore di coscienza. Boh.
Chiaramente, stavolta si tratta invece di un diverticolo; è la quarta volta che si infiamma quest'anno. Devo aspettare che si perfori e mi venga una peritonite, con la speranza di finire d'urgenza in chirurgia?
E di speranza si tratta, perché l'ultima volta che sono passato per il pronto soccorso (non importa di quale nosocomio), la dottoressa che mi ha visitato ha scambiato una colica renale per un versamento pleurico. Non oso pensare per cosa potrebbe essere scambiata una peritonite da diverticolo perforato e mi auguro di non scoprirlo mai.
Qualcuno dice che episodi come i miei sono tutto merito di certe scelte della "politica", la quale avrebbe trasformato la sanità in un business e la salute in un'industria, con lo scopo di fare profitto.
Qualcun altro dà la colpa a chi vuole la sanità per tutti e fintantoché non sarà per tutti non deve essere per nessuno (tranne per chi ha modo di rivolgersi ai privati, come ho fatto anch'io nel caso della colica renale e delle ecografie).
Io non voglio entrare in discorsi più grandi di me sui quali non sono assolutamente competente: mi basterebbe trovare un medico che abbia a cuore la salute del paziente e non i massimi sistemi del mondo; e che mi prescriva la rifaximina o un altro antibiotico adatto, senza illustrarmi le sue idee e le sue teorie per riformare il servizio sanitario nazionale o le sue nostalgie sulla sanità di una volta. Quale?- mi chiedo? Quella del vecchio Marotta, della Anselmi o di De Lorenzo-Poggiolini? Qualsiasi essa sia, per recuperare nell'immediato il mio benessere idee, nostalgie e teorie proprio non servono.
Alla fine, mi restano solo il riposo, il digiuno, la tisana di finocchio e la camomilla. E un'altra estate di merda se ne va nel pozzo nero sotto le sembianze di una maleodorante diarrea.
* Levels of microbial contamination of domestic refrigerators in Italy, P. Catellani, R. Miotti Scapin, L. Alberghini, I.L. Radu, V. Giaccone
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