Il Gazzettino di Belluno, il 23 giugno scorso, riportava la notizia di una scossa di terremoto di magnitudo 2.9 con epicentro a sei chilometri da Farra d'Alpago, risuonata alle ore 7.21: leggete QUI.
Sempre il medesimo giornale, una settimana dopo, dava spazio ad un ampio approfondimento, a firma di Simone Tramontin, sulla sismicità del Bellunese, che possiamo leggere integralmente QUI.
Il tema è tornato alla ribalta celebrando il secolo e mezzo trascorso dal terribile sisma del 29 giugno 1873, che tanti danni fece in Alpago, a Belluno e nell'attuale Vittorio Veneto.
L'estensore dell'articolo, giornalista e ingegnere civile, raccoglie in modo ordinato e competente il monito di un insieme di esperti che richiamano l'importanza dell'educazione al rischio sismico e dell'adeguamento delle costruzioni nel rispetto delle normative più aggiornate.
Al di là dei giornali locali, anche alcuni documentari passati in televisione in questi giorni hanno raccontato i disastri provocati nel passato dai fenomeni tellurici particolarmente intensi, quali il terremoto che colpì Lisbona (1° novembre 1755), quello che colpì Messina (28 dicembre 1908) e quello che distrusse Tokyo (1° settembre 1923).
Del primo scrisse anche Voltaire nel Candido: cose che accadono nel migliore dei mondi possibili. Scosse intense, altari pieni di ceri votivi per la solennità di Ognissanti che si rovesciano, chiese che bruciano, incendi che si propagano alle case di legno, edifici che crollano, onde gigantesche che si abbattono sul porto, detenuti che scappano dalle prigioni, violenze e saccheggi, intervento militare e persecuzione della Sacra Inquisizione che cerca i colpevoli della punizione divina: eretici e giudei.
Una rappresentazione grafica del disastro di Lisbona è riprodotta come sfondo in questo video, accompagnata dalle note di un raro terremoto in musica: quello che chiude le Sette parole di Cristo sulla Croce di Haydn.
Del secondo ricordo le descrizioni che fa Axel Munthe nel suo libro più famoso, La storia di San Michele. E ricordo che da là ebbe origine il modo di dire: non capire una mazza, con riferimento al generale nominato dal re per dirigere i soccorsi, tal Francesco Mazza. Egli sembra non essersi mostrato tuttavia all'altezza del ruolo, come ricordò - fra i tanti - la giornalista Marcella Croce QUI, in un articolo pubblicato su Repubblica in occasione del centenario del funesto evento.
Del terzo riporto qualche scatto dal documentario che ho visto in tv. Il copione non è poi troppo dissimile da quello sopra descritto per Lisbona, anche se stavolta il luogo dove prende forma è la pianura di Kanto, compresa tra Tokyo e Yokohama. Anche là, case di legno, ammassate le une alle altre e affacciantesi su vicoli strettissimi e intricati.
Al tremore della terra, alle onde dello tzunami (alte 12 metri) e alla furia del fuoco si aggiunse il vento, fortissimo: tra fine estate e inizio autunno sono frequenti i tornado, nella pianura di Kanto. E i turbini di fuoco contribuirono a propagandare la distruzione in quel che restava della città.
Anche qua, per riportare l'ordine, intervenne l'autorità militare; anche qua furono cercati i presunti colpevoli, individuati nei coreani che furono bersaglio di feroci rappresaglie in quanto accusati di aver appiccato intenzionalmente gli incendi, di avvelenare i pozzi e di arricchirsi grazie all'evento funesto. Le rappresaglie si placarono solo alcuni mesi dopo, con i festeggiamenti per le nozze di Hirohito con Nagako Kuni, celebrate il 26 gennaio 1924.
Tra i testimoni dell'evento ci fu il regista Akira Kurosawa, come possiamo leggere QUI, in un lungo e documentato post sul blog di Alessandro Montosi, che riporta numerosi brani dell'autobiografia del celebre regista e tante immagini sul drammatico tema.
L'immagine sopra riproduce una mappa delle zone colpite realizzata nel 1926. Per concludere il post, possiamo ricordare che la ricostruzione di Tokyo dopo il terremoto segnerà una svolta culturale per il Giappone: da un lato crescerà il militarismo che porterà poi all'invasione della Manciuria, alla conquista del Pacifico e alla Seconda Guerra Mondiale; dall'altro, per rinnovare i loro costumi, i giapponesi residenti in città guarderanno con maggior interesse all'Occidente. Per approfondire, leggiamo QUI l'articolo di Lidia Gallanti su National Geographic (marzo 2022).
Nessun commento:
Posta un commento