Gli esami non finiscono mai - diceva il grande Eduardo. E invece si, e per fortuna: sta finendo anche per quest'anno l'immancabile rito dell'esame di stato.
Ceralacca e timbro per sigillare il plico e tutto - o quasi - finisce nel dimenticatoio, tranne la mia nausea per la scuola che ho frequentato da adolescente e che ancora ritorna ogni (rara) volta che transito davanti al luogo dove sono riuscito a vomitare, oltre alla colazione, pure la cena della sera prima - frammista a bile, sangue e altro su cui non mi soffermo.
Vissi la maturità come un'autentica catarsi, anche perché ignoravo quello che mi aspettava dopo: anni di volontariato coatto non retribuito imposto dal genitore a un figlio che desiderava vedere ingegnere assunto all'Enel e che non corrispondeva inopinatamente ai suddetti desideri - il giovane era troppo preso allora da filosofia, teologia e musica, considerate dal patriarca perdite di tempo che non rendevano in termini di tessere associative (chissenefrega!), di denaro sonante, di prestigio e di figa da portare all'altare secondo le consuetudini socio-familiari locali e non solo.
Farmacia non si poteva studiare, non essendo figlio di un farmacista e rampollo di una buona famiglia, come sentenziarono a suo tempo gli altri, generosi elargitori di consigli non richiesti, e le bocche infernali di certe vetuste arpie del Campedello e dintorni. E gli altri, in casa mia, hanno sempre ragione, specie se con dotazione XX nella coppia 23 e corna ingioiellate e infiocchettate annesse.
Insomma, lasciando da parte le amarezze e i ricordi, dopo una serie di peripezie sulla quale soprassiedo, veniamo a tempi più recenti e proviamo a guardare il mondo da un altro punto di vista: non quello di uno studente stremato dalla nausea che finalmente pone fine alla pessima esperienza scolastica con una cadenza piccarda ma quello di un anonimo docente, dall'altra parte della cattedra, che al termine del ciclo di studi di una delle sue classi dilette, si trova ad essere commissario all'esame.
Immaginiamo l'epopea di questo povero commissario che deve sentire per almeno una quindicina di volte (e ciascuna volta dura più o meno un'ora) lo stesso copione, sebbene recitato da attori diversi, con sensibilità diverse, diverse capacità dialettiche e soprattutto modi diversi di vivere l'immancabile ansia da esame. Ah, l'ansia...
Ora, degli attori qui non ne possiamo parlare per ovvi motivi: a tutti loro auguriamo di cuore ogni bene per le loro scelte future a breve e a lungo termine, consapevoli che la vita sarà particolarmente esigente con loro, forse di più di quanto non lo sia stata finora con noi. Suvvia! Finché c'è vita, c'è sper...ansia!
Ci soffermiamo invece sul copione inscenato, che vi riassumo per esigenze di brevità come segue.
Prima Guerra Mondiale... Ungaretti in trincea per la Letteratura italiana; Wilfred Owen e Rupert Brooke per quella inglese; sorvoliamo sul Rapagnetta - pardon, su D'Annunzio - e sul fronte francese troviamo Marie Curie con i radiografi da campo, per la Fisica, e le crocerossine, per l'Educazione civica.
Ogni tanto qualche attacco con il cloro e i suoi derivati, giusto perché anche la Chimica è stata protagonista di questa guerra - "strumento di barbarie", la definì Molinari - con i medici formati sul campo nell'università castrense, i farmacisti che disponevano di poco e niente (soprattutto mancavano gli antibiotici, giunti al termine della seconda guerra mondiale) e i feriti che disinfettavano le piaghe con l'urina (manca all'uopo una nota bibliografica: fornitemela, per favore).
Cos'altro mancava, a parte il fiato allo scrivente? Ah si, forse il calcolo dell'area del campo di battaglia con un bell'integrale definito...
Forse Filosofia, con il salto da Ungaretti a Bergson, salva la lancetta dei secondi che pare sempre più immobile sul quadrante: il tempo della scienza è una collana di perle, tutte uguali e distinte tra loro, il tempo della vita è un gomitolo... o una valanga - come quelle che cadono sulle Dolomiti e colleghiamo così anche Scienze Naturali.
Il vero collegamento mancato - e l'unico davvero sensato a mio avviso - è con il titolo del più noto romanzo di Moravia. La noia.
... pace e gioia! - G. Rossini, dal Barbiere di Siviglia
Nonostante tutto, non hai perso quel guizzo di simpatica ironia che ti contraddistingue. Mi è piaciuto anche il riferimento alla cadenza piccarda. Buona serata!
RispondiElimina... buona serata a te, Annamaria! L'ironia va conservata, come tante altre cose. Sono ben altre le zavorre di cui liberarsi e un po' alla volta provvederò ad alleggerirmi. Grazie per il passaggio! MC
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