Ieri, 10 luglio, abbozzando la presentazione per alcune lezioni che dovrò tenere in autunno, ho riordinato i materiali sulla storia dei coloranti di sintesi, argomento che amavo particolarmente da studente.
Ho riscoperto così che proprio il 10 luglio 1897 la BASF iniziò la produzione dell'indaco sintetico, che sostituì quello di origine naturale.
Diverse sono le vie per ottenere l'indaco in laboratorio, a seconda del materiale di partenza: acido nitro-cinnamico, o-nitrobenzaldeide oppure acido antranilico (ottenibili per ossidazione dal 2-nitrotoluene), N-fenilglicina, etc.
La prima sintesi, perfezionata da Baeyer, partiva da acido cinnamico, dal quale si otteneva l'acido 2-nitro-cinnamico; questo era purificato e trattato con bromo, per bromurare il doppio legame della catena laterale.
Trattando il dibromoderivato con una base, si formava il composto con il triplo legame rappresentato nella figura; previa decarbossilazione, si giunge al cuproderivato (2), dimerizzato e ridotto a indaco.
La sintesi, elegante e laboriosa, geniale per un chimico del XIX secolo, è tuttavia impraticabile industrialmente. Piuttosto impraticabile su grande scala risulta anche la sintesi da acido fenilacetico, vista la natura dei reagenti impiegati, specie negli ultimi passaggi (stagno, cloruro ferrico, tricloruro di fosforo, cloruro di acetile).
Baeyer trova un'altra via, partendo da 2-nitrotoluene, da cui si possono ricavare l'acido antranilico o la o-nitrobenzaldeide.
La sintesi qua sembra tecnicamente più semplice: basta agitare energicamente o-nitrobenzaldeide e idrossido di sodio in soluzione acquosa, gocciolando a poco a poco l'acetone (sintesi di Baeyer-Drewson).
Solo che nel 1882, l'idrossido di sodio e l'acetone non erano disponibili in grandissime quantità sul mercato: per avere il primo (ottenuto al tempo con la reazione di Gossage) bisognerà attendere il processo cloro-soda di Breuer, industrializzato per la prima volta a Griesheim nel 1890; per avere il secondo, a meno di non voler distillare quintali di castagne matte o di acetati metallici, bisognerà attendere l'avvento dell'industria petrolchimica, negli anni Venti del secolo XX, con l'idratazione del propilene e successiva ossidazione. Oggi invece gli ingredienti per realizzare la ricetta ci sono tutti...
La via industriale attuata dalla BASF per la prima sintesi industriale fu perfezionata da Karl Heumann: per reazione di anilina con acido cloroacetico si ottiene la fenilglicina, salificata come sale di potassio. Per trattamento con sodio ammiduro e idrossidi di potassio e di sodio, si ha l'indaco.
Lascio perdere i dettagli del meccanismo di reazione che ho raccontato a un esame dato una dozzina di anni fa (proprio in luglio). Ammiriamo invece l'etichetta che presentava il prodotto e il solido blu, solubilizzato in acqua in forma ridotta e precipitato sul tessuto da tingere per ossidazione all'aria.
Tra i coloranti al tino (vat dyes), l'indaco rimane sempre il n° 1. Esso divenne familiare al grande pubblico grazie alla moda dei jeans, nati da un'intuizione geniale di Levi Strauss, che li concepì come pantaloni da lavoro per contadini, meccanici e minatori. Poi si diffusero oltreoaceano presso i giovani; sbarcati con i soldati yankees alla fine della seconda guerra mondiale, divennero la divisa dei contestatori alla fine degli anni Sessanta e un pantalone di uso comune dagli anni Ottanta in poi: anche stinti, strappati, usurati in vari modi.
A me personalmente non ha mai attirato tanto, come indumento. Preferivo, da giovane, il velluto; da adulto le braghe della tuta o i pantaloni tecnici. Non ho mai provato i pantaloni in pelle e ormai non ho più l'età. A cerimonie non vado, quindi ho risolto il problema dell'abbigliamento adatto.
No, non indosserò i blue-jeans nemmeno per festeggiare i 125 anni dell'indaco sintetico (e anche dell'aspirina, sua coetanea, tra qualche settimana: QUI). Magari potrei vestirmi da Tuareg...
Bene! Siamo giunti alla fine del post. E la conclusione mi pare d'obbligo, nel blu dipinto di blu.
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