Oggi, 6 luglio, spesso in televisione passavano il vecchio film "Cielo sulla palude", realizzato nel 1949 per la regia di Augusto Genina (1892-1957).
Dopo alcune pellicole di propaganda a tema bellico e un silenzio durato sette anni, il regista romano ritornò dietro alla macchina da presa per un tentativo neorealista dal sapore melodrammatico - che tuttavia piaceva ai nonni e a mia nonna in particolare, che ogni anno lo guardava e anche con un certo trasporto.
L'imminenza del Giubileo del 1950 ha certamente condizionato il regista nella scelta del soggetto: il martirio di Maria Teresa Goretti (1890-1902), canonizzata da Papa Pio XII proprio il 24 giugno dell'anno giubilare.
La devozione nei confronti della santa fu propagandata dai padri Passionisti, ma le virtù eroiche furono additate come esempio alle giovani anche da forze laiche e spesso dalle venature anticattoliche, almeno negli anni precedenti alla rivoluzione dei costumi portata dal Sessantotto.
La trama del film è incentrata sulla storia della famiglia del mezzadro Luigi Goretti, originaria di un paesino delle Marche e costretta a spostarsi nell'Agro Pontino per cercare lavoro. La famiglia sarà ospite dei coloni Serenelli.
Il padre contrae la malaria e muore; la vedova e la prole continuano a lavorare; i bambini non frequentano la scuola ma sfidano il fango e le zanzare per recarsi in parrocchia per la messa e il catechismo.
Alessandro, il figlio più giovane della famiglia Serenelli, prova un interesse per Maria Teresa che manifesta dapprima con qualche gentilezza. Poi l'approccio si fa sempre più violento; tenta lo stupro, la ragazza reagisce e lui la ferisce con un punteruolo. Condotta in ospedale, muore di setticemia dopo un intervento chirurgico d'urgenza - sebbene anch'ella mostri i segni della malaria in fase avanzata.
Serenelli viene portato via dai carabinieri. Condannato a 30 anni di carcere, ne sconterà 27 e terminerà i suoi giorni come terziario francescano.
Che dire? Denutrizione, malaria, mancanza d'igiene, assenza di educazione e di istruzione - che non fosse quella religiosa.
E c'è chi continua a dire che si stava meglio quando si stava peggio, quando si risparmiava acqua perché non c'erano sciacquoni del wc da tirare ad ogni minzione, quando i campi erano solo quelli da coltivare e non quelli per giocare, quando i pantaloni si passavano di fratello in fratello e si rammendavano all'inverosimile (anche se un rattoppo nuovo faceva più grande lo sbrego vecchio), quando non si comperavano scarpe perché si andava scalzi - ma le ragazze dovevano avere il velo per entrare in chiesa e il fazzoletto per coprire il capo fuori casa, altrimenti erano subito additate come poco di buono.
Senza nulla togliere alla purezza di qualche anima pia che ci sarà stata allora - come c'è oggi e ci sarà in futuro, come fiori di loto in mezzo alle paludi morali così difficili da bonificare, dove imperversano malarie spirituali ben peggiori di quelle causate dal plasmodio, devo dire che apprezzo molto il benessere, il nostro mondo materiale, la pulizia di cui possiamo godere noi, le case luminose e confortevoli, con il bagno e l'acqua corrente che certamente dobbiamo usare con criterio, come con criterio dobbiamo disporre di tante altre cose che la modernità ci dà.
Per buona pace dei passatisti, non si stava meglio quando si stava peggio, tanto spiritualmente quanto materialmente. E chi afferma il contrario, è solo una povera anima che predica la miseria per gli altri, non certo per sé.
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