La paura della Chimica, la convinzione che naturale sia meglio che sintetico, l'ignoranza delle informazioni essenziali sui composti chimici, il desiderio impossibile e irrazionale del "chemical free", tutti prodotti di una situazione complessa che va da effettivi rischi ed incidenti ad informazioni distorte ed anche alla scarsa presenza della "chimica ufficiale" nel campo della controinformazione e della denuncia dei rischi. Quelli veri: è questo il tema di una splendida riflessione che possiamo leggere QUI, sul blog della Società Chimica Italiana, a firma del professor Campanella, che mi sono permesso di commentare come segue.
Gentile Prof. Campanella, leggo e apprezzo il suo intervento di oggi sulla Chemofobia e sulla contrapposizione del termine “chimico” a “naturale”, come se tutto ciò che appartiene alla categoria “naturale” sia salutare. Come ci è noto, anche l’aconito è naturale, il bacillo di Koch è naturale, la tossina botulinica è naturale, il virus della febbre gialla è naturale, le emissioni vulcaniche gassose sono naturali: eppure nessuna di queste può dirsi “salutare”.
Sul ruolo della scuola: ben vengano i concetti semplici e gli esempi pratici concreti, ma oggi più che mai la vita quotidiana di una buonissima parte degli studenti passa per l’utilizzo smodato dello smartphone e manca di molte esperienze che per le generazioni precedenti erano abbastanza comuni: dallo “smanettare” sui motorini allo scoppio di un petardo a capodanno, dall’uso di detergenti per contribuire attivamente all’igiene domestica alla realizzazione delle prime esperienze gastronomiche in cucina con la mamma o con la nonna.
Anche alcuni giocattoli e passatempi offrivano spunti per approfondimenti a tema chimico: le classiche fialette “puzzolenti”, la “sabbia magica”, la pasta per modellare, i colori, etc. Tutto questo è passato in secondo piano, soppiantato dallo schermo di un pc, di un tablet, di uno smartphone, dove troppo spesso “divertimento chimico” è sinonimo di “spettacolare” e di “esplosivo” (notare i numerosi video su youtube, specie in lingua inglese, che insegnano a nitrare il cotone e a produrre l’acetilene, ad esempio. E non mi dilungo, detestando io la “chimica da garage”), senza la percezione della reale pericolosità e senza l’occasione per riflettere su di essa.
L’educazione chimica (e scientifica in generale: geologia, astronomia, microbiologia, botanica, zoologia non se la passano meglio della chimica) dovrebbe continuare per tutta la vita, ben oltre il termine del periodo scolastico. Salutiamo a proposito il ruolo importante offerto dai corsi di aggiornamento per i lavoratori (in materia di salute e sicurezza, in primis) ma anche dall’attività meritoria delle “università popolari”, che si propongono di abbracciare un pubblico più vasto pur in territori spesso lontani dalle grandi Accademie.
Il problema della divulgazione della cultura chimica e degli attori di questa divulgazione è tuttora aperto, specie su tematiche stringenti come il mondo Green, il Climatic Change, il Global Warming. Su di esse scrivono vari autori di diversa formazione professionale (dall’ingegnere all’economista, dall’antropologo allo storico, dal geologo al linguista, dal politico all’attivista, etc.) e possiamo allora leggere libri, articoli su giornali e riviste, opinioni su blog e social network.
Investire sulla scuola è doveroso, importante, prioritario, necessario ma non sufficiente, se non si dà a ogni cittadino l’opportunità di restare correttamente aggiornato in ogni momento della sua vita, avendo riferimenti sicuri a cui rimettere interrogativi e dubbi.
E’ il paradosso del mondo moderno, talmente iperconnesso da essere travolto da una sorta di “tsunami” di dati che esso stesso ha generato: in esso abbiamo le risposte per tutte quelle domande che non sappiamo più porci. Grazie, Professore. E auguri di liete festività. (mc)
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