Tanto per cambiare, continua a piovere. Gli alberi da frutto emettono i fiori, le api impollinano, ma tutto è reso immensamente triste da quest'acqua, fredda, eterna e greve - direbbe il Poeta - che continua a cadere sullo sfondo di un cielo plumbeo. E resto tranquillamente chiuso in casa a correggere verifiche, leggere o a guardare la tv. Ogni tanto mi alzo per governare il fuoco nella stufa e verso le quattro e mezza metto a scaldarsi l'acqua per il tè - l'infuso delle foglie di Camelia sinensis.
Mi piacerebbe accennare alla chimica del té, ricco di alcaloidi (caffeina, teofillina) e di polifenoli (tannini) che all'aggiunta di qualche goccia di limone sono coinvolti un cambiamento di colore: il liquido scuro diventa chiaro. E' un tipico viraggio di un indicatore acido-base naturale.
Intanto il gatto riposa rannicchiato sulla poltrona. Nel video sotto lo vedete giocare, mentre la voce in sottofondo - quella del doppiatore di un dotto personaggio di una serie tv americana - racconta l'importanza della cerimonia del tè nella tradizione del Giappone.
Dubito che in vita mia mi spingerò tanto lontano: primo, perché la famiglia mi ha condannato all'ergastolo nell'odiato e piovoso paesello; secondo, perché occorre una certa disponibilità economica e da insegnante non guadagno così tanto da pensare a un viaggio di piacere nel Sol Levante; terzo, perché il giorno che metterò da parte il tanto sospirato gruzzolo sarà per recarmi verso altri luoghi che hanno la priorità.
QUI parlavo delle Ande, una delle mete da me agognate, ma prima ricordavo il gesuita Kamel, missionario nelle Filippine, dal cui nome deriva quello del genere botanico Camelia. Non fu lui a scoprire tale genere, ma il buon Linneo volle ricordarlo per il suo impegno di botanico.
Kamel descrisse invece la fava di Sant'Ignazio (Strychnos ignatii), un'albero delle Loganiacee che emette dei fiori bianchi, profumati, a cinque petali. Il frutto ha forma e dimensioni piriformi; contiene dei semi bruni, di forma prismatica irregolare, noti come fave di Sant'Ignazio. Tali semi sono ricchi di alcaloidi quali brucina e stricnina.
Tali alcaloidi sono estremamente velenosi, causano convulsioni, opistotono e morte per asfissia, e per questo le piante che li producono, appartenenti tutte al genere Strychnos (es. Upas tieuté; Nux vomica), furono usate dagli indigeni per avvelenare le punte delle frecce.
Estratti delle medesime furono commerciati come topicidi e qualche volta impiegati a scopo omicida, per eliminare il coniuge o altre persone sgradite. Mia nonna ne storpiava il nome in un dialettale strachenina.
Gli studi sugli effetti fisiologici di queste sostanze furono condotti, per oltre trent'anni, anche all'Istituto Superiore di Sanità in Roma e meritarono al ricercatore italo-svizzero Daniel Bovet il premio Nobel per la medicina nel 1957.
Lo studio degli effetti convulsivanti della stricnina hanno permesso di chiarire il meccanismo dell'inibizione post sinaptica mediata dalla glicina, della quale l'alcaloide è un antagonista selettivo competitivo.
Analoghe considerazioni si possono formulare per la brucina, che per il chimico organico è una 2,3-dimetossi-stricnina: anch'essa compete con la glicina per i canali del cloruro, impedendone l'ingresso all'interno della cellula.
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