One is always at home in one's past - Si è sempre a casa nel proprio passato - scriveva Vladimir Nabokov (1899-1977) in Speak, Memory - Parla, ricordo - ed Adelphi.
Voglio non essere d'accordo con il grande scrittore russo e voglio ribellarmi a questa posizione - per scoprire un domani che forse potrebbe avere ragione. Intanto:
- Devo trovar un modo per evadere, per mettere in discussione, per cambiare il modo in cui la mia storia personale vive in me.
- Devo riconfigurare la mia vita ed instaurare un rapporto diverso con la sua evoluzione e le sue svolte.
- Devo aggiornare i miei ricordi, svecchiarli; e rivalutare il significato degli eventi chiave.
Tutti siamo capaci di inventare il futuro, ma solo chi è saggio può dar forma al passato, proprio e non solo. Devo cercare questa saggezza, cosa ovviamente non scontata e non facile.
Non sono un seguace dell'antroposofia di Rudolph Steiner, ma devo riconoscere che la mia vita, per come si è sviluppata finora, è davvero riconducibile a sei grandi cicli settennali, che comprendono, nell'ordine:
- gli anni spensierati dell'infanzia;
- gli anni dimenticati della scuola dell'obbligo;
- gli anni tristi del liceo e dell'immediato dopo, di cui porto solo tanto dolore;
- gli anni svaniti dell'arte e della religiosità, evaporati come uno sversamento di etere al sole;
- gli anni veneziani, con la chimica e la disillusione della ricerca di un futuro migliore;
- gli anni tranquilli dell'insegnamento, nella quieta mediocrità della provincia.
Ora inizia il settimo steineriano ciclo settennale che vorrei fosse un prolungamento dell'ultimo, tutto sommato sereno, irenico, senza troppe seccature. Via le zavorre, via i rimpianti, via i progetti impossibili, via le chimere: tutto per far spazio alla saggezza.
Max Pezzali, Gli anni...
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