venerdì 23 giugno 2023

La città dolente ...


Estate, tempo di relax e di letture. Ecco il primo libro che ho letto tutto d'un fiato, l'altro giorno: è opera di Axel Munthe (1857-1949), medico svedese, laureato a Parigi, innamorato di Napoli e soprattutto di Capri, dove ha costruito la celeberrima Villa di San Michele - a cui ha dedicato l'omonima "storia" nel suo romanzo più famoso.


Axel: nome bellissimo, di origine ebraica, tradotto in italiano con Assalonne - che significa "il padre (ab) è pace (shalom)".

Tornando a Munthe: alla lettura della Storia di San Michele ho dedicato le mie vacanze di Pasqua e alla città dolente invece ho concesso il tempo iniziale della mia pausa estiva. La città dolente è Napoli, attanagliata dall'epidemia di colera tra il 1884 e il 1885. 

Felix Mendelssohn Bartholdy, Napoli e il Vesuvio - acquerello

Da buon medico, Munthe accenna al colera, a Koch, ai vibrioni e agli altri microbi; ma le parole più toccanti sono spese a raccontare il dramma della gente comune di allora, che spesso non ha nome nemmeno sui registri dell'anagrafe, che vive stipata in tuguri, che mangia si e no, che campa di espedienti o di lavori umili. 

Gente comune che nella miseria esprime tuttavia i più grandi e anonimi atti di carità: un po' come quella vedova che nel vangelo dona l'unica moneta che possiede al tempio, a dispetto degli spiccioli sbolognati dai notabili per tranquillizzarsi la coscienza. 

Gente comune che sa come negli ospedali si vada a morire e temono il personale sanitario quanto la forza pubblica - espressione dell'Italia post-unitaria.

Munthe ha raccontato tutto ciò in una serie di lettere, indirizzata a un giornale di Stoccolma, poi raccolta e pubblicata, dapprima in svedese e poi in inglese.


Nei racconti di Munthe, stava Napoli dolente mentre i suoi figli più fragili soffrivano la croce del colera: come stava Maria dolente presso la croce dalla quale pendeva il figlio. E mentre rileggo qualche pagina del medico, ascolto lo Stabat Mater di Pergolesi in una strumentazione nuova, secondo un manoscritto conservato a Genova. Oltre agli archi e al continuo, anche gli oboi: e parti corali si alternano alle due voci soliste della redazione originale.

L'eterno spirito religioso popolare traspare non solo nelle note di Pergolesi, vecchie ormai di tre secoli, ma anche dal racconto di Munthe: tra l'odore del fenolo e dello zolfo combusto, si spargono i suoni delle nenie e delle preghiere. Due ceri accesi e un'immagine sacra non mancano mai pur nelle case più povere, dove non trovasi un bicchiere di latte.


Fede o superstizione? Devozione o paganesimo? Francamente non saprei dirlo. Il mio personale sentire è lontano nel tempo, nello spazio e nella cultura da quello che emerge tra le righe. Forse ogni tanto provo un desiderio di quella vita spirituale che riconosco in me come morta, barbaramente assassinata dal parrocchialismo, novella e perniciosa eresia scaturita dall'oscena commistione tra collettivismi (qua rosseggianti, là fiammeggianti) e dottrine comunitariste pseudo-cristianeggianti post-conciliari. 


E poi mi resta la consolazione della natura - che non è matrigna ma saggia ed onesta genitrice, la quale ci ricorda come la materia di cui siamo fatti le appartiene e prima o poi dovremo restituirla tutta perché la vita, nella sua complessità biologica, continui a perpetuarsi. 

Secondo quanto si insegnava prima del dilagare dell'eresia di cui sopra, dopo la dissoluzione del corpo resta (o dovrebbe restare) l'anima: creata da Dio per l'eternità, chiamata alla vita dello Spirito, macchiata dalla fragilità, bisognosa di redenzione - che si consegue con la fede nel sacrificio dell'unico Salvatore. 

Meta della fede è la salvezza dell'anima: e non un vago vulemmose bbene. E nemmeno un pareggio di bilancio; o la coreografia perfetta del uattanciù. Alla fine di tutto, che m'importa? Vivo meglio lontano, immerso nella natura tra il canto degli aves, sempre intonato e a tempo, a differenza di quello dell'Ave, che dal vivo ho percepito più di una volta stonato, troppo spesso sopra le righe. Ammutolisco. Che m'importa? - vado ripetendomi. E a voi, tuttavia, lascio qui Pergolesi e Munthe, anch'essi poco utili alla causa dell'eresia: due anime ad essa sopravvissute che certamente potranno fare ancora del bene.

1 commento:

  1. Ai tempi del liceo o poco dopo avevo letto La storia di San Michele e mi era piaciuta moltissimo. Poi sono stata anche a Capri.
    Sempre raffinate le tue proposte di lettura e di musica. Ma - scusa se te lo dico - quanto scegli e scrivi è segno di una spiritualità a mio modesto avviso tutt'altro che morta, e se rifiuta il parrocchialismo di cui parli, è perchè cerca radici più pure ed essenziali.
    Grazie!

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