Il 3 settembre 1928 è una data importante nella storia della Medicina e - vorrei dire - della civiltà. In quel giorno, Alexander Fleming (1881-1955), tornò nel suo laboratorio di batteriologia dopo un periodo di vacanza con la famiglia e scoprì che alcune colture di stafilococchi erano state devastate da una muffa appartenente al genere Penicillium.
Che muffe appartenenti a questo genere fossero in grado di contrastare i batteri era già stato osservato da John Burton nel 1870, da Vincenzo Tiberio nel 1895 e da Bartolomeo Gosio nel 1896.
In particolare, gli studi di quest'ultimo scienziato meritano forse di essere ricordati. Cercando di spiegare l'insorgenza della pellagra nei consumatori di mais, Gosio si imbatté in un micete del genere Penicillium che produceva una sostanza con proprietà fenoliche, denominata acido micofenolico.
Tale composto mostrava la capacità di inibire la crescita di colture di Bacillus Anthracis, ma anziché approfondire le ricerche in quest'ambito, Gosio preferì dedicarsi agli studi sulla pellagra (per altro giungendo a conclusioni non corrette, come spesso capita a chi fa Ricerca).
A detta di Howard Florey (1898-1968), che riconobbe il lavoro di Gosio a distanza di mezzo secolo (cfr. The Lancet. Vol 247, n. 6.385, 1946, p. 46-49), l'acido micofenolico (e non la penicillina) fu la prima sostanza dal potere antibatterico ad essere isolata da un fungo, anche se detto composto è oggi utilizzato come sale sodico in qualità di immunosoppressore.
Florey giocò un ruolo chiave nel trasformare l'osservazione di Fleming, per altro accolta freddamente dalla comunità scientifica quando fu presentata, in un'industria.
Nato in Australia e conseguita la laurea in medicina, Florey si traferì a Oxford, in Inghilterra, e poi negli USA per perfezionare le sue conoscenze dedicandosi alla ricerca. Rientrato in Inghilterra nel 1927, fu a Cambridge e poi, dal 1932, di nuovo a Oxford.
Nel 1935 vi conobbe Ernst Boris Chain (1906-1979), un giovane biochimico, ebreo e tedesco, con il quale instaurò una proficua collaborazione. Chain si occupava di agenti anti-infettivi di origine naturale, come l'acido micofenolico di Gosio, il lisozima e le muffe di Fleming.
Dal 1936 focalizzarono l'attenzione sulle muffe e toccò a Chain isolare la penicillina in forma pura, adatta ad essere sperimentata sugli animali (1940) e sull'uomo (1941).
Perfezionato il metodo di purificazione, Florey - di sua iniziativa e all'insaputa di Chain e di Fleming - si recò negli USA per cercare l'appoggio delle industrie farmaceutiche a stelle e strisce al fine di avviare la produzione su grande scala.
Intanto, in Inghilterra, la guarigione di un amico di Fleming, malato di meningite e trattato con la penicillina, catturò l'attenzione dell'industria farmaceutica britannica, fino a quel momento impegnata a sostenere lo sforzo bellico.
Il 25 settembre 1942, in una riunione alla quale parteciparono Fleming, Florey, Chain e i rappresentanti delle industrie, si decise di fare fronte comune e di condividere conoscenze e tecniche per produrre in fretta il nuovo farmaco, rinunciando ai guadagni. Per i tre scienziati cominciavano ad arrivare tuttavia onorificenze e riconoscimenti; nel 1945, il Nobel.
Chain, dopo la fine della guerra, seguì la costruzione di vari impianti per la produzione di penicillina in Europa, anche al di là dell'Oder, e questo non piacque ai conservatori inglesi che, al suo ritorno sul suolo britannico, gli fecero trovare molte porte chiuse e mancare i mezzi necessari per proseguire le sue ricerche ad Oxford.
Dal 1948 egli si trasferì a Roma, invitato dal chimico Domenico Marotta (1886-1974), direttore dell'Istituto Superiore di Sanità. Chain progettò e diresse la fabbrica di penicillina interna all'Istituto, inaugurata nel 1952. Nel 1963 tornò a Londra, per insegnare all'Imperial College, fino al 1973, anno del suo ritiro.
Anche Fleming fu più volte in Italia: nel 1950 inaugurò, a Roma, la fabbrica di penicillina Leo; a Milano visitò altri stabilimenti farmaceutici dediti alla produzione di antibiotici (nel frattempo, in pochi anni, furono scoperti la streptomicina, il cloramfenicolo, la cefalosporina, etc.).
Insomma, all'inizio dell'era degli antibiotici anche l'Italia ha giocato un ruolo non proprio di secondo piano. E adesso? Che cosa rimane?
Rimangono le macerie
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