Capita di incontrare qualcuno che nella sua vita crede di poter fare, da solo, più strada di quanto ne abbia percorsa l'Uomo (o meglio, il genere Homo) nell'arco di tutta la sua Evoluzione, rappresentata fantasiosamente nell'immagine sottostante.
Lasciandosi alle spalle l'evoluzione dell'Uomo, magari senza averla studiata, ciascuno a mio modesto avviso è libero di credere quel che vuole, ben s'intenda.
Vorrei soffermarmi ora sull'immagine che ha ispirato questa rappresentazione: l'originale compare per la prima volta nel 1965 e mostra un primate - con una locomozione sui quattro arti - che progressivamente si alza arrivando ad assumere sembianze sempre più antropomorfe, attraversando una successione di ominidi antichi ed arcaici (Australopitecus sp. e le prime specie del genere Homo) fino al risultato finale: Homo sapiens.
L'immagine è stata presa dal libro The Early Man che non aveva come scopo quello di illustrare l'evoluzione umana, con la conseguenza che questa marcia del progresso divenne popolare fornendo un'idea falsa a più livelli.
L'uomo, come ogni organismo vivente, non sfugge all'evoluzione ed ai suoi meccanismi. Evoluzione richiama il cambiamento - tema della mostra di cui dissi al post precedente - ed anche l'uomo cambia. Siamo diversi, oggi, dagli esemplari del genere Homo di 100 anni fa, come da quelli di duemila anni fa e così via: questo perché l'uomo non costituisce un punto di arrivo dal punto di vista evolutivo.
Il pensiero comune, fino a qualche tempo fa, conduceva a concepire l'evoluzione come se avesse una finalità, un punto di arrivo - che in questo caso rappresenterebbe l'uomo come massimo esponente tra gli animali, il più intelligente e perfetto, in accordo con alcune dottrine religiose e filosofiche.
Theilard de Chardin (1881-1955), gesuita e antropologo, parlava di punto omega e passava poi a considerazioni metafisiche, quasi mistiche, enunciando il suo credo e conservando tuttavia il rigore del metodo nei suoi studi sul Sinantropo.
Questo concetto (punto di arrivo, punto omega), evolutivamente parlando, è incorretto perché l'evoluzione (biologica) non è lineare, ma può essere rappresentata con un diagramma ad albero assai ramificato, o "come un ramo di corallo" secondo quanto scrisse Darwin nei suoi taccuini (immagine sotto), dove soltanto la parte superiore (parte viva) contiene i discendenti viventi che a loro volta hanno degli antenati comuni che formano la parte basale (parte morta).
Infatti ogni antenato comune di qualsiasi organismo non è più in vita, come quello condiviso dall'uomo e dagli scimpanzé che, con continue mutazioni ed altri meccanismi evolutivi, ha portato alla divergenza di questi due grandi gruppi - isolati geograficamente dal formarsi del gran Rift africano: gli antenati degli scimpanzé si sarebbero evoluti nelle foreste dell'attuale Congo, mentre Homo avrebbe compiuto il suo cammino evolutivo nella savana, tra Tanzania e Kenya, dove sono stati ritrovati gli scheletri di alcuni ominidi come Lucy.
Con una enorme semplificazione, si potrebbe azzardare e dire che, fino a circa sette milioni di anni fa, abbiamo percorso, evolutivamente parlando, la stessa strada per poi intraprendere percorsi differenti, alcuni dei quali conclusi con l'estinzione, altri giunti fino ad oggi con le specie attuali ma non definitive.
A chi afferma sbrigativamente che l'uomo discende dalle scimmie rispondiamo: non di certo da quelle che oggi chiamiamo scimmie, evolutesi parallelamente agli altri animali, ma forse da qualche avo comune. La ricerca continua e per ora assumiamo i risultati relativi al cammino percorso, in attesa di compiere un passo avanti.
Il merito della rappresentazione offerta in apertura del post - opera degli studenti di un liceo artistico - consiste nel tracciare un parallelo, in un modo un po' improbabile, tra l'evoluzione biologica e l'evoluzione delle culture.
Il celeberrimo genetista Luigi Luca Cavalli Sforza (1922-2018) ha il merito di aver condotto, con rigoroso approccio scientifico, un'indagine accurata sul rapporto sussistente tra evoluzione culturale ed evoluzione biologica.
Tale indagine resta ancora oggi una fondamentale introduzione a qualsiasi discussione sui temi del valore della genetica nella cultura e delle reciproche influenze tra sfera naturale e sfera culturale.
Le sue riflessioni sono state raccolte in un libro che mi permetterei di consigliare, L'evoluzione della cultura (Codice Edizioni), utile per capire che cosa sia la cultura.
Cavalli Sforza ci ha regalato un affascinante affresco dell'innovazione e della conservazione culturale alternativo alle ricostruzioni incentrate esclusivamente sulla selezione genica, con conseguenze di grande rilievo per i nostri modi di concepire le differenze culturali, la presunta esistenza di "razze" umane (virgolette d'obbligo e link da consultare clikkando!), le culture nazionali e le loro relazioni.
QUI trovate la recensione su Le Scienze; avevo acquistato il libro in allegato alla rivista, ormai qualche anno fa. Ma si tratta di una lettura sempre valida e di un approfondimento che va bene proporre reiteratamente anche tra i banchi di scuola.
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