Illegio è un borgo di molini tra le montagne della Carnia, non lontano da Tolmezzo: da diversi anni, ormai, per iniziativa di don Alessio Geretti, sacerdote appassionato, e di un attivo comitato organizzatore, è sede di mostre a tema, veri e propri percorsi per riflettere attraverso la contemplazione del Bello.
Lo spunto di quest'anno è riassunto nella parola scelta per dare il titolo alla mostra: cambiare. Una chiave di lettura è stata offerta dalla professoressa Lidia Rui sul blog dell'associazione Pig&Menti che potete leggere QUI.
Sabato 16 ottobre, penultimo giorno, siamo andati a vederla pure io e il mio collega di matematica, professor Simone Tramontin. L'appuntamento era per le 18:40, sicché siamo partiti nel pomeriggio e abbiamo scelto, come strada di andata, di passare per il Cadore. Ecco Lorenzago.
Oltre il passo della Mauria, ecco la Carnia, con i suoi paesaggi selvaggi raccolti tra le Dolomiti friulane.
I colori dell'autunno rendono il paesaggio ancora più gradevole. Il viaggio è stato interrotto solo da un controllo di routine da parte di una pattuglia di carabinieri, unica presenza antropica incontrata nello spazio di diversi chilometri.
Per il resto: boschi, boschi e ancora boschi. E qualche centro abitato: Forni di sopra, Forni di sotto, la deviazione per Sauris, poi Ampezzo Carnico, etc.
E poi, in fondo alla lunga valle, il monte Amariana domina la scena, con la sua forma piramidale, e sovrasta Tolmezzo. Alla sua sinistra è incastonato, come una piccola gemma, il paese meta del nostro pellegrinare. Confesso di essermi perso nell'ammirare gli strati di rocce, le spaccature, le frane. Approfondirò.
Ecco invece le luci della sera dal parcheggio di Illegio.
Volgendo lo sguardo a destra, sul colle al centro della foto, si erge maestoso il profilo della Pieve di San Floriano, che visitai ormai molti anni fa. San Floriano è un patrono caro alla devozione delle genti di montagna, invocato contro incendi ed alluvioni.
Ecco la roggia con la ruota idraulica ancora in funzione, che ha ispirato al professore una dotta disquisizione sull'energia e sulle sue trasformazioni, da potenziale a cinetica a rotazionale.
Ecco la ruota in una foto più dettagliata.
All'interno non è stato possibile scattare fotografie, per cui riprendo qualche particolare dal depliant, a cominciare dalla Maga Circe di Wright Barker (1889).
Ecco Gambogi, con la rappresentazione dei migranti italiani che partono per l'Argentina dal porto di Livorno. Tra questi migranti vi fu, in un tempo ormai lontano di cui si perde facilmente la memoria, anche lo zio Toni, fratello della madre di mia nonna paterna, che al di là dell'oceano fece fortuna e fondò un paese (non so quale sia, ma mi piacerebbe saperlo).
Lo zio Toni diede pure un contributo diretto all'incremento demografico di questo paese, in quanto egli aveva il vezzo di ingravidare tutte le cameriere che lavoravano nell'albergo di cui era proprietario, ma questa è un'altra storia che ci porta fuori tema.
Nelle varie sale erano poi esposte opere dei Prerafaelliti, di Monet, di van Dyck, di Picasso, di Balla, di Fontana (questi ultimi tre a rappresentare i cambiamenti nell'arte del XX secolo).
L'ultima sulla quale mi soffermo è la copia, eseguita nel 1893 da Edmond Leroy - Dionet (1860-1939), del celebre capolavoro di Delacroix, La libertà che guida il popolo. Facciamo un breve ripasso, aiutandoci con una mappa concettuale?
Ecco la foto della copia di Dionet, ripresa sempre dal depliant.
Vorrei soffermarmi su un particolare, quel seno nudo per il quale Delacroix si è ispirato alla Venere di Milo e che Dionet ha ripreso - ma non in modo troppo fedele. Questo è il dettaglio dall'originale di Delacroix.
Nella copia di Dionet, ha attirato la mia attenzione la parte destra del seno: osservandolo, il capezzolo appariva meno definito di quello di Delacroix e le pennellate sembravano tratteggiare come una tumefazione, che mi ha portato a fantasticare l'idea di una libertà malata destinata a fine prematura, quella che guida il popolo nelle rivoluzioni.
Ecco il dettaglio di Dionet che -ben s'intenda - sono io ad interpretare come la rappresentazione di una tumefazione (vedi frecce in rosso), mentre qualcun altro più qualificato di me potrebbe liquidare come qualche pennellata data in modo poco efficace.
Attendendo allora che qualcuno rappresenti l'allegoria della tirannia nell'atto di seppellire la libertà con quanti sono morti per essa, prendiamo la strada del ritorno.
Dopo una sosta a San Daniele del Friuli e una cena - dal museo al teatro, come ha fatto notare il professor Tramontin, visto che ci siamo fermati a mangiare presso la deliziosa Trattoria al Teatro - abbiamo continuato il nostro viaggio ascoltando un po' di musica.
La scelta finale è caduta sulla seconda parte dell'oratorio La Creazione di Haydn, trasmessa da Radio Tre. Ne accennavo qualche post fa e la domanda che mi pongo è sempre la stessa: come mai l'Evoluzione non ha ispirato un capolavoro - musicale o figurativo - degno di stare accanto alle opere che rappresentano invece la Genesi?
Mentre ascoltiamo il coro finale, con la fuga sull'Amen, ecco in cielo la Luna congiungersi a Giove e a Saturno, mentre le nubi velano la scena, quasi per celeste pudore. Quello che ormai quaggiù, sulla Terra, si è perso.
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