venerdì 29 aprile 2022

Trieste: letteratura e scienza

Passeggiando per le vie di Trieste, soprattutto nella parte storica della città, mi è capitato di imbattermi nelle statue a grandezza naturale di Gabriele D'Annunzio e di Italo Svevo; e di notare alcune targhe che evidenziavano quali luoghi erano frequentati dai letterati e dagli uomini di cultura - come Saba, Joyce, Rilke e altri, fino alla scrittrice Susanna Tamaro - che mi è sembrato di aver intravisto l'altro giorno seduta ai tavoli della gastronomia Siora Rosa - un posticino niente male per consumare velocemente qualche piatto tipico. 

Probabilmente mi sarò sbagliato; ma qualche copia del suo ultimo lavoro, Invisibile meraviglia, faceva bella mostra di sé nelle vetrine della Libreria del Centro.

Qualche istante prima di lasciarmi catturare dalla vetrina della libreria, avevo ceduto alla tentazione di fare un selfie con il Vate davanti al Palazzo della Borsa. Il mio pensiero era frattanto corso a "Forse che si, forse che no", l'ultimo romanzo suo, pubblicato nel 1910 e ambientato nel mondo dell'aviazione.  

Geograficamente la vicenda narrata si colloca in Toscana: a poche righe di quest'opera dannunziana deve il nome la Piazza dei Miracoli a Pisa. 

L'àrdea roteò nel cielo di Cristo, sul Prato dei Miracoli. Sorvolò le cinque navi concluse del Duomo, l'implicito serto del Campanile inclinato sotto il fremito dei suoi bronzi, la tiara del Battistero così lieve che pareva fosse per involarsi gonfia di echeggiamenti. 

E poi, ad un certo punto, ecco la descrizione dei soffioni della Val Cecina, che dal 1904 erano stati sfruttati per produrre energia elettrica grazie a una geniale intuizione del principe Ginori Conti.

Come gromme di tartaro, come coaguli di sangue, biancheggiavano, rosseggiavano, le crete ei tufi giù per le mature e per le lacche. Era la riviera del bollor vermiglio quella che fumigava a valle della vecchia roccia? Quella che luceva tra le grotte allamate era la lorda pozza ove Dante vide fitti nel limo gli iracondi? (pp. 183-184)

E ancora:

Bolliva e soffiava come se per entro vi salisse l’ansito e il gorgoglio dei dannati fitti nel limo, come se nel fondo vi s’agitasse la mischia perpetua degli iracondi: il riferimento è chiaramente al canto VII dell'Inferno dantesco. Rileggiamone alcuni versi, dal 100 al 120.

Il viaggio di Dante non è certamente un giro in gondola per i canali della mia amata Venezia - come potrebbe sembrare invece esserlo quello di Ade, con i suoi fiammeggianti capelli color metano urente, nel disneyano Hercules.  

Forse per calmare i bollenti spiriti degli iracondi potrebbe giovare un po' di quel Veronal che Svevo descrive ne "La coscienza di Zeno" (1923): si tratta di un barbiturico inventato da Emil Fischer e Joseph von Mering nel 1903, usato un tempo come sonnifero - e in dosi eccessive come veleno per commettere suicidio: per questo, a partire dagli anni Settanta, è stato largamente sostituito, nella pratica clinica, dalle benzodiazepine.

Stando al quinto capitolo del romanzo di Svevo, durante una gita in barca, Guido Speier intrattiene il cognato Zeno Cosini in una lunga disquisizione se sia meglio il Veronal puro o il Veronal sodico (più idrosolubile del primo): d'altronde Zeno si iscriveva, ad anni alterni, a chimica e a giurisprudenza e il sodio era l'argomento dell'unica lezione di chimica a cui avesse assistito. 

Lasciando al navigatore il piacere di leggere il romanzo e di scoprire che brutta fine farà il povero Speier, ricordiamo che anche lo scrittore lasciava a desiderare, in quanto a equilibrio mentale (e pure lo scrivente, ma su questo per oggi soprassediamo). 

Spesso Svevo abbisognava di una cura ricostituente e per questo si recava in piazza Cavana per acquistare il Vino di China Serravallo in una farmacia - tuttora esistente (anche se intitolata "Al Redentore") e arredata con mobili dell'epoca

Un gesto che ho compiuto pure io, ricordando Svevo, i suoi personaggi - incapaci di adattarsi alla vita in un mondo che muta: ecco gli "inetti" - e anche i miei nonni, che "si tiravano su" con un tuorlo d'uovo sbattuto con lo zucchero e un cucchiaino di ferrochina: il ricostituente dal colore nero e dal sapore rugginoso, ottenuto complessando gli ioni ferro con i polifenoli e gli alcaloidi degli estratti idroalcolici vegetali.


Alla prossima!

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