Oggi, 22 novembre, ricorre la memoria di Santa Cecilia, patrona della musica e del canto: la martire romana, uccisa per la sua fede, è tradizionalmente raffigurata mentre tiene in mano strumenti musicali e questa associazione nasce per una larga interpretazione del testo di un'antifona in suo onore, cantata nei vespri della ricorrenza liturgica.
Mentre suonano gli strumenti, Cecilia cantava nel suo cuore immacolato le lodi al Signore: per questo la martire è invocata a protezione della musica e del canto. Molte accademie sono a lei intitolate, anziché alla pagana musa Euterpe.
Spesso è raffigurata con l'organo portativo, come nel dipinto barocco di Simon Vouet (1590-1649) - che potete ammirare sotto in dettaglio. Questa associazione mi ispirò una messa per voce sola e organo, che scrissi più di vent'anni fa, quando ero giovane, creativo ed ero dedito ad altre cose che poi per mia fortuna ho dimenticato. La intitolai "Messa di Santa Cecilia", che fu eseguita da un'amica sia nella versione originale sia nella versione per ensemble di fiati.
Il video propone una registrazione dell'Agnus Dei; la qualità dell'audio è decisamente pessima, ma basta per farsi un'idea di cosa combinavo quando la barba era corta e nera e la mente era libera di fantasticare. Non preoccupatevi, adesso che la barba è lunga e bianca, ho smesso di violare la carta da musica e questo da molto tempo; come ho smesso di frequentare certi ambienti di cui non sento affatto nostalgia.
Comunque, quella composizione fu eseguita integralmente nella chiesa di Santo Stefano a Belluno il 24 novembre 2005 e furono registrati anche tutti gli altri movimenti: esiste un cd, realizzato da due persone cui rinnovo ancora la mia gratitudine. Il cd ha solo un valore documentario; le due persone di cui sopra non sono più tra noi.
Tre giorni dopo quel concerto, ero a Roma, nella Basilica di Sant'Andrea delle Fratte, dove ebbi modo di far eseguire una messa a tre voci da me scritta. Da allora, nell'Urbe non tornai più.
Negli anni seguenti riscoprii l'interesse per altre cose; musica e religione caddero in secondo piano, come è ormai noto a chi frequenta il mio blog. E oggi, 22 novembre, è sempre il compleanno di un amico filosofo che spero di incontrare nel tardo pomeriggio a Saint Germain de Belun.
Ho preparato questo post quasi due anni fa, il 13 settembre 2020. Visto che il tema si accompagna bene con un mio sentire sempre più forte di questi giorni, come potete leggere anche QUI, ho deciso di pubblicarlo. Si tratta di un brano di Maria Valtorta (1897-1961), una mistica italiana del secolo scorso, piuttosto discussa (e anche condannata dal Sant'Uffizio) per i contenuti dei suoi scritti ispirati alla vita della Madonna e al Vangelo - "così come mi è stato rivelato" (e la Chiesa ha ribadito di non riconoscere nessuna particolare rivelazione personale ma solo l'elaborazione formale di alcuni contenuti - cfr. Card. Tettamanzi, CEI, Prot. N. 324/92 - Roma, 6 Maggio 1992).
La Chiesa è stata fondata dalla Carità, e carità perfetta dovrebbe sempre essere stata.
La Chiesa alimentata dalla Carità, e carità perfetta dovrebbe dare a tutte le sue membra, anche e soprattutto alle minime e deboli per alimentarle e tenerle vive.
La Chiesa ha avuto il comando di insegnare la Carità. Ma guai se l’insegnamento si limita alla lettera invece di essere praticato nel suo spirito!
Vivere nella Carità per far vivere gli agnelli in essa. Questo è il dovere dei pastori. Ché se gli agnelli vedono che la Carità è pretesa dai pastori – e guai all’agnello che non dà reverenziale amore spinto sino alla rinuncia del libero giudizio e della libera azione nelle cose buone, che Dio stesso lascia all’uomo (anzi Egli lascia ogni libertà, limitandosi a dire ciò che è buono o non buono) – mentre essa Carità è negata dai pastori agli agnelli, che avviene?
Che per un cuore che non si apre alle infinite necessità delle anime – parlo dei cuori pastorali - le anime si volgono altrove, vanno a bussare ad altre porte, e talora sono porte che si aprono ai bisogni materiali, e DANNO pane, vesti, medicine, consigli, aiuti per trovare un lavoro, per non essere cacciati di casa dal ricco duro di cuore, ma anche che LEVANO religione e giustizia dai cuori.
Perché così avviene. E per un pane, una veste, un tetto, un aiuto a ristabilire la giustizia verso un perseguitato, un’anima, o più anime, lasciano l’ovile, il pascolo, la via di Dio, e vanno ad altri pascoli e su altre vie, materiali i primi, anticristiane le seconde.
(da: M. Valtorta, Commento all'Apocalisse, in I Quaderni, 1945-1950).
Ieri sera, dopo una giornataccia - allietata tuttavia da una visita imprevista, nel pomeriggio - mi sono trovato a dover ribadire, sulla mia pagina facebook (ove sono presente con uno pseudonimo, volutamente, per non farmi rintracciare troppo facilmente), quanto segue: musica e religione cattolica non rientrano più tra i miei interessi già da qualche anno.
Questo l'ho già detto qui più e più volte e, visto che c'è ancora chi non l'ha capito, mi trovo a scriverlo di nuovo ora e mi troverò a scriverlo ancora.
Con la musica ho chiuso quando ho deciso di studiare materie scientifiche (non purtroppo farmacia, che desideravo, ma chimica - che era più fattibile); quindi nel 2008, anche se di fatto ho continuato ad accompagnare all'armonio canti da messa e a trascrivere brani corali fino al 2013 (anno delle mie ultime apparizioni pubbliche: potrei dire che a casa mia ogni tanto strimpello ancora, ma non lo farò mai più fuori).
Con la religione, come ambito culturale, ho posto la parola fine un po' più tardi: una volta conseguita la laurea magistrale in chimica (110L), la quale mi ha permesso di lasciare volentieri ad altri l'irc (che per alcuni, me incluso, mai avrei dovuto affrontare, visto che non sono rampollo di buona famiglia cattolica, come ebbe a dire una di quelle soavi campionesse di schietta cristianità e di cristiana schiettezza, di cui traboccano certe aule liturgiche che ho smesso di frequentare da molto tempo e di cui non sento affatto la mancanza) e di dedicarmi solo ed esclusivamente alle scienze naturali e, in particolare, ad alcuni aspetti della microbiologia.
Con la fede, come ambito di ricerca esistenziale, non ho ancora chiuso del tutto ma poco ci manca. Non sento il bisogno di appartenere a una chiesa pauperista, ambientalista, progressista, dove si frullano vangelo e marxismo; ma neanche a una chiesa moralista, che ricopre l'odore di stantio con nuvole d'incenso e che predica che i vaccini, opera del diavolo, comprometteranno il sistema immunitario e causeranno la dannazione eterna di quanti li hanno ricevuti. Anche qua un pasticcio di giovedì grasso e di venerdì santo che rifuggo a gambe levate.
Ho riscoperto, negli ultimi anni, le mie radici e una laicità basata sui valori del pensiero liberale e sulla responsabilità individuale, senza bisogno di quei collettivismi che piacciono tanto a certi cristiani o ai socialisti di varie correnti, dai quali prendo le distanze.
Aborrisco quanti decidano cosa debbano fare gli altri, troppo spesso senza dare per primi l'esempio: armiamoci e partite, siamo sempre là. E senza tener conto del sentire altrui, delle aspirazioni, delle capacità, degli interessi - ma solo della necessità.
Credo l'amicizia (per me un valore assoluto che condivido con persone dai percorsi esistenziali simili al mio) e l'amore (non la famiglia, non la comunità, non la patria...), senza sentire il bisogno di mettere firme in comune o in un registro parrocchiale - e su questo principio, per me inderogabile, ho interrotto un paio di relazioni in passato.
Non voglio commenti e non pretendo approvazione, ma esigo rispetto: qui, sui social network, su twitter, su facebook e soprattutto nella vita reale.
Non trovo giusto dover star ancora male per capitoli della mia vita che considero chiusi, che non ho più intenzione di riaprire e che nessuno - nessuno! - ha il diritto di mettere in discussione in relazione alla mia esistenza e alle mie scelte personali - neanche per necessità professionali: sono un insegnante di scienze, non uno gigolò che si vende al miglior offerente.
Se non siete d'accordo, non mi importa; ma per cortesia cancellatemi dall'elenco dei vostri contatti e non lasciate commenti - che modero e mi riservo di non pubblicare. Grazie.
In questi giorni sventolano le bandiere della pace, un simbolo laico nato in seno alla teosofia, una dottrina propugnata dalla Società teosofica di Madame Blavatski a partire dal 1875, per la quale tutte le religioni conservano una parziale verità intorno ai mondi spirituali che nelle varie epoche sarebbero state conosciute solo da pochi iniziati.
La stessa conoscenza della Natura deriverebbe, per i teosofi, da quella dell'essenza divina attraverso lo studio dei testi sacri o per illuminazione diretta.
Visti i presupposti, non sembra strano che nei luoghi di culto delle religioni istituzionali difficilmente si trovi traccia di questo simbolo all'attenzione dei fedeli, costruito su un arcobaleno rovesciato con la scritta pace in bianco.
Mentre l'Ottocento volge al termine, con la sua fiducia nella tecnica e lo sviluppo delle grandi scienze - a cominciare dalla chimica, seguita da biologia e geologia - qualcuno si lasciava conquistare dalle suggestioni offerte dalle religioni orientali e da quelle dei popoli senza scrittura.
Così, alcuni studiosi si sono occupati di religioni come evoluzione culturale di Homo, dapprima raccogliendo e sistematizzando i racconti degli esploratori e poi verificando direttamente sul campo le conoscenze - come fece Morgan, tra i padri della moderna antropologia, che visse tra gli Irochesi.
Altri hanno raccolto e interpretato liberamente vari spunti, proponendo dottrine che hanno catturato più gli artisti che gli studiosi: alcuni pittori, le cui opere ho potuto ammirare sabato, a Palazzo Cavazzini in Udine, si sono interessati di teosofia, come il lituano Cjurlionis, il boemo Kupka e il russo Roerich, di cui propongo qualche scatto.
Il primo (sopra) ritrae Zoroastro intento a compiere un rito tra le montagne della Persia; il secondo cattura un iniziato che interroga una figura femminile sul cammino da compiere (omaggio del pittore alla moglie...).
L'ultimo immortala Buddha in meditazione di fronte alla valle chiusa tra le vette dell'esistenza, oltre le quali si manifesta la luce che dà significato al cammino di ciascuno.
La montagna innevata, con le sue balze romite, è metafora dell'itinerario spirituale che l'iniziato deve percorrere e superare per arrivare in vetta e scoprire la luce dell'esistenza: è un tema che torna più volte nei quadri dei pittori teosofi, non solo di Roerich.
Per approfondire: visitate la mostra (fino al 27 marzo) oppure leggete QUI oppure QUI. Oppure altri materiali, che sul tema non mancano. E se nel frattempo volete ascoltare musica teosofica... Cjurlionis era anche compositore; e non dimentichiamo Scrjabin, di cui propongo l'ascolto dei Quattro Preludi op. 22.
Personalmente, alle dottrine esoteriche che hanno ispirato gli artisti di cui sopra, preferisco qualcosa di più razionale, sia nella trattazione sia nei contenuti.
Ad esempio, ammirare le montagne come tappa attuale della storia geologica della nostra Terra è - per chi scrive - molto più affascinante - e spero toto corde di aver affascinato almeno un po' i miei discepoli stamattina, conquistando virtualmente le grandi cime dell'Africa al seguito dei grandi esploratori, di cui avevo detto QUI.
In questa penultima domenica di novembre, voglio cogliere l'occasione offerta dal calendario liturgico cattolico per accostare due immagini quasi antitetiche che fanno da cornice all'angoscia e alla disperazione dell'uomo che si scopre fragile di fronte alla malattia e alla morte.
La prima immagine è quella del Giudice supremo, il Rex tremendae majestatis, invocato da Mozart nel suo Requiem con un coro a quattro voci dal sapore vagamente haendeliano, con l'incedere dei ritmi puntati e la cupa tonalità di Sol minore.
La rappresentazione, nel video, raffigura il Cristo che appare luminoso tra le tenebre del peccato e viene a giudicare i vivi e i morti (così nel Credo), accompagnato da schiere di angeli.
Il metro del giudizio è la Croce, ossia la donazione totale di sé, che - secondo la Dottrina cristiana - si realizza compiutamente sul Calvario e apre ai credenti il Regno dei Cieli (così nel Te Deum).
Salva me, fons pietatis! - invoca il peccatore di fronte al giusto Giudice. E non uattanciù, come si insegna oggi, nelle - sempre più vuote - chiese del divertimento, dell'intrattenimento e della misericordia a prezzi stracciati - mentre solo a prezzo di quel sangue l'Umanità è stata redenta, come annunciava una volta la Dottrina cristiana. Una volta, adesso è demodé.
La seconda immagine è quella della Madre pietosa - che Michelangelo rappresentò accovacciata ai piedi del Cristo giudice -salute degli infermi e rifugio dei peccatori: anche qua, la musica di Mozart, tratta dalle Litanie K 195, interpreta il sentimento dell'uomo che si scopre fragile, sia nel corpo sia nello spirito; e si fa più dolce nella consolazione e nella richiesta di aiuto. Ora pro nobis.
E proprio in onore della Salus infirmorum, i veneziani eressero una splendida basilica, su progetto del Longhena, al termine della grave pestilenza del 1630: sicuramente per ringraziare della fine di quel flagello ma anche delle eredità ricevute dai parenti morti.
L'altare, disegnato dal Longhena stesso, è sormontato da tre figure scolpite nel marmo: una bella fanciulla, allegoria di Venezia nell'atto di supplicare la Madonna col bambino che scaccia la peste, rappresentata come una vecchia e cenciosa nell'atto di andarsene.
Sotto vi è incastonata un'icona bizantina che raffigura Maria, portata da Creta a Venezia da Francesco Morosini. Buona festa della Salute ai Veneziani di oggi e di ogni tempo.
Ippolito Caffi, veduta notturna di Palazzo Ducale verso la Salute.
L'Autobiografia di Charles Darwin (1809-1882) è diventata, in questi ultimi mesi, uno dei miei testi prediletti: l'ho letta nella versione curata da Nora Barlow, tradotta da Luciana Fratini e pubblicata da Einaudi.
Darwin scrisse questi testi autobiografici per i suoi figli, senza la consapevolezza che sarebbero stati un giorno pubblicati. Essi rivelano un uomo modesto, dalla salute piuttosto malferma (e alla fine del volume si ipotizzano le cause del suo malessere, alle quali oggi alcuni studiosi aggiungono il morbo di Chagas). Egli preferiva la compagnia dei famigliari a quella degli eminenti scienziati che lo circondavano e con i quali scambiava tuttavia campioni, reperti e lettere.
L'edizione completa dell'Autobiografia di Darwin comprende numerosi passi, censurati in altre edizioni, e alcuni importanti documenti inediti che consentono di far avvicinare i lettori all'amabile figura di questo scienziato, così familiare con la sua lunga barba e lo sguardo perso nelle sue riflessioni.
Un paio di sottolineature riguardano il suo rapporto con la poesia (che amava leggere da giovane: cita alcuni romantici, come Coleridge e Wordsworth, (op. cit. - p. 66) e mostri sacri della Letteratura inglese, come Shakespeare e Milton), con la musica (che si dilettava ad ascoltare in gioventù, ma per la quale perse ogni interesse in età adulta: cosa in cui mi riconosco e che mi consola, facendomi sentire meno eccezione e anche meno "mostro" di quel che mi si fa passare per la mia scelta di chiudere le orecchie all'arte dei suoni...) e con il disegno (per il quale egli si dichiarò negato, specie quando si trattò di disegnare l'anatomia degli animali e delle piante che studiò durante il suo viaggio attorno al mondo, raccontato in un altro libro).
Infine, alcune considerazioni sulla religione (op.cit. - pp. 67 e segg.), verso la quale mutò atteggiamento nell'arco della vita: figlio di padre ateo e di madre unitariana, realizzò come la storia del mondo raccontata dal "vecchio testamento" fosse falsa - scientificamente parlando - e concluse come l'avverarsi della speranza cristiana avrebbe condannato al fuoco eterno suo nonno, suo padre, suo fratello e molti suoi amici.
In merito all'origine del cosmo, scrisse invece che "il mistero del principio dell'universo è insolubile per noi e perciò, per quel che mi riguarda, mi limito a dichiararmi agnostico" (op. cit. - p. 76).
Dalla lettura di queste pagine, emerge il ritratto di un uomo umile, equilibrato, razionale, ardentemente desideroso di dare più un contributo al progresso delle Scienze Naturali che uno scossone alle istituzioni religiose.
Nota: le foto che accompagnano il post sono miei scatti di questa mattina, scattate durante un'uscita di buon ora. E a proposito di musica: godetevi uno spezzone del bel concerto che la Natura sa offrire, in attesa che mi decida a montare un breve cortometraggio sulla Natura che mi circonda...
Ho letto anche in questi ultimi tempi l'appello a diffidare di una Scienza che, di fronte al Mondo e alla Storia, ha la pretesa di sostituirsi a Dio. L'allarme è lanciato e amplificato da persone di diversa formazione culturale e di diversa estrazione professionale (giuristi, filosofi, teologi, professionisti della comunicazione, etc.), ma li reputo abbastanza affini - politicamente parlando.
Premetto che dovremmo discutere sul significato dei termini in maiuscolo: non lo faccio per un'esigenza di brevità ma suppongo che con la parola Dio sia da intendersi colui il quale era chiamato dallo scienziato e filosofo giansenista Pascal: "il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non dei filosofi e dei dotti... il Dio di Gesù Cristo" (lunedì 23 novembre 1654).
Personalmente ritengo che non ci sia nulla da temere se non il rischio di confondere "scienza" con "scienze" e queste con la "tecnica". E soprattutto temo si rischi invece di fare un minestrone di "scienziati", di "tecnici" e di "tecnocrati" che cercano il loro quarto d'ora di celebrità mediatica.
La "scienza" non si può sostituire a Dio, non ha come scopo la salvezza dell'anima e nemmeno la felicità eterna nell'Aldilà (o preti! Ricordateci che "meta della nostra fede è la salvezza delle anime", 1Pt 1,9: capisco che dal 2013 a oggi vi piacciano di più la demografia e le politiche internazionali, ma siete stati formati per occuparvi di anime, non di masse e di geografia economica...).
Ciascuna scienza si occupa di aspetti particolari dell'aldiquà: la botanica delle piante, la mineralogia dei minerali, la zoologia degli animali, la micologia dei funghi, etc.
Ciascuna scienza matura un patrimonio di conoscenze sempre nuove che, per sua natura, appartiene alla comunità scientifica (non ci sono scienziati più scienziati di altri, se non per ragioni politiche, partitiche e di carriera) e che prelude al progresso frutto di studi successivi. Ma da qui a sostituirsi al Creatore (per chi creda in un Creatore, chiunque egli sia: JHWH, Brahma, Pangu, Amaterasu, etc.) è lunga: anche un non credente, da buon seguace di Cartesio e del suo dubbio metodico, farebbe fatica ad accordare cieca fiducia alla "scienza" e ai suoi laici "sacerdoti". Chi lo facesse, incorrerebbe nel pericolo di assumere, oltretutto, un atteggiamento antiscientifico: quanto duro è stato il cammino che ha portato il libero pensiero a sottrarsi all'autorità degli antichi e quanto triste sarebbe se tale cammino terminasse nel rinunciare alla libertà conquistata per sottomettersi all'autorità dei moderni e dei contemporanei. Rileggiamo Freeman Dyson, QUI.
Nel caos di questa pandemia - caos alimentato dai media e dagli opinionisti - abbiamo visto "virologi", "epidemiologi", "infettivologi" e quant'altro sfilare per televisione, abbiamo sentito le opinioni (anche contrastanti tra loro) di tutti e non abbiamo capito che le uniche misure adottabili (e adottate di fatto) sono quelle che si attuano in questi casi, almeno da quando Girolamo Fracastoro (medico veronese del XVI secolo) ha enunciato la dottrina del contagio.
"De contagione et de contagiosis morbis" fu pubblicato a Venezia nel 1546: vaiolo, morbillo, tubercolosi, sifilide, antrace e peste si aggiravano per l'Europa funestando campagne e città - come il professor Barbazza e io abbiamo raccontato di recente in una pubblicazione che trovate QUI.
Immancabile, a questo punto, un pensiero a Manzoni e al suo racconto della Peste di Milano, oggetto di continui studi non solo letterari ma anche scientifici, come potrete apprendere vedendo il breve video che merita cinque minuti del nostro tempo.
C'è poco da fare (per noi comuni mortali): distanza sociale, mascherina, igiene personale. Lavatevi le mani, ammoniva Semmelweis. Niente di tanto diverso dalle abluzioni e da certe altre prescrizioni che velatamente leggiamo in modo non troppo dissimile, ad esempio, anche nella Legge mosaica (in Levitico, Numeri e Deuteronomio).
Se poi il politico ha il suo scienziato di fiducia (vorrei dire: di corte) e lo investe di un'aura sacerdotale, questo è un altro paio di maniche che con la scienza - e le scienze - non ha nulla a che vedere.
Per concludere, ad essere sincero e onesto fino in fondo, non mi preoccupa tanto che si faccia della Scienza una religione (avrebbe pochi adepti e non durerebbe troppo nel tempo): temo di più che si trasformi la Religione in una (pseudo)scienza - umanistica, economica, ecologica, demografica, filantropica, etc. Io non ne sento il bisogno, ma a questo punto mi fermo: ognuno pensi in merito quello che vuole. Purché pensi. Grazie per essere arrivati alla fine.
Continuo a ricevere e-mail con inviti a dedicarmi ad attività musicali e questo con sommo dispiacere da parte mia.
Quando ero giovane e avrei voluto davvero dedicarmi alla musica, ho incontrato innumerevoli resistenze: in casa, a scuola, nel giro dei coetanei...
"Di musica non si vive", "la musica è roba da falliti": fatalità, i miei primi soldini li ho "guadagnati" strimpellando di qua e di là, soprattutto a funzioni religiose - in anni in cui il messaggio cristiano mi affascinava, quasi mi incendiava.
Da adolescente, adoravo la musica: erano gli anni in cui ero iscritto (ma oggettivamente frequentavo poco), ancora con mio sommo dispiacere (mai, per altro, sopito), al liceo scientifico della mia città natale.
Tanto detestavo (e detesto) quella scuola che, dopo aver ottenuto il diploma (98/100), non ci ho più messo piede (e quasi sono passati vent'anni).
Ho continuato a suonare (sempre meno) e andare ai concerti: dal 2008, dopo aver completato gli studi in ambito teologico e filosofico (da laico, non sono ministro di culto), ho progressivamente abbandonato tutto (musica e religione) per studiare altro, fino al 2013 - anno in cui ho smesso definitivamente di suonare.
Se avessi voluto continuare a dedicarmi alla musica non mi sarei iscritto a Chimica, all'università, ma ad altro corso di laurea (in effetti, volevo iscrivermi a Farmacia e sono convinto che sarebbe stata la scelta migliore...). Invece ho sentito il bisogno di riconciliarmi con il mondo delle Scienze naturali - e con la Chimica in particolare, dopo aver imparato a detestarle sui banchi del liceo.
Poi, al termine del mio brillante percorso di studi in ambito chimico (con un 110 L che prima o poi la politica svuoterà del suo significato), vanificato dalla scelta di una tesi magistrale del tutto sbagliata, mi sento dire che puzzo troppo da prete per continuare e che è meglio che mi dedichi a suonare e a scrivere.
Insisto: se avessi voluto questo per la mia vita, avrei investito in altri studi, non in quelli che ho portato a termine e che attualmente mi offrono l'occasione di potermi guadagnare da vivere onestamente - e anche con una certa soddisfazione personale, nonostante la precarietà (mal comune, mezzo gaudio...).
Qualche giorno fa ho trovato il mio vecchio insegnante di Lettere: è una delle poche persone di quegli anni di scuola lontani e tristi che rivedo sempre volentieri. Tra le varie cose, mi ha chiesto come andava con la musica... la risposta è stata: "ho smesso". C'è chi smette di fumare, di tirare cocaina, di correre in macchina, di giocare a calcio: io ho smesso con la musica. Ho dato, ad ogni stagione il suo frutto. La stagione della musica per me è finita cinque anni fa. Fatevene una ragione.